Arte, Scienza e Filosofia: confini delle rispettive discipline (1 Viewer)

HollyFabius

Nuovo forumer
Per la religione la verità è quanto scritto nel libro, è immutabile e la coerenza è la sua accettazione indiscutibile.

Così Fabius poco sopra. E' certamente una definizione "eccessiva", data per amor di sintesi. Perché è costretta ad ignorare l'aspetto dinamico della religione. Per esempio, nell'animismo non esistono affatto libri e verità definitive, ma solo la presenza di esseri "altri", sostanzialmente superiori, ma non solo, con i quali può esservi un interscambio anche imprevedibile. Si potrebbe anche considerare la religione sotto il solo aspetto del "miracolo". Nel senso che la religione sarebbe l'insieme delle spiegazioni per quanto alla mente umana resta inspiegabile. Il che può riportare a quanto scrivevo nel post dedicato all'antroposofia. Se la religione serve a ri-collegare uomo e divinità, serve a ri-dare come rivelazione ciò che prima del distacco era invece conoscenza indivisa. Cioè, la religione 1) sancisce l'avvenuto distacco dell'uomo dalla divinità 2) pone rimedio a questo distacco con il fornire all'uomo le conoscenze perdute.
Pertanto, l'animismo appare allora come uno stadio intermedio, in cui il distacco non è completo, gli esseri vengono percepiti ed "interpretati", un po' conosciuti e un po' no.
Ma anche se si pensa alla religione dei Greci vediamo come non vi sia una "accettazione indiscutibile", gli dei vengono mostrati come sottoposti alle stesse passioni degli uomini, non esiste "un libro" ma tutto è divenire, gli dei sono inseriti nel tempo.
Nel teatro antico il deus-ex-machina rappresentava appunto l'immagine del miracolo, del fatto non spiegabile che tuttavia accadeva. Allo stesso tempo mostra che, se considerassimo la divinità non come parte "altra", ma come partecipe della nostra stessa realtà, non si parlerebbe di miracolo, ma solo di azione da parte di esseri che sono ben inseriti nelle leggi della natura, tanto da esserne padroni.
La stessa situazione del capitano inglese che mostrava i suoi strumenti agli indigeni delle coste africane, o del missionario che guarisce i pigmei con l'uso degli antibiotici, visti allora come potere divino.

In conclusione, la religione dà spesso anche la verità come "quanto scritto nel libro" in modo immutabile, però questo è solo un suo stadio "terminale" :-D , di quando il distacco è sancito ed angosciosamente percepito. Più in generale la religione fornisce una conoscenza temporaneamente non altrimenti raggiungibile, e ne propone come depositari (e gestori) certi esseri.
Forse questo spiega ancor meglio perché oggi la casta degli scienziati/medici/... (portatori di conoscenze non diffuse) tenda a sostituirsi alla religione.

Quanto alla coerenza (la coerenza è la sua accettazione indiscutibile) si ripropongono gli stessi distinguo. Nel caso estremo di un distacco da colmare ed in presenza di un testo canonico, la coerenza si ha accettando in toto il testo. Ma nei casi in cui la religione presenta elementi molto più dinamici, come esemplificato, la coerenza si esprime nel rispetto di quegli esseri sia superiori che inferiori. Dove per rispetto si intende accettarli per quello che sono e trattarli per come si meritano.
Se si pensa che "Un giorno Osiride, ubriaco, mise incinta Nefti che era la sposa di Seth," si capisce che sotto il termine religione si unificano molte realtà: esse non hanno in comune tanto l'immutabilità del presente, ma solo, più ovviamente, l'immutabilità della storia passata, che certo riguarda esseri onorabili e superiori, e anche temibili, ma sempre visti esistere in un campo d'azione e di conoscenze in cui l'uomo si ritrova "out".


