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L'incredibile scoperta della pratica bancaria


di Marco Saba, IASSEM, 1 dicembre 2015



L'ultimo testo del professor Richard Werner, che apparirà pubblicato nel prossimo numero della Rivista Internazionale di Analisi Finanziaria (1), s'intitola: “Un secolo perduto nell'economia: tre teorie bancarie e la prova conclusiva”.


Riportiamo la traduzione del sommario tradotta in italiano per la comodità del lettore:


Come operano le banche e da dove arriva la provvista di denaro? La crisi finanziaria ha sollevato la consapevolezza che queste domande sono state inopportunamente sottovalutate da molti ricercatori. Nel secolo passato, in periodi differenti, hanno dominato tre differenti teorie sulla pratica bancaria:


1) La teoria bancaria correntemente prevalente dell'intermediazione finanziaria dice che le banche raccolgono i depositi e poi li prestano, proprio come gli altri intermediari finanziari non bancari.


2) La vecchia teoria bancaria della riserva frazionaria dice che ogni banca individualmente è un intermediario finanziario che non ha potere di creare moneta, ma che il sistema bancario nel suo insieme è capace di creare moneta attraverso il processo della “multipla espansione dei depositi” (il moltiplicatore monetario).


3) La teoria bancaria della creazione del credito, predominante un secolo fa, non considera le banche come intermediari finanziari che raccolgono depositi per poi prestarli, ma invece argomenta che ogni banca individualmente crea credito e moneta nuova ogni volta che la banca effettua un prestito.


Le teorie differiscono nel loro trattamento contabile del prestito bancario e anche per quanto riguarda le implicazione procedurali.


Poiché secondo la teoria dominante dell'intermediazione finanziaria le banche sono virtualmente identiche agli altri intermediari finanziari non bancari, queste non sono incluse nei modelli economici usati nell'economia o dai banchieri centrali. Inoltre, la teoria che vede le banche come intermediari ci procura il razionale per la regolazione bancaria basata sull'adeguatezza del capitale. Se questa teoria non fosse corretta, la corrente modellazione prevalente nell'economia e le politiche di regolazione sarebbero senza fondamento empirico.


https://www.blogger.com/nullNonostante l'importanza della questione, finora solo una prova empirica delle tre teorie è stata riportata nelle riviste scientifiche. Questo documento presenta una seconda prova empirica, ricorrendo a metodi alternativi, che permette il controllo di tutti gli altri fattori. Le teorie bancarie dell'intermediazione finanziaria e della riserva frazionaria vengono rifiutate dalle prove presentate. Questa scoperta mette in dubbio le motivazioni per la regolamentazione dell'adeguatezza patrimoniale della banca al fine di evitare le crisi bancarie, come viene illustrato nel caso di studio di Barclays Bank durante la crisi. La scoperta indica che consigliare e incoraggiare i paesi in via di sviluppo a prendere in prestito dall'estero, è fuorviante. La trattazioneconsidera qual'è il motivo per cui gli economisti hanno fallito per gran parte del secolo scorso nel fare progressi per quanto riguarda la conoscenza del sistema monetario, e perché invece si sono spostati sempre più lontano dalla verità, come già era riconosciuta dalla teoria della creazione di credito ben più di un secolo fa. Viene trattato il ruolo dei conflitti di interessi delle parti interessate nel plasmare l'attuale consenso accademico che non tiene conto delle banche. Viene indicata una serie di percorsi per le ulteriori necessarie ricerche.”


E poi Werner, dopo aver analizzato il bilancio della Banca Raffeisen ed aver dimostrato empiricamente la validità dellla teoria della creazione del “credito”, e che questo credito è denaro, conclude:


(quanto sopra) rinforza la necessità di una nuova agenda di ricerca interdisciplinare sul ruolo delle banche e della banca centrale in particolare, e del sistema monetario in generale, che dovrebbe essere saldamente radicata nella metodologia della ricerca empirica e induttiva per produrre economia scientifica. Mentre molti autori hanno proclamato un offuscamento continuo della divisione tra le banche e le istituzioni finanziarie non bancarie, l'autore ha mostrato esattamente quello che consente alle banche di creare denaro (e capitale) dal nulla, mentre le non-banche non sono in grado di farlo. E' quindi richiesto un lavoro interdisciplinare con i ricercatori in politica, diritto, contabilità, gestione, ricerca operativa, informatica, ingegneria e sistemi di ricerca per assicurare che l'economia e la finanza per conto proprio non possano continuare ad ignorare la realtà empirica e si avviino in un altro secolo persa per le scienze economiche .”


Nello studio precedente (2) Werner affermava che la legalità o meno del modo con cui le banche gestiscono la parte contabile necessita di una ulteriore ricerca legale al di là degli scopi dell'autore, tuttavia rimane aperta la questione contabile: le banche registrano l'operazione del prestito NON evidenziando la creazione di nuovo denaro ma lasciando supporre all'osservatore che esse utilizzino il denaro contenuto nei depositi, mentre, come empiricamente dimostrato, nella pratica si comportano in tutt'altro modo. Le conseguenze di questa tenuta contabile difforme dalla realtà dei fatti sono state da me evidenziate nel corso di varie assemblee degli azionisti presso le più importanti banche italiane nel 2014 e 2015.


In pratica, non contabilizzando nell'attivo di cassa il denaro creato ex novo, si simula una situazione passiva dell'istituto che non corrisponde a verità ma che influisce sulla nostra realtà visto l'affannarsi delle autorità nel cercare continuamente metodi per rimpinguare le casse delle banche, come l'esempio della recente legge sul BAIL-IN ben ci dimostra.


Si cerca cioè continuamente di riempire un falso buco contabile attingendo alle tasche dei cittadini, direttamente o indirettamente, perché non si vuol riconoscere l'enorme guadagno non contabilizzato che le banche ottengono creando soldi dal nulla e pretendendo di farseli restituire con gli interessi.


L'entità della grave situazione che così si crea è sotto gli occhi di chiunque. Basta andare in Grecia, o vivere in Italia aprendo gli occhi. per scoprire la realtà della miseria assurda e non necessaria che creano continuamente queste politiche bancarie di offuscamento contabile dell'abbondanza possibile dei mezzi monetari, e quindi della fattibilità immediata di un reddito di sussistenza per tutti, per capire che viviamo nella caverna di Platone.


Il vero problema oggi è che il sistema bancario è fuori controllo, ma non solo, c'è anche il fatto drammatico che il mostro di Bankenstein si è impadronito di tutto il resto. Autorità di controllo comprese, oltre a tutta l'ostentata ignoranza e indifferenza mostrata dai media col silenzio assordante su questo problema.




Note:


1) Werner, R.A., A lost century in economics: Three theories of banking and the conclusive evidence, International Review of Financial Analysis (2015)
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1057521915001477


2) Whether the Client Money Rules were designed for this purpose, and whether it is indeed lawful for banks to reclassify general ‘accounts payable’ items as specific liabilities defined as ‘customer deposits’, without the act of depositing having been undertaken by anyone, is a matter that requires further legal scrutiny, beyond the scope of this paper.”
In: Werner, R.A., How do banks create money, and why can other firms not do the same? An explanation for the coexistence of lending and deposit-taking, International Review of Financial Analysis, Volume 36, December 2014, Pages 71–77
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1057521914001434





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DEMOCRAZIA. FEDERALISMO. INDIPENDENTISMO- 4. IL "BUONGOVERNO" DELLE ELITES SOVRANAZIONALI



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[FONT="georgia" ]Con questa quarta puntata giunge a compimento l'excursus di Arturo e Bazaar sulla connessione (sarebbe meglio dire "strategia di neutralizzazione") che intercorre tra federalismo e democrazia sostanziale, nel senso, come risulterà evidente, di "effettiva" e non di mera forma cosmetica di oligarchia, a suffragio universale ma "idraulico".[/FONT][/I]
[I][FONT="georgia" ]Mi limito a richiamare le precedenti introduzioni al tema linkando, per una più utile lettura completa, i post contenenti le precedenti puntate:[/FONT][/I]
[B][URL="http://orizzonte48.blogspot.it/2015/11/democrazia-federalismo-indipendentismo.html"]DEMOCRAZIA. FEDERALISMO. INDIPENDENTISMO. E ORDINE INTERNAZIONALE DEI MERCATI - 1[/URL] [/B]

DEMOCRAZIA. FEDERALISMO. INDIPENDENTISMO- 2. INTERESSI INDIPENDENTISTI: DEMOCRATICI O IMPERIALISTI?

DEMOCRAZIA. FEDERALISMO. INDIPENDENTISMO- 3. IL FALO' (federalista) DELLA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE.




PREMESSA- In quest’ultima puntata, si vorrebbe provare a collocare il federalismo fra quell’armamentario di “modi”, come diceva Pareto (cfr. l’intestazione del primo post della serie), volti a scongiurare il peso politico delle classi popolari a vantaggio di un’élite “oggettivamente” migliore.



L’intento è quello di sostenere che si tratta di una variante tattica rispetto a precedenti forme di autoritarismo antidemocratico. I lettori valuteranno la persuasività dell’argomentazione.



1 – Popolo, nazione e Stato

1.1. Per iniziare, proviamo a focalizzare l’obiettivo sulla storia italiana, con l’aiuto del solito Albertini (op. cit., pag. 183-4):

Secondo le previsioni dei moderati [con l’unificazione italiana] l’unità europea era destinata addirittura a rafforzarsi. Essi avevano infatti fiducia nella definitiva affermazione del liberismo internazionale, già valutato dal Conciliatore come il mezzo per la «santa fratellanza dei popoli». Tale fiducia li induceva a pensare che nel futuro gli impedimenti che ostacolavano i rapporti fra gli europei, a qualunque Stato appartenessero, sarebbero diminuiti e non aumentati. In sostanza i moderati si attendevano dalla futura Europa delle nazioni la continuazione di certi aspetti della vita del passato e di quella del presente.

