Appunti di geopolitica (1 Viewer)

lorenzo63

Age quod Agis
....l'energia:

Di seguito un'analisi riguardo il gasdotto Bluestream il quale rappresenta una delle + classiche operazioni di geopolitica..



Due settimana fa, la compania energetica ENI, insieme al suo partner russo Gazprom, ha annunciato di voler raddoppiare la capacità di trasporto della pipeline South Stream da 31 a 63bcm. L’efficienza e l’economicità del progetto sono discutibili secondo un’analisi costi-benefici - soprattutto perchè la capacità di questo progetto esiste già. Le pipeline costruire in epoca sovietica in Ucraina e nell’Est europeo sono ancora lì e funzionanti. La domanda da porsi riguarda dunque le ragioni che spingono a spendere miliardi di euro per un progetto che in parte duplicherebbe delle capacità già esistenti.


Dal punto di vista russo, questa non è altro che una mossa geopolitica che permetterebbe di consolidare ulteriormente il quasi-monopolio di esport di gas verso l’Europa. Simultaneamente, questo progetto ridurrebbe drasticamente il ruolo di paesi problematici quali Ucraina - infatti, la maggior parte del gas che passerebbe attraverso il gasdotto South Stream non aggiungerebbe volumi all’import europeo, ma piuttosto sostituirebbe i volumi attualmente in trastito attraverso Kiev. Di non secondaria importanza è il fatto che questo progetto garantirebbe un vantaggio relativo russo su eventuali competitori quali Iran o Turchia.

L’Iran e l’Iraq sono non a caso gli unici due Paesi con stock gassiferi adequati per poter rappresentare in futuro una fonte importante per l’Europa. Entrambi i Paesi potrebbero accedere all’Europa solo tramite le pipelines turche. Completando il progetto South Stream, la Russia metterà una pressione enorme su progetti alternativi quali il Nabucco - di fatto, questi finiranno per avere una logica economica sempre più ridotta, vista l’esistenza di un altro gasdotto nell’Europa medirionale.

Il risultato finale sarà una maggiore influenza politica ed economica russa sull’Europa e, contemporaneamente, un drammatico indebolimento dei tentativi di assicurare al vecchio continente la sua sicurezza energetica - leggi: minore dipendenza dal gas russo. Infine, inserendo nel progetto due Paesi quali Germania e Italia, la Russia si è anche assicurata contro la possibilità che l’Europa penda eccessivamente verso Washington o che, comunque, possa intraprendere qualsiasi iniziativa politica, economica o militare lesiva degli interessi strategici russi.

Infatti, la combinazione South Stream all’Italia e North Stream alla Germania è un capolavoro geopolitico. Integra negli interessi e nei progetti russi due Paesi centrali del progetto europeo e, così, elimina di fatto non solo la possibilità di una vera politica energetica europa, ma anche le potenziali aspirazioni negoziali vis-à-vis la Russia.

Italia e Germania, dal canto loro, possono essere difficilmente biasimate. Entrambi i Paesi hanno massimizzato i loro interessi senza assorbire dei costi eccessivi. L’Italia, infatti, si è assicurata il rifornimeto di gas, ha permesso all’ENI di incrementare significativament ei propri profitti, e contemporaneamente i legami con la Russia saranno più stretti e migliori. Senza contare, poi, che così facendo l’Italia diversifica ulteriormente i propri rifornimenti. Sono in corso il progetto per il gas liquefatto a Venezia, la partneship con la Libia per petrolio e gas, e con l’Algeria per il gas.

Ovviamente, per la Russia questa è una straordinaria vittoria politica. Già lo scorso anno, proprio per la loro dipendenza dal gas russo, Italia e Germania si rifiutarono di sollevare qualsiasi critica contro Mosca in seguito alla guerra con la Georgia, e si sono nuovamente opposti in maniera ferma all’ingresso di Tsibili nella NATO. E’ prevedibile che in futuro, i due Paesi vengano a dipendere sempre più sulla Russia per le loro scelte relative all’Europa orientale. Non è impensabile che dei due, l’Italia diventi il Paese più affidabile per Mosca. Le sue ambizioni regionali sono minori (a differenza di Berlino, Roma non punta alla leadership Europea) e la pressione che riceverà dai Paesi dell’Est europeo sarà anche inferiore...

Ma terminare il discorso qua è realmente riduttivo:

Il processo sopra descritto potrebbe innestarsi in un quadro molto + ampio in cui la Ue potrebbe fondersi o comunque avere partnership molto piu' profonda con la Russia, stante proprio la spinta che proprio comunque arriva dagli USA con la loro politica sempre + Cinocentrica, che determina da un lato la marginalizzazione degli interessi europei e da altro lato il soffocamento mediante il divieto di misure protezionistiche nei confronti della nostra industria nei confronti dello strapotere economico cinese..
 