Che poi, stiamo parlando di tutto fuorché dell'arte :wall::wall:

Magari in seguito :d:
Ovviamente era una sintesi estrema e solo delle religioni occidentali principali (cattolica, ebraica, islamica), che sono le sole religioni 'del libro'. La sintesi ovviamente si porta dietro l'eliminazione di molti particolari, spesso eccessivamente.
Le altre religioni sono a mio parere equiparabili a posizioni filosofiche, appena ho tempo approfondisco un poco il mio pensiero.
 

baleng

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Quanto al creare, a parte essere una caratteristica delle divinità (forse nemmeno tutte, ma molte sì) è pure caratteristica dell'arte. Creare significa realizzare qualcosa che prima non c'era. Questo realizzare non è ristretto alla sola arte, anzi, alle arti in genere. Anche la filosofia crea, anche la scienza. (La religione direi di no, se qualcuno crea è la divinità).
La differenza sta forse in questo: la filosofia crea spiegazioni, propone una guida per muoversi nell'esistente.
Ma anche la scienza crea tali spiegazioni.
L'arte, invece, non è una spiegazione, se non in casi particolari e solo in seconda istanza.
Ora, dov'è la differenza tra lo spiegare e il creare della filosofia e quello della scienza?
Una parziale osservazione mostra una tendenza della scienza verso l'analisi, della filosofia verso la sintesi. La scienza si rivolge sempre a "funzioni" in senso lato. Raccogliendo i dati astronomici dell'universo, scoprendo la composizione o la storia di alcune rocce, prevedendo i carichi di un ponteggio (qui già tecnica) la scienza descrive il mondo usando tabelle precise cui chiunque si possa riferire (numeri, valori luminosi, tavole degli elementi ecc.). Fare una sintesi di tutti i dati non può essere un suo compito, visto che sin dall'inizio rinuncia a questo tipo di valutazioni. Che è invece proprio della filosofia, la quale cerca appunto di essere un ombrello sotto il quale trovino riparo tutte le esperienze possibili (lo fa anche la religione, ma presupponendo esperienze altre ed esseri altri).
Mi vien da aggiungere: moto centrifugo per la scienza, centripeto per la filosofia, 2 moti speculari centripeti/centrifughi per la religione, ma sono aggiunte piene di autocompiacimento, e poco utili :depresso:


Pertanto il problema della coerenza per la scienza sarà superato nel rispetto di una universalità di linguaggio e nella compatibilità delle conclusioni con i dati: compatibilità a posteriori, non sapendo all'inizio che cosa si cercasse (in teoria: in realtà moltissima scienza è viziata dal fatto di sapere dall'inizio che cosa sta cercando, ma di non annunciarlo chiaramente, o addirittura ignorarlo: in pratica sempre quando si cerca si ha già un'idea di che cosa si cerca, e sarebbe onesto ammetterlo; per paradosso, una ricerca "aperta" è molto più scientifica di una ricerca "mirata", in cui tutti i presupposti spingano verso la scoperta di una spiegazione e non verso la creazione di una visione).

Per la filosofia si tratta di creare un edificio logico in cui tutto stia in piedi sostenendosi una parte con l'altra. Il problema è che quasi sempre non si sa di che cosa si stia parlando. Si usano termini come essere, spirito, potenza ecc. fingendo che abbiano significato universalmente condiviso, ma ciò è falso in pieno, ognuno li intende a suo modo. E poiché il solo terreno per comprovare e confrontarsi è quello del linguaggio, questa Babele è come uno stato con centinaia di capitali e magari nessun governo. Comunque, il creare del filosofo, quando funziona, è un illuminare, non un realizzare quanto non esisteva, almeno in termini materiali.

A questo punto vacilla il senso di certa arte visiva che si vorrebbe proporre come puro pensiero, concetto ecc.Riflettere sulla realtà non è campo dell'arte, ma della filosofia. Se non crea una attività non vi è arte, e riflettere può creare pensieri, ma, di per sé, non "oggetti". Possono essere attività interessanti, ma riguardano altro che l'arte.

