Arte, Scienza e Filosofia: confini delle rispettive discipline (1 Viewer)

HollyFabius

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Ne abbiamo parlato molte volte (anche recentemente sul 3D della BioSìArt) in modalità implicita.
Nelle riflessioni passate però si è tracciato un parallelo tra Arte e Scienza, si è discusso delle motivazioni di una e dell'altre, dei confini, ecc. ecc.
Mi pare però interessante completare le riflessioni anche parlando di filosofia perché se è vero che ai tempi di Leonardo Arte e Scienza erano unite e che il processo di sviluppo del periodo Galileiano ha portato a separare nettamente Filosofia e Scienza è anche vero che alcune espressioni artistiche assorbono ed elaborano con modalità proprie dell'Arte concettualità Scientifiche e concettualità Filosofiche.
Vedo questo 3D connesso alle riflessioni sui limiti dell'Arte, quando l'Arte non è più Arte e diventa Scienza, quando l'Arte non è più Arte e diventa filosofia (o anche in alcuni casi semplicemente sofisma)?
Butto lì qualche idea.

Le motivazioni della Scienza sono il dominio e controllo della realtà, questo viene perseguito attraverso modelli e la accentuazione nell'uso di linguaggi non ambigui.
Le motivazioni della Filosofia sono la semplice comprensione e descrizione della realtà, appoggiandosi a dei principi, questa è la motivazione per la quale non viene esagerato l'uso della matematica.
Le motivazioni dell'Arte sono forse la testimonianza, e l'empatia con la realtà?

Per quanto riguarda l'Arte, in passato era fusa con la Scienza, con finalità di ricerca estetica, nel presente si è persa la ricerca estetica (o si è trasformato il senso del concetto di estetica) e si va cercando una fusione con la Filosofia (si pensi a tutto il filone del concettuale).

L'Arte è forse soltanto (si fa per dire) una necessità dell'animo?

La Scienza mira ad una comprensione Riduzionista (basata sulla cosalità ovvero alla separazione di ambiti tra loro supposti separati), l'Arte mira ad una comprensione Olistica, la Filosofia è probabilmente sia Riduzionista che Olistica, è Olistica quando costruisce i suoi sistemi su principi onnicomprensivi (al pari della religione) è Riduzionista quando si approccia dialetticamente alla validazione/rifiuto degli stessi sistemi.
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
La mia posizione, ceccatiana, è sempre la stessa. La differenza tra le varie discipline consiste nel modo di operare (della mente, principalmente).
Mettiamo la Colonna Traiana.
Per lo storico (nel senso che la guarda in funzione della storia) è una testimonianza di fatti. La guarda cercando la successione dei fatti.
Il filosofo cercherà immagini che suggeriscano riflessioni sull'umanità, magari stigmatizzando le uccisioni, ecc.
Chi applichi una visione artistica ricercherà i ritmi tra forme, tra vuoti e pieni, porterà l'attenzione su luci e ombre e sui loro rapporti, ecc.
Lo scienziato noterà il grado di durezza del materiale, la sua provenienza, lo stato di conservazione ecc.

Si noti che l'oggetto dell'attenzione è sempre lo stesso. Cambia quello che si cerca. Talvolta le ricerche si sovrappongono, per esempio nel valutare la bellezza di un dipinto occorrerà comprendere il suo stato di conservazione, chiedendone conto allo scienziato restauratore. Il quale, a sua volta, nell'intervenire sull'opera chiederà lumi al critico per non usare colori errati, ad esempio.
Ma il fatto che si sovrappongano non elimina la differenza di atteggiamento. Nell'esempio il critico guida le scelte di colore, lo scienziato quelle del pigmento da scegliere, il restauratore, se guidato dal critico, sarà attento a come spennellare.