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lorenzo63

Age quod Agis
La Russia e l'Ungheria...la partita energetica

La frontiera energetica con la Russia ha già scavalcato l'Ucraina ed è più a ovest, sull'Ungheria. La Gaprom russa ha acquistato il 20% della società ungherese MoL, coinvolta anche nel Nabucco. Ma la Russia preferisce South Stream. Le preoccupazioni ungheresi.

E’ per comprensibili ragioni industriali e politiche che Mosca preferisce lo sviluppo della pipeline per il gas “South Stream” rispetto al progetto “Nabucco”: è noto che la prima struttura passa per il territorio russo, e la seconda no.

Sembrerebbe che il “pericolo” per il Cremlino sia comunque limitato, visto che il consorzio Nabucco fatica a trovare sufficienti forniture per occupare la capacità prevista per il tubo. Eppure, alcune recenti vicende sviluppatesi in Ungheria sembrerebbero suggerire che i russi stanno seguendo attentamente il progresso di Nabucco, mettendo in campo tutte le tattiche possibili.

Tra i principali investitori di Nabucco risulta essere infatti “MoL”, una compagnia energetica ungherese, una delle più grandi aziende indipendenti europee del settore. Si tratta di una sorta di “Gazprom ungherese”, visto che è nata nel 1991 come unione di 9 aziende energetiche statali. Forse è per questa affinità che Gazprom verso la fine di aprile ha rilevato il 21,2% delle quote di Mol, tramite la consociata Surgutneftegas. Il prezzo di acquisto è stato di 1,4 miliardi di euro, e tutto si è svolto in stile russo d’antan, in un aurea di riservatezza che ha escluso qualsiasi tipo di preavviso al governo di Budapest. Il presidente ungherese Laszlo Solyom ha potuto solo protestare per la procedura seguita; il suo ministro degli Esteri ha convocato l’ambasciatore russo per chiedere spiegazioni. Ma l’operazione era già conclusa.

E’ necessaria una premessa: l’energia è uno dei settori più sensibili per gli ambienti politici e industriali ungheresi, proprio per il fatto che porta con sé un retaggio a tinte fin troppo fosche del passato sovietico
Anche la gestione della rete nazionale di distribuzione del gas può diventare una “dimostrazione di tutte le negoziazioni segrete che hanno trasformato il settore energetico di questa parte dell’Europa in un pantano”, secondo un recente articolo dell’Herald Tribune. E’ per questo che Budapest si è preoccupata oltre ogni misura quando si è diffusa la notizia che Gazprom si celasse dietro alla cessione di alcune quote in “Emfez”, una società ungherese che controlla un quinto del mercato di gas nazionale.

Emfez era stata creata nel 2003 da un imprenditore ucraino, Dmitry Firtash, che la riforniva di gas da un’altra azienda di sua proprietà, la RosUkrEnergo, quest’ultima partecipata da Gazprom. Tra le attività secondarie di RosUkrEnergo, e forse tra le prime a livello lucrativo, c’era quella di vendere il gas russo e turkmeno all’Ucraina. Il destino ha voluto che nel corso dell’ultima disputa russo-ucraina, il primo ministro di Kiev Julia Tymoschenko si sia accordata con Putin perché l’Ucraina comprasse direttamente il gas da Mosca, facendo fuori RosUkrEnergo dal giro – un giro che valeva circa 800 milioni di dollari l’anno.

La notizia curiosa è giunta dopo: RosUkrEnergo non avrebbe più rifornito Emfez. Il gas per l’Ungheria sarebbe stato comprato dalla “RosGas”, un’azienda di sede svizzera, fino allora pressoché ignota. O almeno, di provenienza incerta, se si considerano le voci insistenti che la vogliono imparentata con Gazprom.

Gazprom sostiene di non aver nulla a che fare con Rosneft; su diverse testate si è sostenuto invece che RosGas sia legata alla bulgara Overgas, dalle dirette relazioni con Gazprom. Quale che sia la verità, un punto chiaro comunque c’è: per anni ci siamo preoccupati di un possibile ritorno della Russia in Europa, dopo l’aggressiva avanzata della NATO verso Est. Le vicende ungheresi suggeriscono che il confine si è già spostato oltre l’Ucraina.
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lorenzo63

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l’asse del secolo si chiama chimerica..forse...

Solo la Cina sembra in grado di salvare il capitalismo globale. Europei e russi non possono competere con questo G-2 informale ma inaggirabile. Pechino teme che il declino Usa non le dia il tempo di negoziare una nuova governance globale.