Dato il loro atteggiamento mentale la cosa non può stupire.

Sul piano metafisico e religioso Gioberti cercò di accordare gli ideali e gli interessi della Chiesa cattolica — eminentemente supernazionali — con quelli nazionali senza prendere in considerazione, e forse celando intenzionalmente, il loro contrasto, che in seguito, venuto alla luce, divise i fedeli della Chiesa e quelli della nazione. Sul piano più specificamente politico i moderati concepirono l’unità nazionale come un mezzo per rinvigorire l ’Italia e unirla più attivamente all’Europa, da cui si era piuttosto estraniata nei secoli della decadenza. Essi misero infatti l’accento sul «diritto europeo» e sul liberismo internazionale, cioè su concezioni che subordinavano le nazioni, sia nel campo politico che in quello economico, ad un ordine unitario supernazionale.

In conclusione, anche nella corrente moderata i valori supernazionali ebbero gran parte nella formazione del programma nazionale.”





1.2. Non deve quindi stupire, in prospettiva storica, che il primo socialismo italiano considerasse la nazione una trappola (ivi, pag. 208):

La teoria socialista, che definiva la nazione come un trucco ideologico della borghesia per dividere e battere il proletariato, coincideva nel fatto con il modo di sentire nazionale delle masse lavoratrici (e poteva inoltre non sembrare campata in aria, stante il fatto che la borghesia, nazionale nella concezione dello Stato, era internazionale nella sfera degli affari.



E una trappola in effetti si rivelò, ma non per il proletariato (ivi, pag. 184):

Naturalmente si potrebbe rilevare l’utopismo dei moderati, che fu perlomeno pari a quello dei mazziniani. Nonostante il loro «realismo», essi non tenevano conto del fatto che le nazioni avrebbero sconvolto la situazione di potere sulla quale reggevano l’equilibrio europeo ed il liberismo internazionale. Una critica indiretta del loro europeismo la si trova nel pensiero di Cattaneo, e nella sua affermazione: «Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d’Europa», affermazione che divenne sempre più esatta a grado a grado che il nazionalismo favorì in tutta Europa la diffusione della formula politica dello Stato unitario ed accentrato.



(En passant, si osservi come riviva qui sotto spoglie federaliste il mito liberale della “cospirazione collettivista” – di cui l’orrenda nazione costituirebbe la giustificazione ideologica – come la chiamava Polanyi e di cui si è accennato qui. L’abilità retorica consiste nel prendere a bersaglio lo stato interventista chiamandolo “unitario ed accentrato”).
1.3. Come arginare dunque l’avanzata delle classi popolari?
Si è parlato del federalismo, ma per comprenderne il significato credo sia indispensabile allargare un po’ il quadro.

(Presteremo un’attenzione particolare all’Italia ma il fenomeno è di portata europea).
Le classi dirigenti, e gli intellettuali ad esse legati, a questo proposito hanno dato prova di un ricco armamentario.




Sul piano della dottrina giuridica, come s’è accennato nella scorsa puntata, la mossa consistette nel privare di qualsiasi concretezza sociale i concetti di “popolo” e “nazione”, riassorbendoli in quello di Stato: la sovranità venne attribuita “direttamente allo stato-persona, cioè alla macchina (presentata come anonima e obiettivamente necessaria) monopolizzatrice della forza. In ogni caso, comunque, il concreto legame intercorrente tra questo soggetto artificiale e il popolo “vero” è tenuto nascosto. Il suo rapporto con i “sudditi” in carne ed ossa (con quel popolo che costituisce “l’elemento personale dello stato”, come dicevano i vecchi manuali) è un legame vago, un postulato che resta sullo sfondo, privo di rilevanza costituzionale concreta. Il popolo appare in tutte queste teorie come una unità indifferenziata e neutra. Le tensioni politiche che lo dividono […] non entrano nel concetto di costituzione, ma pongono solo problemi “discendenti” di ordine pubblico (di polizia e di carceri, ed eventualmente di stato d’assedio e di cannoni). Le teorie della sovranità (soprattutto, per quel che ci interessa, della nazione o dello stato) operano dunque prima di tutto una sostituzione e poi un occultamento del “popolo” come realtà politica concreta”. (M. Dogliani, Introduzione al diritto costituzionale, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 237).




1.4. Questa sostituzione/rimozione costituiva il tacito presupposto su cui poggiava la (oggi perduta) razionalità dello Stato borghese di diritto (che per la cronaca è un’espressione di Carl Schmitt, non di Marx) verso cui tanta nostalgia manifestava il povero Hayek e che, in quanto poggiante su una realtà politico-sociale, non aveva certo bisogno della garanzia offerta da una costituzione rigida (che, anzi, le sarebbe stata d’impaccio). Per dirla con Zagrebelsky (che quando scrive di storia costituzionale si ricorda di essere mortatiano :)):
il monopolio politico-legislativo di una classe sociale relativamente omogenea determinava di per sé le condizioni dell’unità della legislazione. La sua coerenza era assicurata fondamentalmente dalla coerenza della forza politica che la esprimeva, senza bisogno di strumenti costituzionali ad hoc. Essa era un presupposto che la scienza giuridica poteva considerare come un carattere logico dell’ordinamento, compattamente costruito sulla base di alcuni principi e valori essenziali e non contestati all’interno della classe politica, i principi e i valori dello stato nazional-liberale. […]

La legge per eccellenza era allora il codice, il cui modello storico, per tutto l’Ottocento, sarà rappresentato dal Codice civile napoleonico. Nei codici si trovavano riunite ed esaltate tutte le caratteristiche della legge. Riassumiamole: la volontà positiva del legislatore capace di imporsi indifferenziatamente su tutto il territorio dello Stato e operante per la realizzazione di un progetto giuridico di ragione (la ragione della borghesia liberale, assunta come punto di partenza); il carattere deduttivo dello svolgimento delle norme, ex principiis derivationes; la generalità e l’astrattezza, la sistematicità e la completezza. […]

Non che i regimi liberali non conoscessero altro diritto che questo. Soprattutto nei confronti degli strati sociali esclusi, le costituzioni flessibili consentivano interventi d’eccezione (stato d’assedio, bandi militari, leggi eccezionali, ecc.) per contenere la contestazione politica e così salvaguardare il fondamento di omogeneità sostanziale del regime costituzionale liberale. Tali interventi, consistenti in misure ad hoc, irriducibili ai principi, temporanee e concrete – in contrasto quindi con i caratteri essenziali della legge, secondo i canoni giuridici liberali – si consideravano fuori dall’ordinamento, come atti episodici incapaci di contraddirne la fondamentale omogeneità di ispirazione”. (Il diritto mite, Torino, Einaudi, 1992, pp. 36-38).

1.5. Insomma, quella che Polanyi chiamava la “sostanza della società”, impossibilità a trovare uno sbocco politico per uscire dalla gabbia del mercato, veniva in primo luogo semplicemente repressa con la forza.
Se tonnellate di attenzione sono state dedicate all’autoritarismo collettivista, assai minore attenzione ha ricevuto, soprattutto in tempi recenti, l’autoritarismo “individualista”, cioè la repressione e la carcerazione di massa, che non a caso costituiscono una cifra caratteristica dell’odierna società americana. Come ha detto Richard Posner, «major function of criminal law in a capitalist society” is to prevent “market-bypassing"».

Questo ovviamente non risolveva il problema rispetto a forme organizzative ampiamente partecipate nell’ambito di quello che non era un regime totalitario. Il punctum dolens diventava quindi l’accesso al parlamento, la cui attività avrebbe potuto costituire un’inaccettabile interferenza nelle grandi categorie ordinanti:
Oggi tutto ciò che stabilisce il Parlamento, o il suo equivalente, ha finito per chiamarsi legge.”, come diceva con raccapriccio il povero von Hayek al Mercurio.

Einaudi, nell’ambito della polemica con Croce (Tema per gli storici dell’economia: dell’anacoretismo economico, già in Rivista di storia economica, a. II, n. 2 (giugno 1937), ora in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, Milano, RCS, 2011, pag. 121) si esprime in termini altrettanto deprecatori, proponendo un fantasioso parallelismo tra democrazia parlamentare e stalinismo:
“A far più vicino l’ideale di una società nella quale il massimo numero di uomini si senta o sia libero, ogni uomo entro i limiti stabiliti da vari gradi di perfezione della mente e della coscienza sua, non oserei dire, come pare affermare Benedetto Croce, che sia strumento di per sé efficace l’istituto parlamentare. Questo è davvero mero strumento privo di vita autonoma. In una società comunista “coercitiva”, il parlamento è l’espressione della burocrazia dominante organizzata, del piccolo segretario di Stalin, che ha saputo porsi al centro dei dominanti burocrati, ognuno dei quali è potente in virtù della forza che riceve dalla carica, non di quella che egli dà ad essa; ed ognuno perciò trema di sé e fa tremare altrui. In una società capitalistica “chiusa” [no, non è stato Popper a inventare la contrapposizione chiuso/aperto, tanto gradita a Blair e Renzi], il parlamento è la borsa nella quale gli avvocati dei grandi capi dell’industria, della finanza, del commercio, della navigazione, dell’agricoltura contrattano i privilegi rispettivi [mentre la banca centrale indipendente sì che è al riparo delle pressioni delle lobby :)]. In ambo i tipi di assemblee le contrattazioni avvengono al suono di parole che Mosca chiamò formule politiche e Pareto disse miti o derivazioni, e tutte conducono alla schiavitù dei molti. [The Road to Serfdom, per dirla in parole povere].”