Il dominio della scienza sta nella ricerca delle cause, ma prima ancora nella fissazione (provvisoria) delle regole. (Regola: l'acqua sta nel bicchiere. Se non ci sta cerco la causa - un buco, l'eccessiva evaporazione, la tremarella di chi regge il bicchiere ...).
Poiché nell'inorganico si trova regolarità di successione a parità di condizioni (nell'organico vi è maggiore variabilità, nell'uomo una libertà di comportamento che contraddice profondamente ogni pretesa di normare), la scienza oggi, dovendo solo normare e spiegare le varianti (teoria degli esperimenti), si può applicare solo all'inorganico, con pochi sconfinamenti. Quando tocca l'organico, il vivente, allora rinuncia a normare ogni caso singolo, ed ha invece un atteggiamento statistico (guarda alla media delle reazioni, ma non può prevedere quella dei singoli: e si parla di piante e animali, con l'uomo è ancora più complicato). La Filosofia vuole invece trovare delle norme riguardanti l'esistenza umana nel cosmo, in pratica i rapporti tra vivente e non vivente

L'artista non persegue la ricerca di regole e di cause, però può assumere un atteggiamento di ricerca scientifico, perché no?, studiando l'anatomia, sperimentando pigmenti ecc. Tutto questo riverserà i suoi risultati sulla sua azione artistica, e se non ha nulla da dire può aver ricercato sin che vuole, se conosce l'anatomia e non ha nulla da comunicare non farà arte.

Come ad un concerto gli ascoltatori vogliono ascoltare la musica e i poliziotti devono vegliare a che nulla disturbi ciò, e però il poliziotto può anche godere delle musiche e lo spettatore preoccuparsi per un brutto ceffo, così la funzione è sempre distinta, ma può essere assunta da molti. Ciò non significa che lo spettatore sia diventato un poliziotto, ma che ha usato dei criteri relativi al pericolo analoghi a quelli che per il poliziotto sono mestiere.
 

HollyFabius

Nuovo forumer
La mia posizione, ceccatiana, è sempre la stessa. La differenza tra le varie discipline consiste nel modo di operare (della mente, principalmente).
Mettiamo la Colonna Traiana.
Per lo storico (nel senso che la guarda in funzione della storia) è una testimonianza di fatti. La guarda cercando la successione dei fatti.
Il filosofo cercherà immagini che suggeriscano riflessioni sull'umanità, magari stigmatizzando le uccisioni, ecc.
Chi applichi una visione artistica ricercherà i ritmi tra forme, tra vuoti e pieni, porterà l'attenzione su luci e ombre e sui loro rapporti, ecc.
Lo scienziato noterà il grado di durezza del materiale, la sua provenienza, lo stato di conservazione ecc.

Si noti che l'oggetto dell'attenzione è sempre lo stesso. Cambia quello che si cerca. Talvolta le ricerche si sovrappongono, per esempio nel valutare la bellezza di un dipinto occorrerà comprendere il suo stato di conservazione, chiedendone conto allo scienziato restauratore. Il quale, a sua volta, nell'intervenire sull'opera chiederà lumi al critico per non usare colori errati, ad esempio.
Ma il fatto che si sovrappongano non elimina la differenza di atteggiamento. Nell'esempio il critico guida le scelte di colore, lo scienziato quelle del pigmento da scegliere, il restauratore, se guidato dal critico, sarà attento a come spennellare.

Il dominio della scienza sta nella ricerca delle cause, ma prima ancora nella fissazione (provvisoria) delle regole. (Regola: l'acqua sta nel bicchiere. Se non ci sta cerco la causa - un buco, l'eccessiva evaporazione, la tremarella di chi regge il bicchiere ...).
Poiché nell'inorganico si trova regolarità di successione a parità di condizioni (nell'organico vi è maggiore variabilità, nell'uomo una libertà di comportamento che contraddice profondamente ogni pretesa di normare), la scienza oggi, dovendo solo normare e spiegare le varianti (teoria degli esperimenti), si può applicare solo all'inorganico, con pochi sconfinamenti. Quando tocca l'organico, il vivente, allora rinuncia a normare ogni caso singolo, ed ha invece un atteggiamento statistico (guarda alla media delle reazioni, ma non può prevedere quella dei singoli: e si parla di piante e animali, con l'uomo è ancora più complicato). La Filosofia vuole invece trovare delle norme riguardanti l'esistenza umana nel cosmo, in pratica i rapporti tra vivente e non vivente

L'artista non persegue la ricerca di regole e di cause, però può assumere un atteggiamento di ricerca scientifico, perché no?, studiando l'anatomia, sperimentando pigmenti ecc. Tutto questo riverserà i suoi risultati sulla sua azione artistica, e se non ha nulla da dire può aver ricercato sin che vuole, se conosce l'anatomia e non ha nulla da comunicare non farà arte.