Nel mezzo della grande recessione del 2008-2009 a Pechino molti cinesi si chiedono: «Ce la farà l’America?» Pochi sembrano interessati a capire come usciranno dalla crisi l’Unione Europea o la Russia. Per la classe dirigente cinese la sfida che conta è quella con gli Stati Uniti. Il rischio che domina la loro attenzione è che l’America si indebolisca troppo rapidamente rispetto alla capacità cinese di riempire un vuoto di leadership. Per quanto la simbiosi tra le due superpotenze sia instabile e precaria, chimerica deve sopravvivere adattandosi: è la cornice entro cui i dirigenti di Pechino hanno imparato a pensare il mondo. La crisi accelera sia in Asia che in Occidente la presa di coscienza che la Cina può essere chiamata ad assumere un nuovo ruolo, molto prima di quanto i suoi stessi dirigenti si aspettassero. Il presidente Hu Jintao, il premier Wen Jiabao e la loro squadra si erano preparati ad affrontare il 2009 con ben altre preoccupazioni. Il 2009 era atteso come l’anno politicamente delicato dei «tre anniversari»: sessantesimo dalla fondazione della Repubblica Popolare, cinquantesimo dalla fuga del Dalai Lama, ventesimo dal massacro di piazza Tienanmen. Poi si è aggiunta l’ulteriore minaccia venuta da fuori, il crollo delle vendite di prodotti made in China sui mercati mondiali, i fallimenti a catena di imprese industriali, le decine di milioni di licenziamenti. Ma via via che Pechino si attrezzava ad affrontare in simultanea tutte queste emergenze economiche, sociali e politiche, si è affacciata nel suo gruppo dirigente una speranza: che la Cina possa uscire dalla crisi più velocemente dell’Occidente e in condizioni di maggiore forza relativa.
 
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lorenzo63

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Ancora in termini di futuri rapporti UE USA RPC e RUSSIA

Ed a margine di quanto sopra potrebbero esserci movimenti in senso opposto rispetto alla linea fin qui seguita dagli USA nei confronti di UE e RPC

RUSSIA - Kaliningrad è un lembo di terra russa che si affaccia sul Mar Baltico ed è circondato da Polonia e Lituania in un abbraccio europeo ed atlantista, alla luce delle appartenenze dei due paesi confinanti, sia all’Ue che alla Nato. L’antica Konisberg, capitale della Prussia orientale ha visto tra i suoi illustri cittadini Immanuel Kant il filosofo dell’illuminismo tedesco ed è stata pertanto un centro della cultura europea.
La sua posizione geografica la rende strategicamente appetibile e funzionale ai progetti di Mosca che in questa enclave ha il suo avamposto in Europa. Tanta è la sua importanza, che Kaliningrad è tornata prepotentemente al centro dello scacchiere geopolitico nei mesi scorsi durante la fase di maggior tensione tra Russia e Usa. Lo scudo antimissile previsto da Washington e finalizzato a proteggere l’Europa da eventuali attacchi degli Stati-canaglia, aveva irritato non poco l’allora Presidente Putin.
Allo scudo spaziale in Polonia e Repubblica Ceca, Mosca ha risposto annunciando l’installazione di missili Iskander nella regione di Kaliningrad rivolti verso gli stati membri della Nato. La risposta al piano di scudo spaziale ha portato ad una corsa al riarmo.
Il 28 gennaio l’annuncio a sorpresa. L’agenzia di stampa russa Interfax lancia la notizia. Un alto responsabile delle forze armate russe dichiara che il progetto che prevedeva l’installazione di missili a Kaliningrad, è sospeso. Tale notizia non può non essere messa in relazione con l’insediamento a Washington del neo presidente statunitense Barack Hussein Obama. Il cambio al vertice della Casa Bianca è stato accolto con entusiasmo ed interesse tanto che la notizia dello stop al riarmo russo è stata data dopo la telefonata tra Obama e Medvediev, i quali sono concordi nel costruire relazioni nuove tra i due stati lasciandosi alle spalle ciò che è accaduto durante le precedenti amministrazioni. Infatti lo stop, comunque momentaneo, dell’installazione di missili in territorio russo, è stato possibile “dal momento che la nuova amministrazione americana non sta procedendo con i suoi piani per dispiegare la terza fase del sistema di difesa anti-missilistica in Polonia e nella Repubblica Ceca”.
Il nuovo presidente Obama ha, infatti, detto in più occasioni di dover valutare i costi e l’utilità dello scudo spaziale anti-Iran, dichiarazione che tradotta in pratica, potrebbe lasciar ben sperare su un ripensamento anche da parte Usa.
Che potrebbe anche portare anche ad un ribaltamento della politica USA fin qui seguita: se ne potrebbero vedere a esempio i prodomi nel riavvicinamento tra India e Cina unita alla richiesta cinese di rivedere il dollaro come moneta di scambio globale; Potrebbe essere l’inizio di una rottura di quel sodalizio CINA USA che unitamente alla gestione funambolica della finanza ci ha portato a questo…ricordiamo? La iperproduzione che sbilancia fortemente gli assetti economici delle Nazioni, unità alla non permeabilità del sistema economico cinese.
Da parte statunitense, Kurt Volker, ambasciatore degli Usa presso la Nato, commenta positivamente la notizia della sospensione dell’installazione missilistica russa, ma attende ovviamente conferme ufficiali, che per ora sono mancate. La metodologia dell’annuncio appare infatti, non casuale da parte russa
Tatticismi diplomatici duri a morire che evidenziano come, a dispetto della formale cordialità post-elezioni, vi sia ancora molta diffidenza di Mosca verso Washington. Il nodo probabilmente verrà sciolto ufficialmente durante il primo incontro ufficiale tra Obama e Medvediev che dovrebbe avvenire in aprile, occasione utile per chiarire definitivamente le reciproche posizioni
 

lorenzo63

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Artico

Gia' postato forse con migliore completezza in altra parte...