1.6. Il moltiplicarsi di questi “privilegi”, che era banalmente il frutto della “conversione" dello Stato "da struttura semplicissima a struttura complessa per il peso progressivo di forze sociali prima conculcate o, comunque, ignorate" (P. Grossi, Scienza giuridica italiana, Milano, Giuffrè, 2000, pag. 149), veniva interpretato dalla cultura giuridica, e non solo giuridica, liberale come decadenza, crisi dello Stato e della sua “autorità”.
Scriveva ad esempio Orlando nel 1910: "Individui e collettività premono, spingono, urgono"; individui follemente ribelli "collettività che pur di conseguire un proprio interesse, non esitano a ferire a morte quelle che sono condizioni essenziali per la salute e la vita dello Stato". (Sul concetto di Stato, in Pietro Costa, Lo Stato immaginario. Milano, Giuffrè, 1986, pag. 183).

Mi auguro non sfugga l’analogia con la crisi di “autorità” che avrebbe colpito lo Stato a causa dell’eccesso di domanda e partecipazione democratica (The Democratic Challenge to Authority, si intitola appunto un paragrafo del lavoro di Huntington) diagnosticata dalla Trilaterale nel celebre rapporto Crisis of Democracy.



Il logico rimedio a questa minaccia è un “alleggerimento” della domanda democratica. Come? Riporto qui una citazione di Basso (Il principe senza scettro, Milano, Feltrinelli, 1998 [1958], pag. 284) che fa da perfetto pendant a quella di Pareto presente all’inizio del primo post della serie (si parla dell’Italia, ma il discorso, in generale, vale per tutti i paesi democratici):
Si può dire che ogni generazione abbia dovuto lottare per riconquistare, non diciamo un ordinamento democratico, ma le premesse di uno Stato liberale. La reazione umbertina nell’ultimo decennio del secolo scorso, il fascismo all’indomani della prima guerra mondiale e l’involuzione anticostituzionale che abbiamo illustrato nel corso delle precedenti pagine, rappresentano tre momenti di uno stesso processo storico: la resistenza delle classi dominanti all’avanzata delle classi popolari, la volontà di respingerle ai margini della vita sociale (miseria, disoccupazione, analfabetismo, arretratezza di intere regioni ecc.) e della vita politica (diniego delle fondamentali libertà), ricorrendo di volta in volta agli strumenti e alle tecniche consigliate dal momento storico.”


1.7. Un catalogo esaustivo di queste tecniche sarebbe impossibile. Mi limiterò a qualche esempio, che mi pare particolarmente rilevante e utile per il nostro discorso:
a) la polemica antiparlamentare;
b) restrizioni e manipolazioni dei suffragio;
c) attacchi legislativi e ideologici alle organizzazioni popolari, cioè sindacati e partiti;
d) manipolazione mediatica del consenso.
Anche per una selezione così limitata c’è solo l’imbarazzo della scelta delle fonti: sceglierò fior da fiore.


a) Polemica antiparlamentare:
Prima di Mosca, altri teorici, quali Rocco De Zerbi, Giorgio Arcoleo, Camillo De Meis, si distinguono in affondi contro parlamenti e parlamentari, e dunque, contro il parlamentarismo, magari riprendendo le prime invettive del simpatico reazionario Petruccelli della Gattina che, con “I moribondi di Palazzo Carignano”, all’indomani dell’Unità, quando ancora la capitale del Regno d’Italia era la stessa del Ducato di Savoia, aveva fornito se non un modello, certo un eccellente impulso ad ogni futura polemica contro il poltronismo e la fannullaggine dei «rappresentanti del popolo».
Non si parla di «casta», all’epoca, ma il livore contro i privilegiati, i «fannulloni», i «chiacchieroni», diventa merce corrente, nel discorso pubblico; e nasce anche una produzione letteraria in cui si condensano «umori deprecatori» del Parlamento. Nihil sub sole novi, si sarebbe tentati di aggiungere, sfogliando i giornali di oggi.” (A. D’Orsi, L’Italia delle idee, Milano-Torino, Pearson Italia, 2011, pag. 22). Nihil davvero.

La tirannia della maggioranza per Alexis de Tocqueville. Civiltà tra i "pericoli della Democrazia" e dell’accentramento politico
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b) Suffragio ristretto:
Il liberale francese [de Tocqueville] è così lontano dall’idea di suffragio universale e di partecipazione democratica delle larghe masse alla vita politica che, in polemica trasparente contro l’agitazione dei banchetti, dichiara: «Non bisogna corteggiare il popolo e non bisogna conferirgli, con prodigalità e temerarietà, più diritti politici di quelli che è capace di esercitare».
In compenso, nei confronti dei «bisogni del povero», gli organi legislativi, eletti su base censitaria, devono mostrare una sollecitudine «filantropica» tale che leghi il popolo alle istituzioni e «lo consoli del fatto di non fare la legge [chiamiamolo reddito di sudditanza?], facendogli incessantemente vedere che il legislatore pensa a lui» (Tocqueville, 1951 , vol. 3 , II, p. 727).
Sia chiaro: continua a essere considerato intollerabile, come sappiamo, ogni intervento legislativo nella sfera dell’economia e della proprietà privata. Non a caso si parla di «filantropia» ovvero di carità, sia pure di «carità pubblica» o di «carità cristiana applicata alla politica» (ibid. e. Tocqueville, 1864-67, vol. 9, pp. 337 e 551): se Robespierre sussume diritto di suffragio e diritto alla vita sotto la categoria generale di diritti dell’uomo, per il filosofo liberale il primo è una questione di opportunità politica e il secondo è semplicemente impensabile, dato che le «miserie umane» sono opera della «Provvidenza» e non già delle «leggi», per cui è assurdo pensare «che si potrebbe sopprimere la povertà cambiando l ’ordinamento sociale» [qualcuno pensava che Tina fosse figlia di Margareth Thatcher?] (Tocqueville, 1951, vol. 12, p. 84).” (D. Losurdo, Democrazia o bonapartismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, pag. 17).


c) Quanto all’atteggiamento verso le organizzazioni popolari, valga quanto accaduto in Italia in occasione dell’ondata di scioperi di inizio anni ’70 (dell’Ottocento. Dopo la crisi finanziaria del ’66, il governo era impegnato al raggiungimento del pareggio di bilancio conseguito nel ’75, in un contesto in cui lo sciopero era un reato. Tale rimase fino al 1889, per tornare ad esserlo con la L. 563/1926, poi trasfusa nel Codice Rocco):
“Il 25 giugno 1873 il guardasigilli dirama […] ai procuratori generali (il primo e unico caso) una circolare di cui conviene riferire il contenuto per comprendere in quale atmosfera di vera e propria persecuzione legale si svolgessero le azioni rivendicative e associative dei lavoratori: “nell’indagare le cagioni degli scioperi, che frequentemente accadono nelle diverse città del regno, si è notato che spesso hanno origine o sono fomentati da associazioni, le quali non pure con lettere circolari consigliano ed eccitano gli scioperi, ma compilano statuti con cui costituiscono casse di resistenza per dare sussidi a coloro che si porranno in isciopero, ovvero, dopo avvenuto, aprono sottoscrizioni e fanno deliberazioni a pro degli scioperanti”.
Richiamate numerose norme di legge, la circolare stabilisce: “epperò sono, a norma dei citati articoli, soggetti ad azione penale gli statuti, le circolari, ed altri similanti scritti e stampati, che contengono provocazioni od eccitamento a commettere o continuare il resto di sciopero, quanto dannoso al commercio, altrettanto pericoloso all’ordine pubblico”; così sono punibili “le sottoscrizioni, le deliberazioni e le somministrazioni di sussidi”; contro i colpevoli si deve procedere “ne’ termini di legge, con sollecitudine e vigore”. (R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, vol. I, Torino, Einaudi, 1993, p. 332)

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d) Quanto alla manipolazione mediatica, di cui s’è molto parlato in questo blog, vorrei qui proporre un piccolo tuffo nel passato parlando di un personaggio tanto citato quanto frainteso: Gustave Le Bon. Letto e apprezzato da Hitler e Mussolini, di solito presentato come il malefico teorico del plebiscitarismo totalitario, la manualistica omette spesso (direi praticamente sempre) di ricordare che il nostro era… liberista, guarda un po’ tu.

Leggere per credere:

"Come la tradizione liberale, ai cui rappresentanti (Tocqueville, Macaulay, Spencer) fa spesso riferimento, Le Bon mette in connessione l’estensione del suffragio e il diffondersi delle idee socialiste che, violando le “leggi economiche”, pretendono di “regolare le condizioni dell’impiego e del salario”, diffondendo la “fiducia superstiziosa nello Stato provvidenziale” e l’attesa della soluzione di una presunta questione sociale mercé l’intervento legislativo nei rapporti di proprietà. Tutto ciò ha già avuto e può ancora avere effetti rovinosi: “le fantasie di sovranità popolare ci costeranno di sicura ancora più care (Le Bon, 1980, pp. 34, 125 e 224)"



E poi: "Nella denuncia di questa «pericolosa chimera» che ha preso piede a partire dalla rivoluzione francese e di cui «invano filosofi e storici hanno tentato di dimostrare l'assurdità» (Le Bon, 1980, pp. 117 sg.), lo psicologo delle folle è d'accordo con Tocqueville (cfr. supra, cap. i, § 2), da lui più volte citato. Solo che ben diversamente si configura il rimedio suggerito, il quale ora è da ricercare non nel sistema elettorale di secondo grado o in qualche altro accorgimento per limitare o contenere il suffragio universale diretto.