Un'aggiunta per quelli che ritengono oggi l'arte non possa più essere espressione e sentimento. Anche l'indifferenza ostentata è una espressione, anche la mancanza di sentimenti si valuta con il metro della presenza di sentimenti. Un oggetto può essere "freddo", "indifferente" .... Oltre un certo limite non sarà più nulla, proprio come, in senso opposto, gli sproloqui di un ubriaco non esprimeranno più niente. Se tutto (tutto) il valore di un'opera deve essere nella sua "spiegazione" si è fuori del campo dell'arte. Magari si è in quello dell'estetica, che è un ramo della filosofia.

Questo dividere in campi è fatto antiquato? Allora mangiamo la plastica per essere moderni, alla fine è la stessa cosa. C'è un limite naturale a quanto può essere mangiato e digerito. C'è un limite meno naturale, ma certo sociale e culturale, a quanto sia arte e quanto no. Da non confondere con il fatto che ogni individuo può assumere un atteggiamento di "domanda artistica" o "domanda filosofica" o domanda scientifica" rispetto a qualunque manufatto, pensiero, creazione dell'uomo.

Se guardo una moneta da un euro posso far caso ai suoi valori artistici, rinchiusi nei molteplici rapporti delle sue forme. Domanda artistica.
Posso considerare quanta merce posso comprare con quella moneta. Domanda economica.
Posso chiedermi come sia stata coniata. Domanda tecnica
Posso chiedermi quali ne siano i materiali metallici, quale la loro consistenza ecc. Domanda scientifica.
Ma non porrò contemporaneamente tutte queste ed altre domande, sarà già arduo porne 2 insieme (corrisponde a 2 atteggiamenti diversi e contemporanei).

Posso anche notare come la tecnica abbia influito sull'estetica, permettendo certe soluzioni, per esempio, ma confonderle è un comodo errore, che permette di restare nel vago.
Ecco perché la scienza consiste nell'atteggiamento scientifico, che ne è il motore ma anche ciò che ne seleziona il senso: essa raccoglie dati e cerca una unità.
La filosofia consiste nell'atteggiamento filosofico, che ne è il motore ma anche ciò che ne seleziona il senso: pone i dati in rapporto tra di loro e trova l'unità nella coerenza delle affermazioni
Per l'arte l'atteggiamento è necessario ma non sufficiente, occorre vedere che cosa viene prodotto. Quanto all'atteggiamento del fruitore, che cerca una risposta artistica, esso propone una domanda di arte, come se quest'ultima fosse lo specchio in cui riconoscere rapporti formali più o meno consciamente ricercati.
 

baleng

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Avendoci letto :eeh: il Corriere propone un articolo di Stefano Gattei, nel quale si parla del libro La farfalla e la crisalide di Edoardo Boncinelli. Tratta della storia della scienza, partendo da quando essa era indistinguibile dalla riflessione filosofica (Greci). La scienza/farfalla si sarebbe svincolata dalla crisalide/filosofia con Galileo e l'introduzione del metodo sperimentale. Con il quale non si sarebbe più trattato di osservare passivamente la natura, ma di ricrearla attivamente con l'esperimento e osservarla entro quest'ultimo. Ne deriverebbe che oggi tra filosofia e scienza ci sia un baratro.
I successi della geometria euclidea e dell'astronomia matematica avrebbero poi spinto i filosofi antichi ad un atto di "superbia": la verità sarebbe raggiungibile solo per via speculativa. Viceversa, lo sperimentare moderno sarebbe un atto di umiltà della scienza.

Tutto plausibile ed interessante, ma mi manca qualcosa, ed è per questo che riporto tutto al condizionale, non essendo in grado di sposare in pieno alcuna delle tesi esposte.
Vediamo di chiarire perché.