Chi riuscirà ad avere la supremazia dell’Artico avrà eccezionali vantaggi economici, non trascurando inoltre le vaste risorse naturali dell’area: petrolio, gas, minerali e fauna marina. La Norvegia raccoglie già i frutti del disgelo, diventando dall’inizio del 2008 il secondo produttore di gas naturale al mondo grazie allo sfruttamento di nuovi giacimenti nel Mare di Barents, fino a pochi anni fa inaccessibili a causa del permafrost. Nel 2001 il tentativo della Russia di conquistare una grossa fetta dell’Artico, incluso il Polo Nord, è stato bloccato dalle altre nazioni della regione. Anche prima della sorprendente notizia dell’offerta di 5,4 miliardi di dollari da parte di Vladimir Putin per un prestito di emergenza al governo islandese, la Russia aveva cercato di rafforzare la propria presenza in questa parte del mondo dove l’intervento dei membri dell’Alleanza Atlantica era pressoché latitante. Sebbene i sottomarini americani continuino le proprie esercitazioni militari nei mari del Nord, le navi dei membri della Nato vengano avvistate di rado. Gli Stati Uniti avevano inoltre deciso la chiusura della loro base aerea a Keflavik, in territorio islandese, già nel 2006. A dispetto della crisi finanziaria e della sospensione anticipata dei titoli del Micex e del RTS di inizio ottobre, il Cremlino, dal canto suo, continua ad aprire i propri forzieri mettendo a disposizioni oltre 500 miliardi di dollari a sostegno di un paese in preda ad una bufera economica. Anche le manovre navali vicino alle piattaforme petrolifere nel Mare del Nord e le frequenti e improvvise sortite di velivoli ed elicotteri sono fonte di turbamento. Alcune fonti di intelligence affermano infatti che i sottomarini russi nel nord stiano testando questo siluro a corta gittata, che grazie all’utilizzo del fenomeno della supercavitazione può raggiungere la velocità di circa 500 km/h. Mosca sta quindi cercando di mostrare i propri muscoli creando una nuova realtà in uno spazio strategico vuoto. Secondo la terza Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982, ognuno dei paesi affacciati sull’area Artica può estendere i propri diritti per lo sfruttamento delle risorse naturali, minerarie, energetiche e biologiche, dalle attuali 200 a 350 miglia, se viene scientificamente provato che le 150 miglia aggiuntive rappresentano effettivamente il prolungamento naturale della piattaforma continentale, cosa che hanno tentato di fare i russi con i loro batiscafi. La poca chiarezza giuridica in materia aumenta inevitabilmente il margine di manovra del Cremlino. La "zona grigia" al largo della punta settentrionale della Norvegia è contesa da entrambi i paesi. Un’altra controversia riguarda l’isola di Spitsbergen dell’omonimo arcipelago, di cui la Russia possiede i diritti minerari dal 1920. Oslo afferma invece che la piattaforma continentale attorno ad essa sia di sua proprietà.
Nel frattempo il Canadà ha rafforzato la propria presenza...
 

lorenzo63

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La Cina, Pak - Afghanistan, gli Usa la UE

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Da quello che si evince sotto anche in questo caso la Cina ancorchè agire in un consesso internazionale di stabilizzazione persegue proprie politiche atte ad indebolire e/o destabilizzare la zona onde colpire gli interessi non eminentemente suoi.
Quindi, palesemente una ricucitura dei rapporti con Whashington anche attraverso l'invio di soldati (500) in Afghanistan -offerti da Berlusconi come tangibile segno ed accettati da Obama- unito allo lo sforzo di favorire le relazioni Russo Americane anche utilizzando i canali aperti da Berlusconi potrebbe essere una traccia che forse Obama vede nella Cina un pericolo per la stabilità mondiale...
La crisi in Pak-Afghanistan bussa minacciosa ai suoi confini e la Repubblica popolare cinese (Rpc), dopo anni di guardinga attesa, coincisi con la caduta del regime talebano a Kabul, decide di mettere in gioco nel ‘cimitero degli imperi’ tutto il peso della sua diplomazia proteiforme.