Quest'ultimo dev'essere, al contrario, portato a compimento perché il capo, senza essere ostacolato da barriere e diaframmi, possa agire sulle masse ricorrendo a strumenti di persuasione che vengono così descritti:
L'affermazione pura e semplice, svincolata da ogni ragionamento e da ogniprova, costituisce un mezzo sicuro per far penetrare un'idea nello spirito delle folle.
Quanto più l'affermazione è concisa, sprovvista di prove e di dimostrazioni, tanto maggiore è la sua autorità. I testi sacri e i codici d'ogni tempo hanno sempre proceduto per affermazioni. Gli uomini di Stato chiamati a difendere una causa politica qualsiasi, gli industriali che difendono i prodotti con la pubblicità conoscono il valore dell’affermazione. Tuttavia quest’ultima acquista una reale influenza soltanto se viene ripetuta di continuo, il più possibile e sempre negli stessi termini.
Napoleone diceva che esiste una sola figura retorica seria, la ripetizione. Ciò che si afferma finisce, grazie alla ripetizione, col penetrare nelle menti al punto da essere accettato come verità dimostrata”.



Per un verso, il sociologo e psicologo delle folle si richiama a Cesare o Napoleone, ai loro «pennacchi» e ai sogni di gloria imperiale cui aveva fatto riferimento anche Bagehot; per un altro verso, Le Bon pensa ormai sul modello della pubblicità commerciale la propaganda considerata adatta al regime cesaristico o bonapartistico da lui prospettato:

Così si spiega la forza straordinaria della pubblicità. Quando abbiamo letto cento volte che il miglior cioccolato è il cioccolato X... ci immaginiamo di averlo sentito dire spesso e finiamo con l'averne la certezza (...). A furia di veder ripetuto su uno stesso giornale che A... è un vero mascalzone e B... un onest'uomo, finiamo con l'esserne convinti, a patto, naturalmente, di non leggere spesso un altro giornale di opinione contraria, in cui tali definizioni sono capovolte (Le Bon, 1980, p. 160).”

(Losurdo, op. ult. cit., pagg. 81 e 83-84).

1.8. Sarà chiaro a questo punto che cosa intendevano le classi dirigenti, e intellettuali al seguito, fossero essi liberali, nazionalisti e poi anche fascisti, quando durante l’età giolittiana e poi, con ancora più forza, nel primo dopoguerra parlavano dell’esigenza di restaurare l’autorità dello Stato.

O cosa intendeva l’Idea Nazionale nel 1915 quando, caldeggiando l’entrata in guerra dell’Italia, scriveva «L'urto è mortale: o il parlamento abbatterà la Nazione... o la Nazione rovescerà il parlamento... se il parlamento italiano è putrido, l'Italia nuova lo spazzerà dal suo cammino». (F. Gaeta, Il nazionalismo italiano, Roma-Bari, Laterza, 1981, pag. 178).


Cosa c’entra tutto ciò col federalismo? Nazionalismo e restaurazione dell’autorità dello Stato sembrano formule opposte a quella federale. Eppure…



2. Einaudi, tra nazionalismo e internazionalismo

2.1. …eppure che si tratti di due tattiche diverse della medesima strategia antidemocratica lo dimostra in modo inconfutabile una figura pubblica che le ha usate, e contemporaneamente, entrambe: Luigi Einaudi.




Sì, perché, forse non lo sapete, ma questo maestro di pacifismo e federalismo internazionalista fu interventista. Eh, già: Lo scoppio della Grande guerra spinge […] Einaudi a schierarsi senza riserve a favore dell’ingresso dell’Italia nel conflitto, sposando le tesi dell’interventismo illuminato [!] di stampo liberal-conservatore, che aveva allora la massima espressione nella linea editoriale del Corriere della Sera di Luigi Albertini.”

Ohibò!

Sentite come continua (l’autore è ricercatore di storia a La Sapienza e il sito proprio malevolo non lo direi):
In qualità di autorevole opinion maker del quotidiano milanese e di altre testate favorevoli all’intervento, Einaudi si impegnò su due direttrici: una rigorosa e puntuale analisi degli aspetti economico-finanziari del conflitto, diretta a influenzare e ad orientare le grandi opzioni di politica economica dei governi di guerra; e interventi di propaganda bellica con articoli e saggi (in particolare quelli confluiti nelle raccolte di scritti Gli ideali di un economista e le Lettere di Junius) a carattere prevalentemente etico-morale.

Giova osservare, a tale riguardo, che tra l’Einaudi scienziato-economista e l’intellettuale engagée[sic] al servizio della propaganda di stato non vi era contraddizione né soluzione di continuità.
Egli poneva infatti in tutti i suoi scritti grande enfasi sulle “virtù non economiche” della guerra, vale a dire sulla importanza dei benefici morali e spirituali che essa sarebbe riuscita a portare se condotta a termine vittoriosamente. Riteneva infatti che solo la consapevolezza di tali benefici potesse rendere sopportabili gli immensi sacrifici economici imposti da un conflitto che aveva rivelato, nell’accezione di Ernst Jünger, una inedita, terrificante logica di “guerra totale”.
Sia le Prediche che altri scritti einaudiani del tempo di guerra dovettero pertanto insistere sulla necessità che il popolo italiano prendesse parte al conflitto sacrificando ogni interesse privato al bene della nazione; perché solo in questo modo sarebbe riuscito a difendere e a promuovere per sé un più elevato ideale di convivenza civile.”


2.2. Certo che il privilegio di infallibilità di cui godono le élite è un gran vantaggio: invochino la soppressione della democrazia in nome della pace e contro il nazionalismo oppure la soppressione di centinaia di migliaia di giovani italiani (in grandissima maggioranza poveri) in nome della nazione e dei benefici morali e spirituali della guerra, han sempre ragione loro. Sono per il meglio, oggettivamente, e infallibili guide morali di un popolo bue sì, ma un po’ recalcitrante davanti ai sempre indispensabili sacrifici. Meno male che ci sono loro a guidarci!



Trattenendo un moto di repulsione, andiamo avanti.


Del federalismo di Einaudi si è già parlato lungamente: non è necessario tornarci sopra. Vale invece la pena segnalare come tale orientamento non solo non gli abbia impedito di essere interventista, ma nemmeno, nel dopoguerra, di vedere, insieme a Croce e numerosi altri illustri leader politici e intellettuali liberali”, con favore l’emergere del fascismo e in seguito la sua ascesa al potere” e appoggiare “con convinzione il governo Mussolini da essi considerato - si badi - non soltanto in grado di adempiere al compito della «restaurazione dell’ autorità dello Stato» ma anche di svolgere il ruolo di una forza autenticamente liberale riportando il paese alla «normalità costituzionale».” (Massimo Salvadori, Liberalismo italiano, Roma, Donzelli, 2011, pag. XVI).




2.2. Parlando più specificamente degli economisti liberisti, non è certo che Einaudi fosse una mosca bianca, naturalmente:
“La rassegna degli economici filofascisti nel periodo 1921-1924 comprende quasi tutto l’arcipelago marginalista, e comunque i suoi esponenti più significativi: Pareto, Barone, Ricci[1], Einaudi, Prato, Del Vecchio, Amoroso, Sensini e altri ancora. Se l’Ottobre italiano fu una rivoluzione (tesi che Pantaleoni negava recisamente in polemica con alcuni fascisti, sostenendo essere il fascismo restaurazione capitalistica), e se questa rivoluzione ebbe una coloritura culturale, esse furono entrambe all’insegna della scienza economica accademica, e di quella marginalista in particolare”. (Marco E.L. Guidi e Luca Michelini (a cura di), Marginalismo e socialismo nell’Italia liberale, 1870-1925, Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, vol. n. 35, Milano, Feltrinelli Editore, Milano, 2001, pag. LXXXVIII).



Ecco come si esprimeva il nostro: “Quanto allo Stato, esso aveva il dovere assoluto di resistere alle imposizioni. All’inizio del 1920, in relazione alle rivendicazioni dei ferrovieri, egli affermava solennemente: «Noi crediamo che sia giunto il momento di ricordarsi che esiste uno Stato in Italia e che la sua esistenza è necessaria», uno Stato che deve anche saper dire no”. (Salvadori, op. cit, pag. 97).



E in novembre:

Dietro ad un governo, dietro ad un parlamento decisi a restaurare la finanza e l’autorità dello stato insieme si schiererà la parte più sana e cosciente dell’opinione pubblica ed essa avrà ragione di ogni torbida manovra rivoluzionaria.”



Questo nello stesso anno in cui venivano pubblicate in una raccolta le lettere a firma Junius in cui, due anni prima sul solito “illuminato” Corrierone, aveva cantato il de profundis del “dogma della sovranità statale.” Naturalmente in nome della pace, all’indomani di una guerra spaventosa da lui appoggiata.



2.3. Se per Albertini s’è parlato di stranezze, qui siamo alla scissione della personalità. A meno ovviamente di non cercare la coerenza a un livello di lettura più profondo. Si vedrà così che anche in questo caso il problema non sono Stato e nazione in sé: la posta in gioco è la democrazia.



Salvadori (op. cit., pagg. 120 e ss.) lo chiarisce in modo efficace, lasciando la parola allo stesso Einaudi. È quindi sufficiente procedere ad ampie citazioni:

Non si nega» - osserva Einaudi esprimendo una posizione che in passato respingeva - che la volontà della maggioranza «debba da ultimo prevalere», ma occorre che essa venga temperata e difesa dalla «sua propria intemperante frettolosità», dalle passioni che spingono alla sopraffazione degli avversari, che essa non tocchi «i principi fondamentali della vita politica e sociale».

Questi principi possono essere salvaguardati a condizione che non si scateni la lotta tra parti estreme, prevalga lo spirito di compromesso e si persegua il «superamento degli opposti in una unità superiore», se «la maggioranza degli uomini», la quale «non pensa con la propria testa» e «aderisce al pensiero e alla volontà altrui», si dispone ad essere persuasa e guidata dai «pochi uomini» che «posseggono un proprio sistema di idee, una ferma convinzione intorno ai problemi fondamentali della convivenza sociale».