Così come viene presentata la scienza perfetta sarebbe una cosa autonoma e totalmente estranea all'uomo. In realtà osserverei che la scienza oggi trae gli spunti di domanda dalle necessità pratiche della tecnica, e ad esse vuole rispondere. Tutto quanto non porta a questo, non serva subito a modificare il mondo, viene considerato filosofia. Una filosofia nettamente separata dalla scienza. Un po' come scienza=oggettivo, filosofia = soggettivo. Da ciò derivarebbe che meno "uomo" c'è nella scienza e più essa è pura, giusta, corretta.
Se passare alla sperimentazione fu certamente un progresso ed arricchì le conoscenze, è pur vero che si sperimenta a partire da una domanda. Se indago sperimentalmente sulla durezza di un terreno vuol dire che non sto indagando sulla sua fertilità. Insomma, la risposta dipende sempre dalla domanda e, soprattutto, da come essa viene formulata.
Ma formulare la domanda è atto umano. Certo, si può interpretare una necessità della tecnica, una richiesta del mondo (esempio: come proteggere, con quali materiali, il razzo che rientra nell'atmosfera?). Ma la domanda non è scelta automaticamente, e ho già mostrato in post precedenti che la domanda "come guarire un omosessuale" implicasse delle scelte che appartengono ad altro campo che la scienza, probabilmente alla filosofia (filosofia morale, per esempio). Esattamente come l'affermazione "l'omosessualità non è una malattia e non va guarita".

In grande sintesi: alla base della scienza vi è sempre una posizione umana che potremmo definire filosofica. Separare le due cose (una vecchia e inutile, l'altra giovane e pimpante) è legato alla visione illusoria di chi si sta inebriando dei pur vistosi progressi della scienza nel campo pratico, della tecnica, infine. La nascita della scienza sperimentale, per chi la vede così, ha annullato ogni interesse per l'indagine ipotetico-deduttiva, che viene vista come non necessitare di conferme sperimentali. E invece, senza una visione anche ipotetico deduttiva cosciente, si cerca ma non si sa che cosa veramente si stia cercando.

Esemplificherei tutto questo con una mia esperienza personale, una ricerca, limitandomi ad essa soprattutto perché ritengo di avere chiari tutti i termini del discorso, non certo per motivi di autopromozione.
Ricercavo che cosa sia l'accento tonico della parola. Per anni ho raccolto osservazioni, pensieri, studiato autori, annotato e criticato. L'ampiezza delle osservazioni possibili mi esimeva dal dover ricreare un ambiente sperimentale. In questi casi puoi fare mille esperimenti che ti daranno mille dati diversi e tu li metterai in fila sperando che ti "suggeriscano" qualcosa (dunque l'esperimento in sé non basta). Attraverso una osservazione particolare feci un passo assai utile: notai che l'abituale definizione (vaga e ascientifica, in verità) dell'accento come punto in cui si "posa" la voce non reggesse alla prova dei fatti: possiamo leggere una parola di molte sillabe, come teléfona! alzando di molto la voce nelle ultime due, ma percependo sempre chiaramente l'accento corretto sulla seconda "e", anche se detta con meno voce.(cioè, urlando a uno che se ne va, "teléfoonaaaa!!!"
Cercando allora tra le altre caratteristiche dell'accento nacque l'ipotesi (ipotesi!) che nell'accento si sdoppiasse idealmente la vocale accentata. I modi con cui questa vocale veniva "stirata" mostravano come sempre si andasse da un punto ideale ad altro punto ideale, però con percorsi diversi a seconda della volontà espressiva (prosodia), della lingua usata, delle sfumature di significato ecc. L'ipotesi reggeva. Quel che è certo è che essa non sarebbe nata dal puro sovrapporre migliaia di registrazioni vocali per poi "studiarle". (Per ora sul punto mi fermo)
In effetti c'è chi fa proprio questo, ed è pagato da tutti noi per operare alla cieca e senza ipotesi in nome di una "ricerca scientifica oggettiva". Laboratori di fonologia in cui si opera in questo modo esistono in Italia e in tutto il mondo. Qualcosa pure troveranno, ma non l'essenziale, se non divengono coscienti delle premesse della loro ricerca, ignorate nella falsa credenza che essa sia e debba essere "oggettiva".
Senza l'uomo, appunto, come scrivevo all'inizio del post.
 