Come ad un concerto gli ascoltatori vogliono ascoltare la musica e i poliziotti devono vegliare a che nulla disturbi ciò, e però il poliziotto può anche godere delle musiche e lo spettatore preoccuparsi per un brutto ceffo, così la funzione è sempre distinta, ma può essere assunta da molti. Ciò non significa che lo spettatore sia diventato un poliziotto, ma che ha usato dei criteri relativi al pericolo analoghi a quelli che per il poliziotto sono mestiere.
Per ora commento solo dicendo che la posizione non mi soddisfa e mi spiego meglio (anche se non estesamente).
Penso che dividere le attività umane in funzione solo dell'operare sia riduttivo e porto a vincoli pregiudiziali dei quali non vi è necessità.
Descrivere un modo di operare con una etichetta implica anche sottomettere l'operare alla convenzione e quindi in ultima analisi alla esperienza passata.
La realtà però cambia e di conseguenza cambia anche l'operare, un medico trenta anni fa non necessitava di conoscenza informatiche, oggi deve interfacciarsi con apparecchiature che riproducono risultati di analisi e molto altro che allora non esisteva, il suo operare cambia così come la definizione della sua categoria concettuale.
 

baleng

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Per ora commento solo dicendo che la posizione non mi soddisfa e mi spiego meglio (anche se non estesamente).
Penso che dividere le attività umane in funzione solo dell'operare sia riduttivo e porto a vincoli pregiudiziali dei quali non vi è necessità.
Descrivere un modo di operare con una etichetta implica anche sottomettere l'operare alla convenzione e quindi in ultima analisi alla esperienza passata.
La realtà però cambia e di conseguenza cambia anche l'operare, un medico trenta anni fa non necessitava di conoscenza informatiche, oggi deve interfacciarsi con apparecchiature che riproducono risultati di analisi e molto altro che allora non esisteva, il suo operare cambia così come la definizione della sua categoria concettuale.
Per "operare" intendo l'operare dell'attenzione, cioè ciò che essa "tiene" e ciò che essa "scarta". Non intendo l'azione fisica o l'uso degli strumenti.
Il medico, qualunque strumento usi, cerca di definire la malattia e curarla.
L'esempio della Colonna Traiana investigava appunto gli atteggiamenti, cioè le scelte dell'attenzione, che precedono l'azione.
Non si intende limitare pregiudizialmente il numero di questi atteggiamenti/discipline, ne possono nascere e ne nascono continuamente di nuovi.
Per esempio l'atteggiamento di chi crea poesia visiva è diverso da quello, magari contemporaneo, di chi ritrae un personaggio.
Una volta la psichiatria era l'unica possibilità data di studiare la mente e lavorare con tutto ciò. Poi nacque la psicologia. Con un atteggiamento leggermente diverso.
 

giustino

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Partendo dall'assunto che è Dio che crea all'uomo non resta che lo scoprire.;)

Quindi l'attività dello scoprire non riguarda solo la scienza ma anche tutte le attività d'avanguardia, pionieristiche fra le quali ovviamente l'arte.

Caso mai le differenze possono esserci negli ambiti di ricerca.:-?

Per esempio per la scienza le ricerche si limitano alla fisica, matematica, chimica, medicina ecc. ma per l'arte quali sono i limiti delle ricerche? :-?:-?:-?
Io dico nessuno.

Penso che una scienza che non scopre nulla non possa definirsi tale così come un'arte che ricerca soltanto ma non innova per niente non può esser chiamata arte.:tie:
 

baleng

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Partendo dall'assunto che è Dio che crea all'uomo non resta che lo scoprire.;)
.
E perché? Dio può avere donato all'uomo la facoltà di creare cose nuove. Sennò, che lo creava a fare?