Tirando le somme, per Einaudi la democrazia diventa accettabile se diventa liberalerespingendo la tentazione della tirannide della maggioranza ed essa può diventare liberale quando la sanior pars [sic!], ottenuto il riconoscimento del proprio primato politico e sociale, sappia a sua volta agire come anima e guida della major pars.
Egli non accetta che si parli di un «nuovo liberalismo» in relazione all’innesto prodotto dal principio elettorale democratico.
Tra il vecchio e il nuovo liberalismo - dichiara - «non esiste alcuna differenza sostanziale». Il liberalismo «è uno e si perpetua nel tempo», anche se «ogni generazione deve risolvere problemi suoi, che sono diversi da quelli di ieri e saranno superati e rinnovati dai problemi di domani».

Resta sempre e dovunque il fatto che al popolo non spetta altra funzione se non quella di scegliere i suoi capi.”

[…]

Tra il 1946 e il 1947 Einaudi manifestò il suo pensiero sulla questione della sovranità popolare con toni che possiamo considerare conclusivi della sua parabola in tema di rapporti tra democrazia e liberalismo.
Disse che «l’argomentazione tratta dal principio della sovranità o volontà popolare» lo lasciava «indifferente»; che siffatto principio, di matrice rousseauiana, «non appartiene alla categoria delle verità scientifiche», che l’esperienza di tutti i tempi e paesi dimostra che il governo sta necessariamente nelle mani dei pochi che guidano i più; che il principio della sovranità popolare appartiene «all’ordine dei miti, delle formule politiche»; che d’altra parte esso è bensì «utilissimo mito, del quale nessun ceto politico governante in un Paese libero può fare a meno»: ma utile nella misura in cui esso si innesti sui principi del liberalismo

[…]

Il «dogma» della sovranità popolare era dunque da accettarsi in forza del suo radicamento in quanto «formula» che «nei tempi moderni è più universalmente compresa»: semplice formula perciò, «strumento” di governo[Il sistema idraulico sanitario] utile al raggiungimento di quel bene comune [in una democrazia costituzionale si parla di interessi generali] il quale solo sta dinnanzi ai nostri occhi», che si è infine imposta essendo cadute formule obsolete come «il principio del diritto divino dei re, della grazia di Dio, perché non fanno più presa sulla mente e sulla immaginazione degli uomini».


[…] Nel messaggio pronunciato dopo la sua elezione a presidente della Repubblica, Einaudi rivolse parole rassicuranti a proposito del fatto che appariva superato il pericolo, ispirato a pessimismo, che il suffragio universale potesse essere incompatibile, come era parso a molti (e a lui stesso) «con la libertà» e - aggiunse con un lapsus concettuale - «con la democrazia».

Ma ciò non cambiava la sostanza della sua convinzione, che ebbe modo di ribadire anche in seguito secondo cui la sovranità popolare era e restava un mito, certo un mito ormai necessario, insostituibile, ma che non poteva e non doveva sostituire il dato che il buongoverno è il governo di un’élite distillata, per così dire, dai frutti migliori della vigna coltivata e protetta da un ceto minoritario di uomini prudenti e sapienti, disposti al conseguimento del bene comune e capaci sia di interpretare le esigenze di tutte le forze vive che operano fattivamente nel seno del corpo sociale sia di guidarle.




Mi pare tanto eloquente da rendere superfluo ogni commento.



2.4. Vale però la pena, tanto per tirare le somme e dimostrare che statualismo autoritario e federalismo sono due varianti tattiche della medesima strategia, attirare l’attenzione su una parola chiave che percorre entrambe le vicende: stabilità.

Della stabilizzazione della lira nel primo dopoguerra, si sa; è forse meno nota la vicenda americana (T. Bouton, Taming Democracy, N.Y., Oxford University Press, 2007, pag. 173):

«Durante gli anni '80 del '700, gli europei facoltosi dissero che non avrebbero più investito in America, perché erano convinti che i loro soldi non sarebbero stati al sicuro in un paese dove le questioni economiche e giuridiche rimanevano troppo sensibili alla volontà popolare.

Un consorzio di banchieri francesi e svizzeri lo chiarirono nel 1788, elencando le ragioni per tenersi fuori da un mercato altrimenti promettente.

I banchieri dissero di essere preoccupati per “lo stato caotico del debito interno” e per il fatto che la riscossione delle imposte “non era in corso”. Si lamentavano del “dissenso”, delle “difficoltà”, e delle “agitazioni” della resistenza popolare. Avevano repulsione delle proteste volte ad “ostacolare l'amministrazione della giustizia”, come quelle dei funzionari della contea e degli agricoltori che avevano bloccato le vendite all'asta degli sceriffi.

Inoltre deploravano le leggi che sconvolgono “il normale funzionamento del mercato” stampando carta moneta e dando sollievo ai debitori.

[…]

In breve, questi finanzieri dicevano che l'abilità della grande borghesia di costruire un governo d'America ed un sistema legale più simili a quelli europei avrebbe “deciso per la fiducia dell'Europa negli Stati Uniti.”»



Dai federalisti, al “quarto partito”, per arrivare al Portogallo: la solfa è sempre la stessa. Saranno le “circostanze storiche”, come diceva Basso, a decidere le tattiche da usare
Emerge così una questione tattica fondamentale che, in ragione della flessibilità degli strumenti, da adattare alle circostanze storiche ma sempre preservando l'obiettivo irrinunciabile del "buongoverno" affidato alle immancabili elites, è alla base della stessa fenomenologia vincente del neo-liberismo, costretto a prendere atto del suffragio universale e del "mito" della sovranità popolare da rendere cosmetico. E cioè: evidentemente, presidiata dalla Costituzione la via nazionale, quella internazionale si imponeva.

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3 – Federalismo come liberismo


3.1. A conforto di questa lettura ecco spuntare sull’ultimo numero del Federalista, la rivista del Movimento Federalista Europeo (MFE), un importante articolo sul federalismo di von Hayek scritto da Francesco Violi.

Si tratta di una discussione tanto più interessante in quanto totalmente interna al campo liberale: meglio la via nazionale o quella internazionale? Ecco dunque la risposta dell’autore:



Molti intellettuali liberisti amano spesso citare autori liberali del passato per dare una base più solida alle loro tesi. Tra i più citati figura sicuramente Friedrich Von Hayek, che viene usato soprattutto quando si tratta di rafforzare la critica, o meglio il rifiuto, dell’idea di Europa federale.
Generalmente questo rifiuto si accompagna all’accusa rivolta alla pubblica amministrazione europea di essere burocratica e pletorica, ma spesso finisce per dipingere scenari dispotici, in cui un governo tirannico di stampo sovietico mette a repentaglio la libertà, la democrazia e i diritti civili dei cittadini europei.
Nel condurre questa speculazione intellettuale, questi pensatori equiparano questi principi alla difesa della sovranità nazionale, coerentemente con l’idea che questi principi siano difendibili esclusivamente a livello nazionale e coerentemente con un’interpretazione malintesa del principio hayekiano di “individualismo metodologico” nelle relazioni internazionali, che, essenzialmente, nell’interpretazione che ne viene fatta, diventa “nazionalismo metodologico.

Insomma, l’autore sostiene che un eventuale liberismo antieuropeista e nazionale non può che essere frutto di un errore di prospettiva, tanto più per chi si richiama ad Hayek.




3.2. Un punto di vista che sembra in effetti trovare conferma nel caso di una celebre ammiratrice dell’economista/filosofo austriaco: la Lady di Ferro.
Infatti secondo Glyn Morgan (Harvard University):
“[La Thatcher] era una fervente ammiratrice degli scritti economici di Hayek, ma [...] temeva che i suoi sforzi per distruggere la socialdemocrazia in Gran Bretagna sarebbero stati compromessi a causa di un eventuale progetto europeo volto alla ricostituzione di una socialdemocrazia a livello sovranazionale.

D’altra parte lei l’impaccio di una costituzione democratica degna di questo nome non ce l’aveva.



Torniamo a Violi: “Conseguentemente, si può ritenere che se Hayek fosse ancora vivo, non apprezzerebbe la BCE e il suo ruolo, ma con molta probabilità apprezzerebbe molto di meno tutte le proposte di tornare alle vecchie monete nazionali e tutto quanto è legato all’idea di «sovranità monetaria».”


E chi l’avrebbe detto! Ma c’è di meglio:

Al di là dell’apprezzamento o meno delle sue proposte, la rilettura del federalismo nell’opera di Von Hayek è interessante non solo dal punto di vista intellettuale, ma per ricordare le fondazioni liberali delle teorie federaliste, tipiche anche della scuola britannica del periodo interbellico: la limitazione del ruolo del governo e l’emergere degli individui come unità indipendenti. Bisogna inoltre tenere sempre a mente che l’obiettivo ultimo di Von Hayek era la rimozione di tutte quelle tensioni economiche che, nel periodo in cui scriveva le prime due opere qui citate, erano state causa delle due guerre mondiali.”



3.3. Federalismo europeo = liberal-liberismo d’antan. Certificato sulla rivista del MFE. Che va ringraziata per la chiarezza.