HollyFabius

Nuovo forumer
Grazie Gino, condivido molto di quello che hai scritto ma per ora non posso rispondere con sufficiente approfondimento solo per qualche problema di gestione del tempo. Mi riprometto di riprendere il discorso che per me è molto interessante appena possibile.
 

baleng

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Grazie Gino, condivido molto di quello che hai scritto ma per ora non posso rispondere con sufficiente approfondimento solo per qualche problema di gestione del tempo. Mi riprometto di riprendere il discorso che per me è molto interessante appena possibile.
Ok :up:
Ma aggiungo una sola osservazione. In campo artistico, lungi dal cercare "verità oggettive" che, se possibile, escludano totalmente l'uomo, come nella scienza odierna, è proprio necessario, per parlare di arte, che vi sia l'intervento dell'uomo. Un cristallo, una notte stellata, un panorama possono essere bellissimi, ma non sono arte, proprio perché non vi è inserita la volontà creatrice dell'uomo.
Ne abbiamo già parlato, volevo solo evidenziare questa opposizione teorica tra arte e scienza (odierna).
Oggi la scienza confonde la necessaria comunicabilità in linguaggi universalmente condivisi delle scoperte (in funzione della verifica di chiunque) con la presunta assoluta verità dei loro contenuti.
Viceversa ogni artista di valore non si limita ad usare linguaggi noti e condivisi per trovare il nuovo, ma proprio opera nel senso di modificare lo stesso linguaggio esistente. Pertanto potrebbe risultare inizialmente incomprensibile.
Se poi vogliamo approfondire, anche nella scienza capita che certe scoperte costringano ad inventare proprio un nuovo linguaggio per poterne parlare: solo che questo linguaggio viene definito e codificato sempre nell'ottica di farne strumento comune, cosa di cui all'artista non potrebbe importare di meno.
 
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Loryred

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Rilancio qui alla luce della recente aggiudicazione da Christies ad oltree 400K partendo da una base di 7-8K della prima opera realizzata da un'Intelligenza Artificiale sulla base di un algoritmo sviluppato dal collettivo francese Obvious.
Al di là degli aspetti legislativi su titolarità e diritto d'autore mi domandavo come evolverà l'arte nel futuro, quale il rapporto tra arte e scienza, chi potrà essere definito artista, dal momento che non è lo sviluppatore che si limita a progettare il software nè l'IA che rielabora dati e fa calcoli, quindi "riutilizza e manipola" piuttosto che "concepire".

New York - Potrebbe essere un Rembrandt incompiuto, forse un Vermeer. La stampa sfocata "Edmond de Belamy" mostra un uomo in abito scuro e colletto bianco che ricorda un religioso del '600 o '700. Ma invece di un pittore antico c'è un computer al lavoro!
Il ritratto è il primo dipinto prodotto da un'intelligenza artificiale battuto da un'importante casa d'aste sotto il martello -senza regole chiare su chi sia l'autore e chi ne detenga i diritti.

"min G max D Ex [log (D (x))] Ez [log (1-D (G (z)))]" viene riportato come firma nell'angolo inferiore, riferito all'algoritmo autore del lavoro. Christie's ha stimato di raggiungere con la vendita all'asta 7.000 - 10.000 $, (fino a 8.700 Euro) giovedì a New York. (N.B. la battaglia per aggiudicarsi il capolavoro è stata così agguerrita da far lievitare il prezzo fino alla cifra, inaspettata, di 432.500 $, circa 380.200 Euro).