Quindi l'attività dello scoprire [ma anche creare] non riguarda solo la scienza ma anche tutte le attività d'avanguardia, pionieristiche fra le quali ovviamente l'arte.
Caso mai le differenze possono esserci negli ambiti di ricerca.:-?
Per esempio per la scienza le ricerche si limitano alla fisica, matematica, chimica, medicina ecc. ma per l'arte quali sono i limiti delle ricerche? :-?:-?:-?
Io dico nessuno.
Purtroppo fai confusione. Le discipline (fisica, medicina ecc) non esistono là fuori come monumenti prima dell'uomo, è l'uomo che le delimita (e ne cambia continuamente l'ambito) in funzione delle proprie domande.
Non è l'ambito di ricerca che fa la differenza, ma le domande poste, l'atteggiamento. Posso vedere CONTEMPORANEAMENTE il mio medesimo campo di terra da agricoltore o da agronomo; la geografia che oggi si insegna comprende elementi che prima neanche per sogno, tipo ecologia, culture ecc. Ma la terra è (quasi) la stessa.
Quanto alle attività "di avanguardia", anche qui, in qualunque campo vi sia un atteggiamento di osservazione e ricerca ci si ritroverà facilmente all'avanguardia. Persino una baby-sitter attenta e intelligente può fare delle importanti scoperte sui neonati, ovvero delle interessanti invenzioni (tipo come far inghiottire un cibo sgradito :-o ).

Penso che una scienza che non scopre nulla non possa definirsi tale così come un'arte che ricerca soltanto ma non innova per niente non può esser chiamata arte.:tie:
La scienza ha il compito di conservare le conoscenze e di rinnovarle. Se non scopre nulla è perché non fa ricerca, ma comunque anche conservare le conoscenze è importante.
L'innovare della "scienza" è diverso da quello dell"'arte". La scienza scopre (la tecnica poi inventa, non è che puoi scientificamente parlando inventare conoscenze: inventi strumenti). L'arte invece, se non crea e in quanto non crea non è adeguata al suo compito. Però necessita anche delle conoscenze del passato: il problema è quanto riesce a farle evolvere in creazione e quanto invece si limiti a riproporle.
 
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baleng

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Poi c'è anche il punto di vista della Scienza dello Spirito. Bello, buono e giusto sono tre aggettivi che corrispondono ai tre campi dell'arte, della religione e della scienza. Un tempo le tre cose erano unite, la scienza veniva tramandata nei Misteri, l'arte era strettamente legata alla religione, i metri di giudizio erano simili per tutti e tre i campi, non esisteva il concetto di autonomia dell'arte, né la scienza poteva andare contro la morale.
Il progresso ha separato questi tre aspetti, che però ora tendono a riunirsi nuovamente, e qui Giustino ci va a nozze, perché se bello e sano (buono) si avvicinano, la forza dell'arte cresce.
Il riavvicinamento non è però un ritorno al passato. Nel frattempo è sorta una maggiore coscienza di queste realtà, e questa non deve andare perduta. Anzi, l'evoluzione, alla fine, consiste nel passare a gradi di coscienza superiori, nell'essere sempre più "svegli".
Perciò l'opera d'arte non va verso la direzione di perdersi nella religione, per esempio, ma nel trovare valori comuni pur nella differenziazione.
Per dare un'immagine, è come quando si vede una folla di cinesi per la prima volta e sembrano quasi tutti uguali; poi si conoscono e si apprende a distinguere veramente ciascuno, infine li si può considerare sia come massa che come individui singoli, che ancora in rapporto alla comune umanità.