Se osserviamo come è evoluto il diritto internazionale dopo la Seconda guerra mondiale fino ai giorni d’oggi, sia a livello mondiale sia a livello europeo, possiamo notare che le istituzioni internazionali giocano effettivamente un ruolo simile a quello auspicato da Hayek.
Il dominio riservato degli Stati della comunità internazionale è stato progressivamente ridotto e diverse convenzioni e nuove consuetudini del diritto internazionale hanno teso, e tendono, a far emergere l’individuo come soggetto di diritto internazionale.
Allo stesso modo, a livello europeo la Comunità prima e l’Unione oggi tendono spesso ha giocare un ruolo più “negativo” che “positivo”. Tendono cioè a limitare interventi distorsivi degli Stati membri nell’economia, ma non hanno una vera e propria capacità economica ed industriale.
Per quanto si possa discutere sulla desiderabilità o non desiderabilità della cosa, è un dato di fatto che, volontariamente o non volontariamente, è stata percorsa una via austriaca” all’integrazione europea che comunque continuerà a coesistere ancora per molti anni con nuovi approcci di tipo positivo.”

Approcci positivi che però la stessa fondatezza dello schema hayekiano rende molto poco probabili. Si tratta di valutazioni realistiche, con cui si può concordare.


Credo sia dunque piuttosto evidente a questo che se, come sosteneva Pareto, “i modi per evadere le ideologie democratiche della sovranità democratica sono infiniti”, il federalismo interstatale è chiaramente uno di questi.

3 – Conclusioni

Che dire in conclusione? Innanzitutto è difficile non domandarsi quanto sarà profondo il baratro in cui ci avranno trascinato questa volta le nostre illuminate élite. A cui va riconosciuta la notevole capacità di produrre disastri di cui poi accuseranno i popoli, così da crearsi la giustificazione per poterne fare di nuovi.


È questo circolo vizioso che bisogna riuscire a rompere.

Si può farlo rendendosi conto che, se “infinite”, e per questo anche disorientanti, sono le tecniche di attacco, sempre uno è il bersaglio: la democrazia sostanziale.
Ossia se le conquiste sociali “sono state possibili grazie ad una crescente partecipazione al potere delle masse popolari, a sua volta una maggiore ed efficace partecipazione potrà essere resa possibile solo da un ulteriore sviluppo del contenuto sociale della democrazia. […] Il contenuto sociale e il contenuto politico della democrazia sono per così dire interdipendenti: lo sviluppo dell’uno è al tempo stesso condizione e condizionato, premessa e conseguenza per lo sviluppo dell’altro, in un ritmo dialettico che costituisce appunto il motore di un moderno sistema democratico.” (Basso, op. cit., pagg. 82-3).

Non è quindi nemmeno così difficile alla fine capire quale sia il terreno da presidiare: quello della sovranità popolare costituzionale, là dove essa ha avuto la capacità di esprimersi. Ossia la nazione, non in un qualche fantasmatico senso astratto, ma nel senso sociale e politico concretissimo di popolo sovrano.






(FINE)
 

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nella foto in alto da destra a sinistra in fila sono 2 gesuiti...............................ste bein:cool:
 
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COME E PERCHE' SI METTERA' FINE AL DENARO IN CONTANTI
Postato il Martedì, 01 dicembre @ 23:10:00 GMT di ernesto
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FONTE: ZEROHEDGE
Ex collaboratore di primo piano di quattro presidenti spiega come e perché le Elites vogliono metter fine all'uso del denaro in contanti: La Guerra al Cash sta prendendo velocità.
Negli ultimi mesi:
1) La SEC e altri enti regolatori hanno messo in campo una serie di norme che consentono ai fondi del mercato monetario di tenere bloccato il denaro fino ad un massimo di 10 giorni se dovesse verificarsi una prossima crisi finanziaria (cioè non si potrebbero ritirare i propri soldi dalla banca).


2) La FDIC ha varato leggi che le consentono di conoscere quali sono le banche di "rilevanza sistemica" e convertire i loro depositi in titoli azionari (il tanto temuto "bail in" utilizzato a Cipro nel 2013).
3) JP Morgan e altre grandi banche hanno iniziato a non accettare grandi depositi.
4) La Francia ha vietato ogni transazione in denaro contante fisico superiore a € 1000. La Spagna ha già vietato le transazioni oltre € 2.500. L'Uruguay ha vietato le transazioni per più di $ 5.000. E così via.
C'è una campagna globale diffusa per sradicare il denaro fisico. Ed ora abbiamo un insider ben informato che può confermarcelo.
Il dr. Harald Malmgren è piuttosto ben inserito negli ambienti della elite politica di Washington DC, è stato Senior Aide di quattro differenti Presidenti oltre che membro del Comitato Finanze del Senato.
Quindi parliamo con qualcuno che CONOSCE quello che pensano le elite locali sul sistema finanziario e sull'economia Usa. Il dr. Malmgren ha rilasciato recentemente un'intervista a Sinclair and Co. Possiamo definirla assolutamente scioccante. Comincia con questa frase:
Le banche negli Stati Uniti e in Europa stanno cercando di sviluppare un sistema che funzioni senza contanti ... Il concetto è quello di istituire una specie di libro mastro che registri tutto quello che viene incassato e speso da un privato o da un'impresa ed anche un registro che riporti tutte le altre attività finanziarie - mutui, portafogli di investimento, debiti, obblighi finanziari e contrattuali, che includa qualsiasi altra cosa che abbia un valore di mercato come imbarcazioni da diporto, automobili e altri macchinari.
e continua ...
Piacerebbe molto ai governi se esistesse un registro di questo tipo perché potrebbero vedere tutto ciò che sta avvenendo nella finanza in tempo reale, ed avrebbero anche la capacità di valutare il patrimonio netto, i modelli di spesa e di entrate da redditi, da capitale guadagnato-e-non, e, naturalmente, avrebbero una previsione immediata di tutte le attività tassabili.
Ci eravano occupati per mesi di questo fatto ed ora il dr. Malmgren è la persona che può "unire i puntini" e chiarire quali sono i giocatori chiave di questo piano globale che vuole cancellare l'esistenza di una cassa fisica e della privacy finanziaria.
Questo non è un pio desiderio. Blythe Masters, dopo aver architettato per la JP Morgan un sistema di market trading basato su moderni asset di titoli garantiti da ipoteche e obbligazioni ... si sta prodigando in un nuovo sforzo per sviluppare un sistema cashless universale. Il suo progetto non sta solo raccogliendo un notevole interesse da parte degli investitori, ma anche dalla Federal Reserve e da varie agenzie del governo USA che sembrano molto interessate al potenziale, all'utilità e all'efficienza di un sistema cashless universale.
https://www.linkedin.com/pulse/cash-policy-tool-interview-hon-dr-harald-malmgren-tavares
Quella sopra è una descrizione piuttosto tecnica, quindi cerchiamo di spiegarla in modo chiaro e semplice. Questa è la donna che ha contribuito a promuovere e istituzionalizzare i titoli che hanno fatto esplodere l'intero sistema finanziario nel 2008.
Lasciata la JP Morgan (dopo un giudizio in cui la Masters è stata accusata di mentire sotto giuramento), ora è alla guida di un progetto che consente ai governi di monitorare tutto quello che chiunque fa con i propri soldi in tempo reale.
Questo non è complottismo, questo è un fatto. La Masters si è già incontrata con alti dirigenti finanziari per promuovere questa idea. E alle banche centrali l'idea piace.
Questa è una dichiarazione coraggiosa, ma la Masters non è l'unica voce che annuncia l'arrivo del blocco del contante. La Banca d'Inghilterra, in un rapporto dell'inizio di quest'anno, lo chiama "primo tentativo di un Internet della finanza", mentre la Federal Reserve Bank di St. Louis lo saluta come "colpo di genio". In un libro bianco pubblicato a giugno, il World Economic Forum dice: "Il protocollo di blockchain minaccia di far estinguere quasi tutti i processi di intermediazione nei servizi finanziari."
http://www.bloomberg.com/news/features/2015-09-01/blythe-masters-tells-banks-the-blockchain-changes-everything
Ogni volta che la Fed chiama qualcosa " colpo di genio", si può essere piuttosto sicuri che sarà un completo disastro per Main Street. Soprattutto per tutti quelli che saranno coinvolti in questo pasticcio.
Questo è solo l'inizio di una strategia molto più ampia che dichiara guerra al Cash.
Infatti, abbiamo scoperto un documento segreto che spiega come la Fed prevede di far bruciare i risparmi per costringere gli investitori ad abbandonare i contanti ed investirli in attività più rischiose.
Quello che segue l'abbiamo cancellato perché somiglia ad un annuncio pubblicitario (N.d.R.), chi vuole continui a leggere.
Siamo entrati in questi documenti ed abbiamo individuato tre strategie di investimento che consigliamo di implementare subito per proteggere il vostro capitale dal piano sinistro della Fed nella nostra relazione speciale
Sopravvivere alla guerra al contanti dichiarata dalla FED.
We detail this paper and outline three investment strategies you can implement
right now to protect your capital from the Fed's sinister plan in our Special Report
Survive the Fed's War on Cash. We are making 1,000 copies available for FREE the general public.
To pick up yours, swing by….
Best Regards
Phoenix capital marketing

Fonte: http://www.zerohedge.com
Link: http://www.zerohedge.com/news/2015-11-21/former-senior-aide-four-presidents-outlines-how-and-why-elites-want-end-physical-cas
 

