Anselm Kiefer (1 Viewer)

vecchio frank

could be worse...
Su Robinson di oggi (l'inserto culturale di Repubblica) sei pagine più la copertina dedicate ad Anselm Kiefer e alla mostra che sta per aprirsi a Palazzo Ducale a Venezia in concomitanza con la Biennale, dal titolo "Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce". Fino al 29 ottobre, i suoi giganteschi pannelli copriranno le pitture del Tintoretto e di Jacopo Palma il Giovane nelle due sale dello Scrutinio e della Quarantia Civil Nuova.
Ecco, devo dire che se c'è un artista contemporaneo che può permettersi ciò, è proprio e solo Kiefer. Se lo avessero fatto fare a qualcun altro mi sarei incazzato come una bestia...
Se il tempo e la voglia me lo consentiranno, mi propongo di trattare qui la sua opera con l'aiuto di qualche libro di cui dispongo.
 

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Forumer storico
Su Robinson di oggi (l'inserto culturale di Repubblica) sei pagine più la copertina dedicate ad Anselm Kiefer e alla mostra che sta per aprirsi a Palazzo Ducale a Venezia in concomitanza con la Biennale, dal titolo "Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce". Fino al 29 ottobre, i suoi giganteschi pannelli copriranno le pitture del Tintoretto e di Jacopo Palma il Giovane nelle due sale dello Scrutinio e della Quarantia Civil Nuova.
Ecco, devo dire che se c'è un artista contemporaneo che può permettersi ciò, è proprio e solo Kiefer. Se lo avessero fatto fare a qualcun altro mi sarei incazzato come una bestia...
Se il tempo e la voglia me lo consentiranno, mi propongo di trattare qui la sua opera con l'aiuto di qualche libro di cui dispongo.
Per me un bravo artista. Attendo le tue ricerche!
 

vecchio frank

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Trascrizione integrale dell’intervista ad Anselm Kiefer apparsa sul numero del 2aprile 2022 di Robinson, inserto settimanale di La Repubblica, a cura di Dario Pappalardo.

C’è un senso nella storia?
Sì, c’è, ma è un senso che cambia per ciascuno di noi. La storia è come l’argilla. La plasmiamo a nostro modo perché non esiste nella sua verità oggettiva. Oggi Vladimir Putin si è costruito un senso della storia tutto suo. Ma per conoscere davvero che cosa è accaduto occorre studiare tutti i punti di vista. A me interessa come gli artisti si apportano alla storia, che cosa ne fanno.

Nei suoi dipinti la storia è guerra. I paesaggi ne portano le tracce.
Il paesaggio non è mai innocente. Se guardiamo bene, porta sempre reminiscenze di catastrofi, di guerre.

Questa sua considerazione dipende dal fatto di essere nato nella Germania nazista, tra i bombardamenti e le rovine?
Esatto. La notte in cui sono nato in ospedale, l’8 marzo 1945 a Donaueschingen, è la stessa in cui la nostra casa è stata bombardata. Se non fossi nato quella notte, la mia famiglia si sarebbe estinta. Ci siamo spostati in una seconda casa, ma quella bruciata è stata il mio primo campo di giochi, tornavo sempre lì: il più meraviglioso playmobil che un bambino potesse avere. Ai miei occhi le rovine erano fantastiche e piene di potenzialità. Rappresentavano la realtà. Per me sono state l’inizio, non la fine.

Che cosa può fare un artista in tempo di guerra?
L’altra notte ho sognato di discutere con Putin, ma non ricordo bene, non potevo esprimermi, sentivo un senso di impotenza e frustrazione. Da artista non posso fare nulla per fermare il conflitto. Come tutti, mi informo il più possibile, leggo i giornali. Il mio lavoro è sempre stato consapevole della guerra. Il problema è nell’essere umano. Nel 1989, nel mio paese è crollato il Muro. Nel 1991 è stata la volta dell’Unione Sovietica. In quel momento la politica avrebbe potuto cambiare il suo corso; c’era la possibilità di cooperare per una pace mondiale, ma l’Occidente ha preferito mostrare ancora una volta i muscoli. E così oggi siamo al paradosso per cui vantiamo le armi più sofisticate, ma una dialettica politica primitiva. Soltanto poco tempo fa, Barack Obama definiva la Russia una “potenza regionale”… La guerra c’è sempre stata. Vogliamo parlare dell’Afghanistan, della Siria? La differenza è che ora, con l’invasione dell’Ucraina, noi europei la sentiamo più vicina. Ma dagli anni Sessanta viviamo una minaccia nucleare costante.

Come artista prova un senso di fallimento?
Quando inizio a lavorare a un nuovo dipinto, so già che è un fallimento. Da giovane, tra gli anni Sessanta e Settanta, ero frustrato e deluso per questo, ma ora conosco il processo. I miei vecchi dipinti sono come cadaveri. Nel mio studio in Francia, li tengo chiusi in un container in attesa della resurrezione. A volte li tiro fuori per vedere come sono cambiati, che cosa ne è stato di loro lontano da me: ed è l’aspetto più interessante. L’obiettivo non è l’opera, ma il movimento. Per Andrea Emo l’essere è la presenza perfettamente reale del nulla. Non c’è cronologia, ma simultaneità. L’opera d’arte contiene già la sua negazione. E’ un’idea che condividevo con Emo prima ancora di conoscere il suo pensiero. E, prima di preparare la mostra (vedi post #1 qui sopra), non sapevo che il Salone dello Scrutinio fosse stato in passato teatro di un incendio. Il titolo della mostra Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce è perfetto anche per questo.