Exit strategy, impegno regionale, disponibilità a intavolare trattative con l’ala ‘moderata’ del fronte talebano. La leadership cinese ha plaudito alla sterzata che Barack Obama ha impresso alla politica di Washington in Afghanistan e Pakistan, incendiati da oltre sette anni da un conflitto apparentemente senza soluzione, che ha il suo epicentro nella regione a cavallo della Linea Durand, il confine tra i due Paesi tracciato all’epoca della dominazione britannica del subcontinente indiano.

La Cina teme un escalation delle operazioni militari americane e Nato in Pakistan, in particolare nella provincia del Balucistan (dove, secondo resoconti di intelligence, si nasconderebbe da tempo il Mullah Mohammed Omar).


I CONTATTI CON IL JAMAAT-I-ISLAMI

Lo scorso febbraio, il Partito comunista cinese (Pcc) ha ospitato in Cina una delegazione del Jamaat-i-Islami (Ji), il principale partito politico islamico pakistano, legato a doppio filo alla Fratellanza Musulmana. Indipendenza, eguaglianza, reciproco rispetto e ‘non-interferenza’ negli affari interni al Paese dell’altra, sono i cardini del memorandum d’intesa siglato dalle due parti al termine degli incontri.

Il Ji ha poi espresso pieno sostegno all’integrità nazionale e ‘geografica’ della Cina, alla sua politica nei confronti di Tibet, Taiwan e Xinjiang, mentre i cinesi hanno ribadito il loro appoggio alle rivendicazioni pakistane sul Kashmir. Già nel 1980, Qazi Hussain Ahmed, leader del Ji, si recò in missione in Cina per convincere i separatisti musulmani del Xinjiang a fermare l’insorgenza contro il governo centrale. All’epoca – come probabilmente anche oggi – il broker dell’iniziativa fu l’Isi (Inter-Services Intelligence, i servizi segreti pakistani), che in cambio guadagnò il sostegno cinese alla causa antisovietica in Afghanistan.

La mossa di Pechino si spiega probabilmente con la convinzione che la situazione al confine tra Pakistan e Afghanistan sia prossima precipitare e che il governo di Asif Ali Zardari a Islamabad non sia in grado di rispondere alle sue richieste di sicurezza.

Obiettivo della Cina è impedire che i fondamentalisti legati al Mullah Omar e ad al-Qaeda ritornino al potere, gettando l’Afghanistan e il Pakistan nelle mani di interlocutori poco affidabili. Un segno di questo cedimento progressivo al fondamentalismo militante si è avuto lo scorso 17 marzo in Pakistan, con l’introduzione della sharia nella Valle di Swat (North-West Frontier Province, Nwfp).

Il canale aperto con il Ji può aiutare Pechino a stringere contatti con l’opposizione interna a Zardari: l’ex premier Nawaz Sharif, leader del Pakistan Muslim League-Nawaz, fino a qualche mese fa alleato del vedovo di Benazir Bhutto, e il movimento dei giudici e degli avvocati pakistani. Questo blocco politico negli ultimi giorni ha ottenuto una significativa vittoria nei confronti del presidente pakistano (considerato da molti un burattino nelle mani degli americani), costringendolo a reintegrare i giudici della Corte Suprema di Islamabad destituiti da Pervez Musharraf dopo il golpe bianco dell’autunno 2007.
Il Ji ha poi contatti consolidati con l’universo islamista afghano, in particolare con due eroi della jihad anti-sovietica: Burhan-ud-din Rabbani, leader del Jamiat-i-Islami, e Abdul Rab Rasool Sayyaf, guida di Ittehad-i-Islami Afghanistan.

Eroe della guerriglia anti-sovietica, potente warlord della Valle del Kunar e figura di primo piano nel traffico di droga locale, Hekmatyar è da sempre considerato la primula rossa del fondamentalismo afghano (non-talebano). Il suo gruppo, Hezb-e-Islami Afghanistan, ha una struttura politica molto radicata nel Paese e giocherà probabilmente un ruolo di rilievo nelle presidenziali del prossimo agosto. Alla stregua di allora, Pechino può oggi sfruttare i contatti e l’influenza di questi attori per disinnescare le pulsioni separatiste nel Xinjiang (Turkestan Orientale), la regione autonoma nord-occidentale cinese, abitata in larga parte dagli uighuri, una popolazione turcofona di credo musulmano.

Il regime guidato da Hu Jintao considera il separatismo uighuro – con quello tibetano – la più grande minaccia alla integrità e stabilità del Paese. L’11 settembre 2001 e la guerra al terrorismo globale di George W. Bush hanno dato ai dirigenti di Pechino il pretesto per accostare indiscriminatamente i dissidenti uighuri al fondamentalismo islamista. Una campagna che ha dato i suoi frutti, visto l’inserimento nel 2002 del Movimento islamico del Turkestan Orientale (Etim), la principale formazione separatista nel Xinjiang, nella lista Usa dei gruppi terroristi.