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PATTO SEGRETO DI DRAGHI CON ALCUNE BANCHE CENTRALI: STAMPATE SOLDI E COMPRATE TITOLI (L'EURO STA PER ESPLODERE)

mercoledì 9 dicembre 2015
BERLINO - La notizia è davvero clamorosa. Il fatto che non solo la Banca centrale europea ma anche le banche centrali dei singoli Stati della Ue possano comprare titoli di credito e, in cambio, pompare denaro fresco sul mercato, sta mettendo in allarme il mondo politico tedesco e non solo tedesco E che allarme!
Diversi esponenti dei governi europei - senza che la notizia sia stata resa pubblica dai mezzi d'informazione - hanno chiesto e chiedono anche questa mattina alla Bce di pubblicare l'accordo con le banche centrali nazionali rimasto finora segreto.
Quindi, esiste un accordo segreto stretto da Draghi con le banche centrali dei Paesi della zona euro.
Il presidente Mario Draghi dovrebbe "dare informazioni esaurienti sui curiosi incrementi di denaro di molte banche d'emissione nazionali", ha dichiarato il delegato del gruppo parlamentare tedesco dell'Unione di centrodestra e presidente dell'Unione del ceto medio della Csu, Hans Michelbach.
Berlino e con essa tutto il blocco degli stati del nord Europa che usano l'euro, temono infatti che Draghi stia portando avanti un "finanziamento segreto degli Stati".
"Finora il Signor Draghi ha sempre smentito questa possibilita' ma, in realta', in alcuni paesi stanno stampando banconote in grande quantita'", ha commentato Michelbach. "Se adesso Draghi rifiuta qualsiasi spiegazione pubblica su quello che sta succedendo in Italia e in Francia, allora sara' chiaro che ha qualcosa da nascondere", ha aggiunto l'esponente della Csu.
Anche il vice-capogruppo dell'Unione di centro-destra Michael Fuchs chiede piu' trasparenza: "La Bce dovrebbe rivelare l'entita' degli acquisti di titoli effettuati dalle banche d'emissione nazionali nel sistema europeo delle banche centrali (Sebc)", ha dichiarato Fuchs, secondo cui "anche le banche d'emissione nazionali sottostanno al divieto del finanziamento monetario degli Stati. La Bce e la Sebc devono attenersi rigorosamente al loro mandato".
Quindi, in concreto la Banca d'Italia "sta stampando banconote in grande quantità" e con questo denaro contante starebbe acquistando titoli di stato italiani in nome e per conto della Bce, ma certamente con una procedura non ortosossa e soprattutto segreta.
Redazione Milano.

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La Massoneria accusa: stragi di Parigi ?



“I veri mandanti dell’Isis e la Superloggia massonica Hathor-Pentalpha”

By Carlo Tarallo on 20 novembre 2015
http://www.italiaora.net/i-veri-mandanti-dellisis-e-la-superloggia-massonica-hathor-pentalpha/


Gioele-Magaldi.jpg

[FONT="arial" ]Intervista esclusiva a Gioele Magaldi, Gran Maestro del Grande Oriente Democratico ([URL="http://www.grandeoriente-democratico.com"]Grande Oriente d'Italia Democratico[/URL]) e Presidente del Movimento Roosevelt (Home - Movimento Roosevelt), autore del best-seller “MASSONI. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges” (Chiarelettere, Milano 2014) primo volume di una trilogia, che sta anche per essere pubblicato in lingua spagnola, francese e inglese.[/FONT]

[FONT="arial" ][B]D. Magaldi, lei afferma nel suo libro “Massoni” che il nome “Isis” ha un significato legato a una superloggia massonica…[/B][/FONT]
[FONT="arial" ]R. Come ho spiegato nel primo volume della serie di Massoni. Società a responsabilità, Chiarelettere Editore, l’Isis e il progetto politico-terroristico connesso sono una precisa e meditata creazione ad opera della Ur-Lodge Hathor-Pentalpha, una superloggia sovranazionale malignamente “eretica ed estremista” nei suoi fini e nei suoi mezzi, persino rispetto agli ordinari circuiti massonici neoaristocratici e reazionari. Del resto, Isis o Iside è la stessa divinità egizia che, in determinati contesti mitologico-rituali, assume il nome di “Hathor… Tutto questo, comunque, viene spiegato minuziosamente nel libro Massoni, cosi come vi vengono profetizzati- con mesi e mesi di anticipo (il libro è uscito nel novembre 2014)- eventi quali i tremendi attentati terroristici di Parigi del 7 gennaio (episodio di “Charlie Hebdo”) e del 13 novembre 2015. [/FONT]
[FONT="arial" ]Le superlogge “Hathor-Pentalpha”, “Amun”, “Geburah”, “Der Ring” (alla guida di altre, loro satelliti) lucrarono enormi profitti geopolitici ed economici dalle guerre “preventive” al terrorismo dei primi anni ‘2000. Guerre che avrebbero avuto un senso solo se davvero fossero state volte ad “esportare” democrazia, libertà, laicità, diritti universali e infrastrutture materiali e immateriali in grado di garantire in Medio Oriente e altrove non solo istituzioni fondate sulla sovranità popolare e il pluralismo liberale, ma anche giustizia sociale e prosperità per tutti e per ciascuno. Cosi non fu. Quelle guerre, scatenate con il pretesto di abbattere “regimi canaglia” fiancheggiatori del terrorismo islamico, in realtà sono servite a scopi di ampliamento del potere e della ricchezza di un ristretto numero di gruppi massonici reazionari e neoaristocratici.[/FONT]


[B][FONT="arial" ]Cosa sono le superlogge massoniche?[/FONT][/B]
[FONT="arial" ]Anzitutto occorre rammentare che il termine tecnico per denominarle è “Ur-Lodges”. Si tratta di logge molto potenti e speciali, di respiro e composizione sovranazionale, che cooptano tra i propri membri eminenti personaggi (sia uomini che donne) appartenenti alle Comunioni massoniche tradizionali (Gran Logge e Grandi Orienti) e anche profani e profane di particolare spessore e prestigio politico-sociale, economico-finanziario, mediatico, militare e culturale. E si tratta di contesti dove non ci si occupa soltanto di gestire il potere ai suoi massimi livelli globali, ma anche di cenacoli dove teorie e pratiche rituali ed esoteriche vengono coltivate con grande assiduità e scrupolosità. In effetti, a partire da fine Ottocento (momento di nascita delle prime, tra queste superlogge) e poi soprattutto nel corso del Novecento e nel primo quarto del XXI secolo, l’egemonia massonica e l’egemonia tout-court a livello planetario passa dalle tradizionali comunità massoniche organizzate su base nazionale a queste superlogge sovranazionali.[/FONT]


[B][FONT="arial" ]Perché una superloggia dovrebbe scatenare il terrore in Europa?[/FONT][/B]
[FONT="arial" ]Da mesi, con la sceneggiata hollywoodiana sull’Isis e i suoi tagliatori di teste trasmessa worldwide, si è dapprima preparato il terreno. Poi è giunto il primo assaggio cruento nel cuore del Vecchio continente (vedi attentato alla sede della rivista “Charlie Hebdo”), quindi c’è stata una ulteriore escalation con l’episodio di venerdì 13 novembre 2015 e la strage di Parigi. Pur dissentendo da qualsivoglia paranoia complottista sulle numerologie di certi eventi, occorre rammentare che da quando, il venerdì 13 ottobre del 1307, il re di Francia Filippo il Bello diede l’ordine di arresto dei Cavalieri Templari, “venerdì 13” è divenuto un significante importante e famigerato negli ambienti esoterici e massonici e poi anche nell’immaginario collettivo “profano”, tanto da dar vita, in tempi recenti, ad alcune serie filmografiche sul tema. [/FONT]
[FONT="arial" ]E’ in corso una lotta fratricida tra ambienti massonici neoaristocratici, egemoni da mezzo secolo, e la ripresa di attività dei circuiti latomistici progressisti, decisi ora ad invertire il corso antidemocratico e tecnocratico tanto della globalizzazione che della governance europea. Colpendo in un giorno molto preciso e particolare, le manovalanze terroristiche eterodirette dagli ambienti della Ur-Lodge Hathor-Pentalpha, intendevano conseguire due precisi obiettivi. [/FONT]
[FONT="arial" ]Uno: dare un segnale infra-massonico ai circuiti liberomuratori progressisti e in particolare a una superloggia precisa, legata alla tradizione dei Templari e operante con particolare attenzione in Francia, in questi mesi… Dirò poi di che Ur-Lodge si tratti e che cosa stia cercando di fare sul territorio francese. [/FONT]
[FONT="arial" ]Due: grazie allo shock provocato e allo spauracchio della presunta impossibilità di garantire la sicurezza senza misure emergenziali, determinare sia in Francia che altrove un maggiore controllo politico, sociale e mediatico “autoritario”, mediante l’introduzione di eventuali modifiche costituzionali (vedi gli annunci di Hollande in tal senso) e di una sorta di “Patriot Act” europeo. In sostanza, dopo aver determinato una cinesizzazione del popolo europeo sul piano dei rapporti sociali ed economici (smantellamento del welfare, disoccupazione galoppante, crollo della domanda aggregata e dei consumi e conseguente aumento di manodopera a buon prezzo e con bassi salari) e dopo aver costruito una UE matrigna e antidemocratica (il Parlamento europeo, luogo di rappresentanza della sovranità del Popolo europeo non ha il potere di fiduciare e sfiduciare un esecutivo politico continentale che sia sovraordinato alle strutture burocratiche comunitarie, invece di essere, come effettivamente è, subordinato alla [B]dittatura tecnocratica della Bce, vero “dominus” non elettivo dell’attuale Europa[/B]), adesso si cerca di mortificare ulteriormente la vita democratica del Vecchio continente, introducendo, per mezzo della paura del terrorismo, leggi liberticide e autoritarie.[/FONT]