Per me la possibilità di tenere insieme attivi sia i concetti dell'agnostico (o ateo?) illuminista Silvio Ceccato che quelli della scienza spirituale viene dalla comune importanza che in ambedue i casi si dà alla coscienza, cioè alla chiarezza dell'operare conoscitivo. Per esempio, posso parlare di arte, religione ecc., ma tengo anche presente che si tratta di operare artistico umano, e al massimo, nella religione, del fatto che se l'antroposofia ci fa conoscere una miriade di esseri spirituali (ciò che per Ceccato resterebbe nell'ambito dell'indimostrato) il senso del loro esistere è dato dalla presenza dell'uomo.
Inoltre, si tratta di affiancare ad un metodo che parte dalla conoscenza avanzata dei processi della mente (Ceccato, linguistica operativa), un altro metodo che vede quegli stessi processi mentali inseriti in una realtà più ampia, della quale essi stessi, che pur se ne discostano quando operano per conoscere, fanno tuttavia parte).
Se è troppo difficile, ci si può tornare :rolleyes:

PS
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Silvio Ceccato, Lucio Fontana e Pino Parini a Milano nel 1964 :fiu:


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giustino

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Poi c'è anche il punto di vista della Scienza dello Spirito. Bello, buono e giusto sono tre aggettivi che corrispondono ai tre campi dell'arte, della religione e della scienza. Un tempo le tre cose erano unite, la scienza veniva tramandata nei Misteri, l'arte era strettamente legata alla religione, i metri di giudizio erano simili per tutti e tre i campi, non esisteva il concetto di autonomia dell'arte, né la scienza poteva andare contro la morale.
Il progresso ha separato questi tre aspetti, che però ora tendono a riunirsi nuovamente, e qui Giustino ci va a nozze, perché se bello e sano (buono) si avvicinano, la forza dell'arte cresce.
Il riavvicinamento non è però un ritorno al passato. Nel frattempo è sorta una maggiore coscienza di queste realtà, e questa non deve andare perduta. Anzi,

Perciò l'opera d'arte non va verso la direzione di perdersi nella religione, per esempio, ma nel trovare valori comuni pur nella differenziazione.
Per dare un'immagine, è come quando si vede una folla di cinesi per la prima volta e sembrano quasi tutti uguali; poi si conoscono e si apprende a distinguere veramente ciascuno, infine li si può considerare sia come massa che come individui singoli, che ancora in rapporto alla comune umanità.

Per me la possibilità di tenere insieme attivi sia i concetti dell'agnostico (o ateo?) illuminista Silvio Ceccato che quelli della scienza spirituale viene dalla comune importanza che in ambedue i casi si dà alla coscienza, cioè alla chiarezza dell'operare conoscitivo. Per esempio, posso parlare di arte, religione ecc., ma tengo anche presente che si tratta di operare artistico umano, e al massimo, nella religione, del fatto che se l'antroposofia ci fa conoscere una miriade di esseri spirituali (ciò che per Ceccato resterebbe nell'ambito dell'indimostrato) il senso del loro esistere è dato dalla presenza dell'uomo.
Inoltre, si tratta di affiancare ad un metodo che parte dalla conoscenza avanzata dei processi della mente (Ceccato, linguistica operativa), un altro metodo che vede quegli stessi processi mentali inseriti in una realtà più ampia, della quale essi stessi, che pur se ne discostano quando operano per conoscere, fanno tuttavia parte).
Se è troppo difficile, ci si può tornare :rolleyes:

Sì la parte finale è un po' difficile per me :wall: mentre la prima parte è molto interessante.:bow:

Ci sono tanti modi di vivere o di farsi... vivere.

C'è una domanda che ogni tanto mi pongo. Chi sta al posto di comando della mia vita? :-?
Chi guida questa macchina che è il mio corpo, la mia mente, la mia anima?:-?

Un esempio per tutti, la salute.

Si può vivere prendendosene cura ogni giorno facendo prevenzione ascoltando le reazioni del proprio corpo oppure far finta di niente e quando non se ne può più correr dal medico ed addossargli tutta la responsabilità.:-R:-R:-R

Per quanto mi è possibile preferisco prendermi questa responsabilità e tanto più mi prendo la responsabilità di guidare me stesso, tanto più scopro delle potenzialità in me sconosciute prima. :cool:

Da ciò ne deriva per esempio che in me, come in molti altri esseri umani, coesistano abilità artistiche, ma anche scientifiche, di relazione, di scoperta di valori interiori, di sensazioni e percezioni di energie sottili finora sconosciute...
Tutto questo mi dice che si può vivere con un'io "separato" a compartimenti stagni, oppure con un io unito dove sono racchiuse più competenze e quindi:
Più si conosce se stessi e più ci si rende conto che in noi i confini fra per es. arte, scienza, filosofia... tendono a scomparire e come dici tu, tanto più un'opera d'arte è bella, buona diventa anche giusta e diventa forte, ad alta energia come dico io.:V
 

baleng

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C'è una domanda che ogni tanto mi pongo. Chi sta al posto di comando della mia vita? :-?
Chi guida questa macchina che è il mio corpo, la mia mente, la mia anima?:-?

Non voglio allargarmi troppo sulla scienza spirituale. Solo per darti un indizio di risposta, però: essa considera che abbiamo un corpo fisico (come i minerali) un corpo vitale (come, anzi, quasi come le piante) un corpo astrale quasi come gli animali (la sede delle passioni e di parte dei pensieri), e un io. Queste 4 realtà corrispondono a stati di coscienza sempre più evoluti nel tempo, che come uomini abbiamo attraversato: il fisico corrisponde al sonno più profondo, il vitale al sonno (le piante "dormono"), l'astrale al sogno, che è più o meno la modalità di coscienza degli animali, l'io a quanto abbiamo di cosciente nella nostra vita da svegli. Però esiste anche un io superiore che reca con sé la missione della nostra vita, la quale vita egli tende a guidare (senza che si perda la libertà), e della quale ha una coscienza ben più ampia rispetto a quella dell'io inferiore, quello che sta scrivendo queste righe, per intenderci. Sogni premonitori, intuizioni profonde, accadimenti "guardacaso" sono legati all'operare dell'io superiore. Il quale poi è in contatto con tutto il mondo spirituale ben più che l'io inferiore.
Ovviamente potrei riempire pagine, che risponderebbero alle mille domande le quali certo sono venute in mente a chi legge.
Invece mi fermo qui. :B
 

HollyFabius

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Poi c'è anche il punto di vista della Scienza dello Spirito. Bello, buono e giusto sono tre aggettivi che corrispondono ai tre campi dell'arte, della religione e della scienza. Un tempo le tre cose erano unite, la scienza veniva tramandata nei Misteri, l'arte era strettamente legata alla religione, i metri di giudizio erano simili per tutti e tre i campi, non esisteva il concetto di autonomia dell'arte, né la scienza poteva andare contro la morale.
Il progresso ha separato questi tre aspetti, che però ora tendono a riunirsi nuovamente, e qui Giustino ci va a nozze, perché se bello e sano (buono) si avvicinano, la forza dell'arte cresce.
Il riavvicinamento non è però un ritorno al passato. Nel frattempo è sorta una maggiore coscienza di queste realtà, e questa non deve andare perduta. Anzi, l'evoluzione, alla fine, consiste nel passare a gradi di coscienza superiori, nell'essere sempre più "svegli".
Perciò l'opera d'arte non va verso la direzione di perdersi nella religione, per esempio, ma nel trovare valori comuni pur nella differenziazione.
Per dare un'immagine, è come quando si vede una folla di cinesi per la prima volta e sembrano quasi tutti uguali; poi si conoscono e si apprende a distinguere veramente ciascuno, infine li si può considerare sia come massa che come individui singoli, che ancora in rapporto alla comune umanità.