Miliziani uighuri avrebbero partecipato negli anni Ottanta alla jihad afghana contro i sovietici. All’epoca si sarebbero insediati nell’area montagnosa di Tora Bora (Afghanistan meridionale). La principale preoccupazione di Pechino è che questi luoghi si possano trasformare in basi per lanciare attacchi in territorio cinese.


Nel 1998 le due parti stipularono un accordo con il quale, in cambio di assistenza militare, il regime degli ‘studenti coranici’ si impegnava a non fornire supporto e addestramento ai guerriglieri uighuri tornati nel Xinjiang dopo il ritiro dei sovietici dall’Afghanistan nel 1989. Nel 2000, poi, i cinesi strapparono ai talebani la promessa che nessun gruppo di fuoco attivo in Afghanistan avrebbe sferrato attacchi in Cina.


L’IMMUNITA’ PERDUTA E IL PERICOLO NEOTALEBANO

Oggi, però, sembra che nel ‘Pashtunistan’, l’area a maggioranza pashtun a cavallo del confine afghano-pakistano, culla del movimento talebano, il vento stia cambiando anche per la Rpc. Contrariamente a quanto accadeva prima del crollo del regime del Mullah Omar, pertanto, le nuove leve integraliste sarebbero poco disposte a ‘dialogare’ con gli infedeli cinesi.

L’esatto momento in cui Pechino ha perso la sua immunità in Afghanistan e Pakistan è l’estate del 2007, con i raid compiuti dagli affiliati della Lal Masjid (la Moschea Rossa, la madrassa estremista di Islamabad, chiusa con il pugno di ferro da Musharraf proprio in seguito a questi eventi) contro il personale cinese di alcune ‘sale massaggi’.

La Cina è ben conscia che la mancata pacificazione alla sua frontiera sud-occidentale si tradurrebbe in gravi perdite per l’export nazionale, già colpito duramente dalla crisi economica mondiale. Via terra lungo la Karakorum








Highway (l’arteria stradale che collega il Xinjiang con il Pakistan settentrionale), e via mare grazie al porto di Gwadar (uno dei capisaldi del ‘filo di perle’ marittimo cinese nell’Oceano Indiano).

Le ultime mosse della Cina in Pak-Afghanistan dovrebbero essere lette anche nella cornice della competizione regionale con l’India. Il collegamento con il Ji – molto vicino ai gruppi separatisti e fondamentalisti attivi nel Kashmir – permetterebbe in particolare ai cinesi di giocarsi una carta potenzialmente destabilizzante per gli interessi indiani nell’area.

Avere al potere in Afghanistan personaggi del calibro e con la storia di Hekmatyar e Rabbani, infine, per Pechino significherebbe poter contare su vecchi alleati di acceso orientamento anti-russo. Un antidoto ai piani di Mosca di allargare la propria sfera di influenza nel nord del Paese, nello spazio che va da Mazar-e-Sharif alla Valle del Pansheer, dove vivono in prevalenza gruppi di etnia tagika e uzbeka.
 

lorenzo63

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I TRE IMPERI .. un libro da acquistare per chi ne vuole sapere..

...Io l' ho pagato quasi niente per via dei bonus :D:D:D

Comunque di Parag Khanna, I tre imperi, Nuovi equilibri globali nel XXI secolo, Fazi Editore


Imperi tra globalizzazione e geopolitica: un G3 alla conquista del mondo?
Alberto Biginelli


Un direttorio sembra destinato a governare il mondo nei prossimi decenni: Cina, Stati Uniti ed Unione europea, i tre imperi del XXI secolo, si spartiranno potere ed aree d’influenza nel pianeta. Archiviata la breve fase dell’unipolarismo americano, eccoci all’alba di una coesistenza competitiva, dove in ballo vi è la supremazia globale.

Troveremo quindi le tre potenze in coda al «mercato della geopolitica» sfidarsi attorno alla principale area di contesa dei prossimi anni: il «secondo mondo», ovvero quel vasto ed eterogeneo gruppo di paesi dove risiede la maggioranza della popolazione del pianeta; si tratta di circa cento stati dal futuro incerto, in bilico tra sviluppo e bancarotta, tra ambizioni di promozione nel ristretto club dei ricchi e timori di caduta tra le nazioni dimenticate. Ma, soprattutto, serbatoi di risorse vitali per i tre grandi ed «ago della bilancia» della sfida inter-imperiale.

Questo lo scenario, a tratti “dantesco”, tratteggiato da Parag Khanna, direttore del progetto di ricerca Global Governance Initiative presso la New America Foundation, nelle pagine del suo primo libro. The Second World è sbarcato recentemente anche in Italia col titolo I tre imperi. Nuovi equilibri globali nel XXI secolo e con prefazione di Vittorio Emanuele Parsi. Nonostante la sua giovane età, l’autore vanta già nel suo curriculum numerose consulenze di prestigio tra cui quella con Obama durante la recente campagna elettorale, con il World Economic Forum di Davos e con alcune importanti testate giornalistiche.