Quando ha scoperto Andrea Emo?
Sei anni fa, grazie a un libro di frammenti pubblicato in Germania da Massimo Donà, con una prefazione di Massimo Cacciari. E’ tato come trovare una teoria della mia arte. Emo sostiene che la parabola di Gesù Cristo si sia compiuta effettivamente sulla croce. La resurrezione è la croce stessa. Al filosofo ho dedicato una mostra in Francia nel 2018, e dopo quel libro di Emo è andato esaurito.

La filosofia è parte essenziale della sua vita.
Martin Heidegger, Michel Foucault, ma anche Roland Barthes… nel 2010 mi è stato chiesto di tenere lezioni al Collège de France come gli ultimi due. E’ stato un grande onore.

Nella sua arte ci sono costanti riferimenti all’alchimia, il retaggio di un sapere ancestrale.
Ho lavorato molto sull’alchimia, che è stata la prima strada verso la chimica. L’alchimia e la scienza erano connesse, pensiamo a Isaac Newton. Poi la prima è stata banalizzata e svalutata. Eppure l’obiettivo dei veri alchimisti non era la realizzazione dell’oro: non erano interessati alla materia, ma alla trasformazione dello spirito. Anche il pittore è un alchimista.

La scala di Giacobbe è un simbolo che ricorre in tante sue opere, anche qui a Venezia c’è.
La scala è un simbolo fondamentale della mistica ebraica. A me interessa il fatto che una scala si possa percorrere verso l’alto come vero il basso. Verso il cosmo o verso l’interno di noi stessi. Possiamo scegliere se allontanarci da noi o studiarci e riconoscerci nel profondo. Per entrambe le strade ci vuole un’immaginazione potente: sia per vedere miliardi e miliardi di galassie che per apprezzare la particelle infinitesimali di cui siamo fatti.

Da dove viene la sua arte? Ha sempre voluto essere un artista?
Da piccolo, in realtà, volevo diventare Papa: ero serissimo. Ma tutti mi scoraggiavano, dicendo che sarei dovuto nascere italiano, per un tedesco sarebbe stato impossibile: non c’era ancora stato Ratzinger. Ho sempre dipinto molto. A sedici anni, mi è venuto solo il dubbio della scrittura, era la mia alternativa di vita. Scrivo ancora tanto, ma non si tratta di cose che intendo pubblicare. Conservo meri e metri di diari.

Cosa scrive nei suoi diari?
Quando ho un problema o un dolore, scrivere sul diario è la mia maniera di riflettere, di parlare con me stesso, di chiedermi perché ho fatto questo o quello. A volte scrivo i sogni, che cambiano con gli anni. Da giovane sognavo sempre l’acqua. Ora i miei sogni hanno a che vedere con il senso dell’orientamento.

Che libri ha portato a Venezia?
Le poesie di Hoelderlin e di Nietzsche e poi Borges, Brodskji e ovviamente Emo. Da poco ho letto le ultime poesie di Pasolini che sono appena state pubblicate in Germania. Mi piace molto Pasolini, il suo cinema, coì come Fellini. Qualche notte fa sono incappato per caso nella Strada e non sono riuscito a staccarmi, anche se volevo dormire: che film fantastico, che bianco e nero straordinario…

Che cosa ama rivedere dell’arte italiana?
Ogni volta che vengo a Venezia, vado a rivedere Tintoretto alla Scuola Grande di San Rocco. Mi piace e mi diverte anche Piero Manzoni: alla Galleria Continua di Parigi ho rivisto da poco la sua Merda d’artista. Ma Tintoretto è di gran lunga il mio artista preferito con quelle figure in movimento, quella capacità di riempire lo spazio come nessuno… qui a Palazzo Ducale mi hanno chiesto di esporre il mio lavoro coprendo la parete dove si trova il suo. Come avrei potuto dire di no? Magari il mio dipinto finirà per modificarlo e influenzarlo. I quadri tra loro interagiscono.

Wim Wenders è qui per completare un documentario su di lei. Che effetto le fa?
Che cosa dire? Penso che Wim abbia realizzato film stupendi. In Germania, siamo diventati famosi nello stesso periodo. Negli anni Ottanta, venivamo sempre invitati insieme nei talk show. Io alla fine non ci andavo mai. Non so nulla del documentario che sta facendo su di me. Veramente nulla. Ogni tanto mi riprende, ma chissà. Amo molto il lavoro che ha fatto su Pina Bausch. Ecco, se il film su di me venisse così, andrebbe benissimo.

Adesso che le opere a Venezia sono installate, ora che la fatica è finita, per una volta è soddisfatto?
Non sono mai soddisfatto. Ho dipinto decine e decine di tele o_O , oltre a quelle scelte per Venezia: saranno esposte a Los Angeles in novembre alla Marciano Art Foundation (non so se avete presente le dimensioni medie delle tele di Kiefer, perciò mi domando come abbia fatto!). Ma ogni volta vorrei cambiare tutto. Buttare le opere nella laguna, dopo la conclusione della mostra, sarebbe meraviglioso :pollicione:. Parafrasando le parole di Andrea Emo: una volta affondati, produrrebbero ossigeno (ride).

A cosa serve l’arte?
L’arte e la poesia sono le sole cose vere. Tutto il resto è noia (così diceva Califano, in realtà Kiefer nell’intervista dice: Il resto è illusione).
 

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