La casa d'aste inglese prevede l'arrivo di opere di AI sulla scena internazionale delle aste. Dietro l'opera è presente il collettivo parigino Obvius, che a Febbraio ha già venduto una stampa dalla sua serie Belamy al collezionista d'arte Nicolas Laugero Lasserre. Egli ha pagato 10.000 Euro ed ha parlato di approccio "grottesco e contemporaneamente grandioso". Nel frattempo esistono già 11 stampe Belamy.

Il nome indica la famiglia fittizia che rimanda al nome del ricercatore di intelligenza artificiale Ian Goodfellow, il cui cognome tradotto in francese è "Bel Ami" (buon amico). Nel "Generative Adversarial Network" (GAN) di Goodfellow si contrappongono due parti concorrenti di un algoritmo. Il "generatore" tenta di ingannare il "discriminatore" - in questo caso, alla domanda se un dipinto sia reale o creato dal computer. Il sistema si fonda opera un set di 15.000 ritratti, creati tra il 14° e il 20° secolo, in base al quale il "generatore" continua a produrre immagini fino a quando il suo avversario non ne ritiene una creata dall'uomo.
"La componente umana deve avere sul lavoro finito in tutto il processo il minor impatto possibile", dice Gauthier Vernier, che con Hugo Caselles -Dupré e Pierre Fautrel si cela dietro il collettivo Obvious alla rivista "Time". Tutti e tre hanno 25 anni. Il suo motto: "La creatività non è solo per le persone".
Con le entrate vogliono continuare a istruire il loro algoritmo, investire in potenza di elaborazione e dedicarsi ad oggetti 3D.

Quella che ooggi può apparire una bella gag per il mercato dell'arte può richiedere a breve nuove leggi. "Se un lavoro è stato concepito da un uomo, ma prodotto da una macchina, chi è l'autore?" chiede "Art Newspaper". E se l'uomo un giorno non interverrà più, una IA potrebbe possedere il copyright da sola? L'autore, secondo Vernier, non può secondo la legge corrente. AI Robot Sophia già un anno fa, ad es. ha già ottenuto la cittadinanza saudita.

Christie entra con quest'asta in un terreno non battuto e risponde alla vecchia rivale Sotheby, che aveva dominaot i titoli per due settimane dopo la spettacolare asta del quadro di Banksy parzialmente distrutto. "Un pezzo di spettacolo dal vivo" è stato messo in scena per la prima volta, aveva annunciato la casa d'aste con orgoglio. Nel frattempo Christie fa punti con anteprime e record di vendite e somme a capogiro.
La cosiddetta arte generativa però non è nuova. Già negli anni '70, gli artisti sperimentarono processi automatizzati delegando allle macchine al lavoro creativo. Ci sono state ripetute esperienze di AI nell'arte, nella musica e nella letteratura.
Il concetto di arte viene ridefinito ogni paio generazioni, dice Erin-Marie Wallace, la cui azienda valuta opere d'arte a Washington. "Stiamo stabilendo di nuovo cos'è alla fine l'arte nel XXI secolo. Io penso che l'arte sia giudicata con ciò che le persone sono disposte a pagare per essa"
 

baleng

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Veramente ci sono già programmi per giocare a scacchi, sono macchine quasi imbattibili, e comunque tutto quello che hanno dentro ce l'ha messo l'uomo. Ugualmente per questa porcatina (si poteva fare molto meglio, ma tre venticinquenni che di arte ne sanno, evidentemente, poco, questo han dato). L'inganno logico consiste nel dichiarare che si tratta di arte. Guarda, anche la riproduzione di Giotto l'ha fatta una macchina ed è comunque arte. Ma non l'ha fatta la macchina, la macchina non è che il prolungamento di quello che ci han messo, per esempio, Giotto e, magari, il fotografo. In questo caso la programmazione inserita nella macchina è fatta da quei tre. Si tratta di una specie di Gutai immateriale: buttiamo dentro tutto questo materiale, e vediamo che ne viene fuori.