Il libro di Khanna si inserisce in un filone di saggi di successo sul mondo che verrà fornendo un’interpretazione originale della futura geopolitica del potere. Nel corso del testo, l’autore delinea progressivamente i contorni di un imminente confronto globale tra “pan-regioni”: Usa, Ue e Cina tendono, infatti, con stili e strategie differenti, ad esportare il proprio modello imperiale ed ampliare le rispettive zone di influenza, avendo nel loro stesso Dna la “necessità di espandersi al fine di sopravvivere” (secondo la teoria espressa un secolo fa dal geografo Friedrich Ratzel).

Tra Cina e Stati Uniti, l’autore scommette sulle prospettive future dell’Unione europea: “la Ue è di gran lunga l’impero più benvoluto e meglio riuscito della storia, poiché, anziché dominare, educa”. Un giudizio che, quantomeno, induce a riflettere sul divario di percezioni oggi esistente a proposito del futuro dell’Unione: il fascino che il modello Ue riscuote nel mondo stride col diffuso scetticismo di buona parte degli (analisti) europei. Come sottolinea Khanna, lo spazio ex-sovietico costituirà – Russia permettendo – la naturale area di espansione del gigante europeo che attrae a sé sempre nuovi territori, “trasformando vicini indisciplinati in membri produttivi” attraverso un sapiente mix di regole ed incentivi.

L’Unione europea si dovrà, tuttavia, confrontare con la straordinaria ascesa della Cina che sta silenziosamente rilevando le sfere d’influenza statunitense in Asia (e non solo), forgiando a sua immagine e somiglianza una vasta area del pianeta compresa nel triangolo India-Giappone-Australia di cui è ormai il cuore pulsante. Se la Cina è vista sempre di più come un’opportunità e non più come una minaccia, gli Usa vivono ovunque un drastico ridimensionamento della loro influenza; Washington deve ora riconquistare la fiducia di molti partner, a cominciare dal “cortile di casa”: l’America Latina.

Sfogliando le pagine di questo imponente volume, affiorano le dinamiche e le caratteristiche del sistema internazionale in nuce: Washington, Pechino e Bruxelles costituiranno i tre pilastri di un equilibrio geopolitico dinamico, raffigurabile come uno “sgabello: su due sole gambe non si può reggere, su tre si”. Le tre potenze imperiali dovranno, tuttavia, confrontarsi – meglio se all’interno di un nuovo G3 – sia per collaborare alla definizione di un’agenda globale e scrivere insieme le nuove regole del gioco, sia per prevenire le insidie della competizione sfrenata. Se infatti le forze aggreganti della globalizzazione paiono scoraggiare oggi qualsiasi ipotesi di scontro, l’autore, citando Brecht, avverte tuttavia che “la guerra è come l’amore, trova sempre un modo per farsi strada”: ove gli istinti della geopolitica prevalessero di nuovo sulle dinamiche della globalizzazione, arrestandone il corso, il mondo perderà “l’occasione di relegare definitivamente la storia al passato”.

Insomma, per riprendere Kupchan, “la sfida centrale del futuro sarà la stessa del passato – governare le relazioni tra centri di potere in concorrenza”.

Il mondo multipolare (non per forza multilaterale), frutto di “allineamenti invece che di alleanze”, descritto da Khanna con una rapida successione di sintetici ma efficaci affreschi delle aree strategiche del pianeta, sarà sicuramente meno occidentale, probabilmente meno “democratico” e policentrico di ciò che si immagina: i tre imperi cercheranno infatti di conservare il potere nelle loro mani ostacolando l’ascesa di nuove potenze.

Le considerazioni espresse nel libro sono frutto di un viaggio ragionato attraverso il mondo intero, ispirato dalla vita e dall’opera dello storico inglese Arnold Toynbee; oggi Parag Khanna trascina dunque il lettore alla scoperta del “secondo mondo” e dei luoghi simbolo del XXI secolo dove “geopolitica e globalizzazione si scontrano e si fondono”: dalle nuove capitali della globalizzazione quali Dubai ed il Cairo agli snodi del commercio internazionale come il Golfo Persico, lo stretto di Malacca o le numerose nuove “vie della seta” che attraversano gli stan postsovietici; ma l’autore ci guida anche negli angoli più impervi ed apparentemente più restii alla modernità percorrendo le montagne inaccessibili dell’Heartland centroasiatico o le profondità geografiche della Cina. Dal diario di questo viaggio annotiamo così che, più che Giappone, Russia, India ed Iran, saranno il Venezuela ed il Brasile, la Turchia e l’Egitto, l’Ucraina ed il Kazakistan, la Malesia, Singapore e la Corea del Sud i nuovi protagonisti della geopolitica del futuro: ed altrettanti outsider sono già in rampa di lancio.

