Perché le proteste in Cile sono importanti
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Il Cile è piombato nel caos di manifestazioni alimentate da un malcontento profondo.
I dati macroeconomici indicano un caso di scuola: il paese è il più ricco del Sudamerica, ma anche il più diseguale
“Siamo in guerra”, ha detto
il presidente del Cile, Sebastián Piñera, in conferenza stampa domenica 20 ottobre. Non è bastata infatti la marcia indietro del governo sull’aumento del biglietto della metropolitana di Santiago, annunciato appena pochi giorni fa:
continuano i saccheggi e le azioni vandaliche iniziate il 17 ottobre che hanno causato già 11 morti.
Il governo non è in grado di controllare la situazione e ha delegato la gestione dell’ordine pubblico ai militari, e il risultato è stata una repressione che ha esacerbato ulteriormente la protesta. Nelle principali città le strade e le piazze sono
presidiate dall’esercito e al calar del sole vige il
coprifuoco, rigorosamente sfidato dai manifestanti.
Le ragioni delle proteste
Il prezzo del biglietto è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso già colmo dell’economia cilena, profondamente iniqua.
La distribuzione della ricchezza in Cile infatti è la più ingiusta non solo del Sudamerica ma anche tra tutti gli altri paesi ad alto reddito. E le statistiche sulle disuguaglianze confermano risultati fra i peggiori al mondo.
Secondo la classifica della Banca mondiale basata sull’indice Palma – l’indicatore che misura il divario nei redditi tra il 10% più ricco e il 40% più povero della popolazione –
il Cile è addirittura il secondo stato più diseguale al mondo, preceduto soltanto dal Qatar.
Il welfare è praticamente inesistente: secondo
un report dell’Ocse, il Cile è ultimo tra i paesi membri per l’impatto delle misure pubbliche (imposte, sussidi, detrazioni fiscali, incentivi etc) sulle disuguaglianze. Il paese andino, infatti, dall’inizio degli anni Ottanta è stato tra i pionieri nell’aderire alle teorie economiche liberiste classiche – poi giunte anche in Europa – sulla riduzione delle tasse, della spesa pubblica e dell’intervento statale in generale.
Il
salario minimo, nel 2019 fissato a 425 euro, confrontato con il crescente costo della vita cileno è insufficiente: il canone d’affitto medio per un appartamento fuori dal centro di una grande città si aggira sulla stessa cifra. Aggiungendo le spese per le utenze – care rispetto agli altri vicini sudamericani – la supera abbondantemente.
Lo stipendio medio al netto delle imposte si attesta sui 652 euro: così i lavoratori cileni, per arrivare alla fine del mese, devono fare i salti mortali o indebitarsi.
Istruzione, privata
Oltre i tre quarti degli universitari cileni studia in
istituti privati che chiedono rette in media sopra i 3mila dollari all’anno – un altro record del paese; cifre coperte spesso
ricorrendo a prestiti.
Fino al 2014 il 75% delle spese per l’educazione era sostenuto dalle famiglie e solo il resto era a carico delle finanze pubbliche. E anche per assicurare il diritto all’istruzione primaria dei più bisognosi lo stato pagava le rette delle scuole private.
Qualcosa è cambiato
dal 2011, quando
600mila persone hanno protestato per chiedere nuovi investimenti pubblici nell’istruzione: gli scontri con la polizia si erano fatti pesanti e molte università erano state occupate.
Gli studenti hanno ottenuto l’elezione dei loro delegati nel 2013 ma non tutte le
promesse della politica sono state mantenute, e le riforme varate dal governo di Michelle Bachelet hanno toccato solo in parte il sistema universitario.
Così è iniziato il percorso che ha portato alla mobilitazione di questi giorni, e che sintetizza nella
maggiore uguaglianza sociale la somma delle sue richieste.
Sistema previdenziale, privato
Secondo uno dei principali commentatori economici del
New York Times, Binyamin Appelbaum, il sistema previdenziale cileno è “
progettato per spostare la ricchezza dalle masse ai ricchi, perché i lavoratori sono tenuti a investire i loro risparmi in fondi di investimento privati che applicano rendimenti ridicoli”. É la conseguenza della riforma introdotta negli ultimi anni del regime di Augusto
Pinochet: il sistema pensionistico è affidato a quei fondi, non esiste la previdenza pubblica. Ma gli assegni restano bassi rispetto al costo della vita e anche
un medico con quarant’anni di lavoro alle spalle non supera i
700 dollari di pensione.
Sistema sanitario? Quello efficiente è privato
Il dominio totale del libero mercato, senza correttivi di sorta, vale anche nella sanità: anche qui
una quota dello stipendio va all’assicurazione sanitaria, pubblica o privata. La differenza tra i servizi offerti dagli ospedali statali e quelli delle cliniche private non è poca cosa.
“
Il principale quotidiano nazionale, El Mercurio, pubblica ogni giorno i nomi dei nati nelle cliniche più belle e costose di Santiago del Cile. Dall’altro lato della città, nel miglior ospedale di Santiago, dodici mamme condividono la stessa stanza con i loro bebè”, scrive
Appelbaum nel suo nuovo libro
The Economists’ Hour.
Il dominio delle grandi società
Dagli anni Ottanta
il Cile si è aperto al liberismo e alle privatizzazioni più di qualsiasi altro paese dell’America Latina, in certi casi
senza dotarsi di leggi adeguate per prevenire abusi e cartelli. Da qui sono nati oligopoli e pratiche commerciali scorrette, con poche aziende a controllare i vari mercati di riferimento.
Numerosi scandali hanno colpito prodotti di uso comune: dal mercato del pollo a quello di
fazzoletti e carta igienica, fino alle farmacie.
Grazie alle "liberalizzazioni" poche multinazionali dominano il mercato in molti settori, controllandolo e tenendo i prezzi alti a danno dei consumatori. Una condotta che in Cile è stata depenalizzata nel 2003, e le sanzioni sono state sostituite da multe o lezioni di etica per gli amministratori delle società. Non è un caso quindi che la rabbia dei manifestanti si sia rivolta proprio
contro un centinaio di supermercati dell’americana Walmart, protagonista dello scandalo sul pollo insieme ad altre due catene oligopolistiche, Smu e Cencosud: le aziende non solo si erano accordate per tenere i prezzi alti, ma avevano messo in piedi un sistema per controllare e rispettare questi accordi, usando dipendenti appositamente incaricati a ditte esterne contrattate allo scopo. Le tre multinazionali se la sono cavata con
una multa di 12 milioni di dollari da dividere in tre, ma hanno un business mondiale e fatturati miliardari.