A chi piace venir preso per il cesto per mezzo di ingarbugliamenti linguistici lasciamo il gusto di questionare su di un problema inesistente, o meglio creato apposta per farci una speculazione. Come peraltro dimostra l'ineffabile Wallace delle due ultime righe: Stiamo stabilendo di nuovo cos'è alla fine l'arte nel XXI secolo. Io penso che l'arte sia giudicata con ciò che le persone sono disposte a pagare per essa. Ottima via per vendere, ad esempio, quella roba in scatola che, con poca fantasia, il Manzonino spacciava per arte. O questa nuova equivalente "fatta dalla macchina".
Anzi, ho una grande idea che piacerà molto a @mantegna : porporre al mercato ancora scatolette, ma contenenti m**** di robot.
Un successone.
 

Loryred

Forumer storico
Qui concettualmente la cosa è un pò diversa perchè l'IA produce qualcosa di effettivamente nuovo + "simil-umana" sulla base del set di dati inseriti altrimenti è sottoposto al "killeraggio" dalla componente antagonista... se poi parliamo del risultato lo considero anch'io piuttosto bruttino... ma dovevano pur rispondere alla performance di Bansky da Sotheby.
 

baleng

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Qui concettualmente la cosa è un pò diversa perchè l'IA produce qualcosa di effettivamente nuovo + "simil-umana" sulla base del set di dati inseriti altrimenti è sottoposto al "killeraggio" dalla componente antagonista... se poi parliamo del risultato lo considero anch'io piuttosto bruttino... ma dovevano pur rispondere alla performance di Bansky da Sotheby.
Non ho scelto a caso l'esempio degli scacchi. E ricordo anche l'esempio classico della scimmia che, battendo su una tastiera, "prima o poi creerà una copia della Divina Commedia". In ambedue i casi si tratta di un numero di combinazioni immenso, ma non infinito (anche se nel secondo caso ... lunga vita alla scimmia! :eplus: ). Ma, più semplicemente, esiste un gioco composto di molti tasselli contenenti parole in qualche modo vissute come poetiche. Cuore, fiori, notte, stelle, prati, e così via. Lì, combinando i pezzi a caso (ci sono pure le preposizioni e semplici verbi, e va tenuto presente che il gioco nasce in lingua inglese, dove le concordanze creano meno problemi) non è raro che ne vengano fuori componimenti dal sentore + o - poetico. L'equivalente in pittura potrebbe essere un mosaico con poche combinazioni.
Ma già Dada e i Surrealisti (il Cadavre esquis) avevano inserito il caso nella creazione. Che c'entra con la macchina? C'entra perché delle due l'una: o la macchina produce sotto l'effetto della combinazione di programmi comunque inseriti dall'uomo, e la complessità del programma non può ergersi a testimone di autorialità, se non di quella dei programmatori (non della macchina, proprio come per gli scacchi); oppure sfugge alla volontà preordinata dei programmatori, e in questo caso (ottenibile per esempio inserendo una variante collegata al tempo atmosferico reale, o alle prime pagine dei quotidiani) il risultato appare casuale.
La presenza del caso agisce in modo simile a quello di una droga, rompendo i legami logici e sollecitando letture nuove e nuovi collegamenti logici - e in questo caso sarà ben maggiore la creatività del lettore/spettatore rispetto a quella dell'apparecchiatura "creante".
 

baleng

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Stamattina apro un catalogo di Paolo Pasotto e trovo questa citazione:
" Lo stimolo della fantasia da parte dell'intelletualità umana uccide l'arte" (Rudolf Steiner . La mia vita)
Lo riporto semplicemente e senza intenzioni: per non travisare occorrerebbe vedere in quale contesto fu detto.
 

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