Per me la possibilità di tenere insieme attivi sia i concetti dell'agnostico (o ateo?) illuminista Silvio Ceccato che quelli della scienza spirituale viene dalla comune importanza che in ambedue i casi si dà alla coscienza, cioè alla chiarezza dell'operare conoscitivo. Per esempio, posso parlare di arte, religione ecc., ma tengo anche presente che si tratta di operare artistico umano, e al massimo, nella religione, del fatto che se l'antroposofia ci fa conoscere una miriade di esseri spirituali (ciò che per Ceccato resterebbe nell'ambito dell'indimostrato) il senso del loro esistere è dato dalla presenza dell'uomo.
Inoltre, si tratta di affiancare ad un metodo che parte dalla conoscenza avanzata dei processi della mente (Ceccato, linguistica operativa), un altro metodo che vede quegli stessi processi mentali inseriti in una realtà più ampia, della quale essi stessi, che pur se ne discostano quando operano per conoscere, fanno tuttavia parte).
Se è troppo difficile, ci si può tornare :rolleyes:
A mio parere esiste una problematica di fondo non risolta nell'impostazione della Scienza dello Spirito così come in tutte le visioni idealistiche occidentali, cerco di spiegarlo partendo da un esempio.
Quando vado in macchina guido prudentemente. Mi comporto così perchè so che potrei fare un incidente e farmi del male o persino perdere la vita. Il considerare un mondo senza la mia presenza fa parte della mia visione della realtà e volendo allontanare nel tempo il più possibile questa situazione modifico il mio atteggiamento di guida. Ovvero guido con la consapevolezza di un mondo senza la mia presenza, so che questo averrà certamente in futuro ma sono perfettamente cosciente che il mio atteggiamento di guida può allontanare o avvicinare questo mondo esterno a me. La consapevolezza della mia mortalità mi condiziona e modifica i miei atteggiamenti all'interno della mia volontà di allungare la mia esistenza. Questa consapevolezza di mortalità aumenta la lunghezza della mia vita. Il considerare una realtà senza di me mi aiuta ad allungare il tempo di una realtà con me. Esiste un mondo con me, esistiva un mondo senza di me, esisterà un mondo senza di me. I miei comportamenti di guida possono modificare le relazioni temporali tra queste realtà.
La Scienza dello Spirito, e in generali le filosofie religiose occidentali si fondano sulla certezza che qualcosa di natura spirituale simile all'uomo sia sempre esistita, che esista e che sempre esisterà. Questa esistenza è anche soggetta ad un processo di cambiamento, un divenire.
La filosofia, in realtà, ha un dominio intellettuale più ampio. Alcune filosofie posso presupporre una realtà esterna senza l'esistenza umana, senza l'esistenza di uno spirito di natura simile a quella dell'uomo. Questa libertà possibile della filosofia la rende potenzialmente più capace di rappresentarsi visioni della realtà rispetto alla religione o alle filosofie idealiste tra le quale penso si possa includere la Scienza dello Spirito. Questa maggiore capacità può permettere un migliore e più lungo periodo di esistenza dell'uomo perchè ne presuppone una possibile estinzione così come un realtà persa nel tempo passato senza l'uomo.
La stessa Scienza basa la sua impostazione occidentale in un paradigma creativo (il big bang) legato alla cultura occidentale della esistenza atemporale di una spiritualità razionale (e quindi di natura simile all'uomo). Anzi, si può descrivere come fine ultimo della Scienza proprio la volontà di controllo della natura umana sulla realtà, tendendo a porre l'uomo sullo stesso piano immortale dello spirito razionale considerato ispiratore della realtà stessa.
Tutta questa premessa per motivare semplicemente il fatto che quando rifletto sui confini tra le discipline della natura umana (Arte, Scienza, Filosofia) io non considero la religione se non come una delle possibili filosofie.
Questo si riflette anche sulla concezione che abbiamo dell'Arte perchè se l'Arte è posta all'interno di una visione idealista che presuppone l'esistenza di uno spirito essa verrà descritta come una ricerca di linguaggi rivolta alla relazione con il bello spirituale, se posta all'esterno di questa visione essa può indagare linguaggi espressivi e rappresentare realtà che prescindano dall'uomo. La fruizione sarà ovviamente umana, il passaggio di informazioni del linguaggio sarà certamente umana ma l'indagine può oltrepassare i confini limitati della presenza dello spirito e dell'uomo. Ecco la difficoltà che vedo, riconoscere l'Arte come prodotto dell'uomo anche quando non parla dell'uomo, anche quando non esprime espressioni di spiritualità. Per inciso credo che molta parte dell'Arte Contemporanea si ponga proprio fuori dalla visione dell'Arte stessa come rappresentazione dello spirito dell'uomo permanendo però all'interno della pratica dell'agire dell'uomo.
 

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