Nessuna sorpresa, dunque, se i capitoli del libro oltrepassano di frequente i confini della cartografia ufficiale e le tradizionali teorie della politica per seguire i nuovi sentieri naturalmente tracciati dalla globalizzazione: tra una passeggiata nelle periferie di Astana o sorseggiando un caffè ad Istanbul, l’autore descrive nuovi sistemi di potere, svela universi di valori e sistemi socio-culturali in evoluzione, analizza opportunità e rischi geopolitici, compara modelli di sviluppo.

Per constatare che i flussi commerciali, i nuovi e vecchi network, la geopolitica delle risorse naturali, ma anche le tradizioni culturali e le tendenze sociali uniscono nel mondo ciò che è ancora nominalmente diviso, facendo emergere una nuova, sorprendente mappa del potere.



Un direttorio sembra destinato a governare il mondo nei prossimi decenni: Cina, Stati Uniti ed Unione europea, i tre imperi del XXI secolo, si spartiranno potere ed aree d’influenza nel pianeta. Nuovi equilibri globali nel XXI secolo e con prefazione di Vittorio Emanuele Parsi.

Il libro di Khanna si inserisce in un filone di saggi di successo sul mondo che verrà fornendo un’interpretazione originale della futura geopolitica del potere.

Tra Cina e Stati Uniti, l’autore scommette sulle prospettive future dell’Unione europea: “la Ue è di gran lunga l’impero più benvoluto e meglio riuscito della storia, poiché, anziché dominare, educa”. Un giudizio che, quantomeno, induce a riflettere sul divario di percezioni oggi esistente a proposito del futuro dell’Unione: il fascino che il modello Ue riscuote nel mondo stride col diffuso scetticismo di buona parte degli (analisti) europei.

L’Unione europea si dovrà, tuttavia, confrontare con la straordinaria ascesa della Cina che sta silenziosamente rilevando le sfere d’influenza statunitense in Asia (e non solo), forgiando a sua immagine e somiglianza una vasta area del pianeta compresa nel triangolo India-Giappone-Australia di cui è ormai il cuore pulsante. Le tre potenze imperiali dovranno, tuttavia, confrontarsi – meglio se all’interno di un nuovo G3 – sia per collaborare alla definizione di un’agenda globale e scrivere insieme le nuove regole del gioco, sia per prevenire le insidie della competizione sfrenata. Se infatti le forze aggreganti della globalizzazione paiono scoraggiare oggi qualsiasi ipotesi di scontro, l’autore, citando Brecht, avverte tuttavia che “la guerra è come l’amore, trova sempre un modo per farsi strada”: ove gli istinti della geopolitica prevalessero di nuovo sulle dinamiche della globalizzazione, arrestandone il corso, il mondo perderà “l’occasione di relegare definitivamente la storia al passato”.

Insomma, per riprendere Kupchan, “la sfida centrale del futuro sarà la stessa del passato – governare le relazioni tra centri di potere in concorrenza”.
Le considerazioni espresse nel libro sono frutto di un viaggio ragionato attraverso il mondo intero, ispirato dalla vita e dall’opera dello storico inglese Arnold Toynbee; oggi Parag Khanna trascina dunque il lettore alla scoperta del “secondo mondo” e dei luoghi simbolo del XXI secolo dove “geopolitica e globalizzazione si scontrano e si fondono”: dalle nuove capitali della globalizzazione quali Dubai ed il Cairo agli snodi del commercio internazionale come il Golfo Persico, lo stretto di Malacca o le numerose nuove “vie della seta” che attraversano gli stan postsovietici; ma l’autore ci guida anche negli angoli più impervi ed apparentemente più restii alla modernità percorrendo le montagne inaccessibili dell’Heartland centroasiatico o le profondità geografiche della Cina.

Nessuna sorpresa, dunque, se i capitoli del libro oltrepassano di frequente i confini della cartografia ufficiale e le tradizionali teorie della politica per seguire i nuovi sentieri naturalmente tracciati dalla globalizzazione: tra una passeggiata nelle periferie di Astana o sorseggiando un caffè ad Istanbul, l’autore descrive nuovi sistemi di potere, svela universi di valori e sistemi socio-culturali in evoluzione, analizza opportunità e rischi geopolitici, compara modelli di sviluppo.......

Per constatare che i flussi commerciali, i nuovi e vecchi network, la geopolitica delle risorse naturali, ma anche le tradizioni culturali e le tendenze sociali uniscono nel mondo ciò che è ancora nominalmente diviso, facendo emergere una nuova, sorprendente mappa del potere.
 

lorenzo63

Age quod Agis
non penserai mica che mi metto a leggere tutta sta roba ;)


:lol::lol::lol: ... E l'ho pure ristretto .... pensa....:D

+ seriamente (ma nn troppo..) sono temi molto importanti e complessi per cui si perde tempo nell' illustrare motivi e posizioni di ogni singolo attore....poi quando passi ad un'analisi proiettata nel prossimo futuro apriti cielo...
 

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