[B][FONT="arial" ]Il Procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, ha detto che “forse dobbiamo essere pronti a rinunciare ad alcune delle nostre libertà personali, in particolare dal punto di vista della comunicazione” a causa della necessità di combattere con ogni mezzo il terrorismo. Cosa ne pensa?[/FONT][/B]
[FONT="arial" ]Proprio il 14 novembre, sul sito ufficiale del Movimento Roosevelt ([URL="http://www.movimentoroosevelt.com"]Home - Movimento Roosevelt[/URL]), poi rilanciato anche sul sito di Grande Oriente Democratico (Grande Oriente d'Italia Democratico), è apparso un importante intervento intitolato “Strage a Parigi del 13 novembre 2015: il tragico avverarsi delle profezie di MASSONI e di Gioele Magaldi (risalenti al 2014) e un necessario impegno di tutti e di ciascuno per difendere democrazia e libertà, contro qualsivoglia deriva autoritaria e illiberale in stile Patriot Act sul suolo europeo e contro altre conseguenze strumentali e scellerate auspicate dai mandanti degli attentati di ieri (13 novembre) e del 7 gennaio 2015 in Francia”, articolo pubblicato il 14 novembre 2015 sul sito MR, di cui consiglio un’attenta lettura. Dopo qualche polemica iniziale, “a caldo”, rispetto a quanto da lui affermato, ho avuto modo di informarmi meglio sulla figura di Franco Roberti, procuratore antimafia e antiterrorismo, e in molti me ne hanno parlato come di persona seria, competente e amante della libertà e della democrazia. Credo, quindi, che quelle parole (anch’ esse dette “a caldo”, sull’onda dei fatti terribili che ci hanno tutti indignato e scosso) sul fatto di rinunciare alla libertà, specie di comunicazione, in favore della sicurezza, siano state pronunciate in un momento di comprensibile e preponderante preoccupazione di assicurare al popolo italiano il massimo di tutela da minacce terroristiche. [/FONT]
[FONT="arial" ]Ma sono altrettanto convinto che Franco Roberti e i suoi collaboratori saranno in grado di lavorare alacremente sul lato della prevenzione e del controllo sapiente del territorio e dei luoghi più esposti a rischio, senza minimamente attentare alle libertà fondamentali dei cittadini. Del resto, il massone progressista Benjamin Franklin, uno dei massimi padri della nascita della prima Repubblica costituzionale e democratica al Mondo, gli Stati Uniti d’America, soleva affermare: “Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza”. [/FONT]
[FONT="arial" ]A proposito dei fatti di Parigi di venerdì scorso, vorrei aggiungere quello che mi hanno suggerito diversi amici fraterni onesti e scrupolosi, tra i quadri e i dirigenti dei servizi d’intelligence (di diverse nazioni) operanti in Francia, e in particolare a Parigi. E sa cosa mi hanno detto? Che senza una falla grossa come una casa nell’operato degli stessi servizi segreti occidentali e francesi (qualche agente infedele che, evidentemente, ha “collaborato” con i terroristi, tradendo con infamia i propri doveri e la propria dignità di uomo e di servitore dello Stato), quello che è accaduto venerdì 13 novembre non sarebbe mai potuto accadere. [/FONT]
[FONT="arial" ]Ma stiamo scherzando? Terroristi che arrivano indisturbati a pochi passi da dove si muove il Presidente della Repubblica e che vanno a fare il più atroce attentato in un locale che avrebbe dovuto essere scientificamente guardato a vista da servizi d’intelligence e sicurezza, in quanto già attenzionato in precedenza per possibili atti di terrorismo e violenza?[/FONT]
[FONT="arial" ]Senza la connivenza di apparati deviati dell’intelligence militare e civile, tutto ciò non sarebbe stato assolutamente possibile. Ecco, dunque ci si prodighi per evitare, in Italia, le falle clamorose e inescusabili relative alla prevenzione degli attentati e al presidio capillare dei luoghi più esposti a rischi. E da questo punto di vista, in molti che lo conoscono bene, mi assicurano che Franco Roberti rappresenti una garanzia- per competenza, intelligenza e desiderio sincero di proteggere la popolazione esposta a minacce terroristiche- di prim’ordine.[/FONT]


[FONT="arial" ][B]Quando e come finirà, se finirà, questa tragedia?[/B] [/FONT]
[FONT="arial" ]La tragedia non finirà da sola. La sua fine dipende insieme dalle iniziative dei massoni progressisti nel contrastare i progetti di involuzione neo-feudale su scala europea, occidentale e globale e dal risveglio dell’orgoglio di tutti i cittadini comuni, latori pro-quota di sovranità. In questa prospettiva è stato fondato il Movimento Roosevelt ([URL="http://www.movimentoroosevelt.com"]Home - Movimento Roosevelt[/URL] ), per unire in una alleanza comune élites progressiste e popolo sovrano desideroso di difendere con le unghie e con i denti tre secoli di conquiste democratiche e liberali.[/FONT]


[FONT="arial" ]Le sue verità sono sconvolgenti, lei vende tantissimi libri e gira l’Italia a spiegarle a tutti. Ha mai avuto una querela?[/FONT][/B]
[FONT="arial" ]Ho ricevuto querele (stralunate) per diffamazione, in relazione alle attività del sito ufficiale di Grande Oriente Democratico ([URL="http://www.grandeoriente-democratico.com"]Grande Oriente d'Italia Democratico[/URL] ), Movimento massonico d’opinione di cui mi onoro di essere Gran Maestro. Ma non ho ricevuto alcuna querela per questioni attinenti alla pubblicazione del libro Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges.[/FONT]


[FONT="arial" ]Nella massoneria, adesso, pensa di avere più amici o più nemici?[/FONT][/B]
[FONT="arial" ]Ho sicuramente sia molti amici che molti nemici, all’esterno del network specifico di GOD, parte del più ampio campo di azione della Libera Muratoria progressista, di cui sono parte integrante. Tuttavia, da qualche tempo a questa parte accadono cose un po’ strane… [/FONT]
[FONT="arial" ]L’altro giorno, ad esempio, qualcuno mi ha iscritto ad un Gruppo “Massoneria” su facebook e poi, su quello stesso Gruppo, ieri, mercoledì 18 novembre, sono stato oggetto di minacce di esplicita violenza fisica e anche di morte, da alcuni massoni italiani, peraltro riconoscibili con nome e cognome. Sarà naturalmente mia cura, nelle prossime ore, allertare della cosa in modo adeguato sia le autorità giudiziarie competenti che l’opinione pubblica.[/FONT]


[FONT="arial" ]N[FONT="arial" ]dB:[/FONT] [/FONT]
[FONT="arial" ][B]Mario Draghi[/B][FONT="arial" ], [/FONT]classe 1947, presidente della Banca centrale europea dal 2011, è affiliato a cinque logge massoniche transnazionali: alla “Edmund Burke”, alla “Pan-Europa”, alla “[URL="https://it.wikipedia.org/wiki/Rosa_dei_venti_%28storia%29"]Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum[/URL]”, alla “Three Eyes” e alla “Der Ring[FONT="arial" ]"[/FONT]. [/FONT]

[FONT="arial" ]Vedi anche: [URL="http://popoffquotidiano.it/2014/11/23/la-massoneria-deviata-che-controlla-il-mondo-ecco-la-lista/"]La massoneria deviata che controlla il mondo, ecco la lista [/URL][/FONT]

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Guerra valutaria
La Merkel pronta al piano B per uscire dall’EURO

Da Redazione dic 10, 2015 1 commento

Merkel ed il suo estableshment


di Antonio M. Rinaldi
Mentre la classe dirigente politica italiana continua ad invocare a senso unico il “più Europa”, la Germania della Merkel sta seriamente mettendo a punto un Piano B per uscire dall’attuale euro. La notizia è trapelata da uno dei consiglieri economici più influenti ed ascoltati dal presidente Hollande, Gael Giraud, il quale ha candidamente ammesso di essere a conoscenza che si sta delineando un Piano B che consentirebbe ai paesi del Nord Europa di creare una nuova moneta.
Nella pratica la Germania, insieme ai suoi satelliti Austria e Olanda, sta mettendo a punto una sorta di supereuro, ovvero di un euromarco, per svincolarsi dagli eventuali oneri che si genererebbero da un prossimo probabile fallimento della moneta unica.

La stessa Merkel, il cui gradimento fra il suo elettorato ultimamente ha subito un sensibile arretramento non per altro per la fallimentare gestione dell’emergenza migranti, ha fondati timori che in caso di crisi di sostenibilità dell’euro i cittadini tedeschi non tollererebbero nessun tipo di sostegno a proprie spese verso altri paesi europei in difficoltà.
A questo punto entrerebbe in azione un Piano B per sganciare la Germania dal resto dei paesi eurodotati con l’adozione di una moneta propria che gli consentirebbe non solo di perseguire la politica economica a lei congeniale imperniata sulla stabilità dei prezzi e il rigore dei conti pubblici fino al perseguimento del principio del pareggio di bilancio, ma soprattutto di non partecipare più a salvataggi e aiuti che trasferirebbero dalla propria alle altrui economie ingentissime risorse non più tollerate e “digerite” dalla popolazione.
Insomma la Germania cinica calcolatrice disponibile ad essere portabandiera dell’euro finché questo gli ha consentito vantaggi e a scappare subito per prima non appena le circostanze non gli sono più favorevoli.
Inoltre se la Germania e i paesi che gli andranno dietro faranno la mossa per primi, avranno l’enorme vantaggio di dettare le regole del nuovo equilibro di forze che si determineranno in Europa, mentre chi rimarrà con l’euro “zoppo” ne subirà passivamente le conseguenze.
Sarebbe pertanto quanto mai opportuno di predisporre un “contro Piano B” da parte dei paesi esclusi dal programma tedesco, con in testa la Francia, l’Italia e la Spagna, per cogliere invece un’ottima opportunità e non essere colti all’improvviso dall’uscita della Germania. In fondo i soli tre paesi citati possono contrapporre sia una popolazione che un PIL nettamente superiori di quelli che si creerebbero dall’aggregazione voluta dalla Merkel e questo consentirebbe la nascita di un “euro-latino” basato su una politica economica molto più vicina alle esigenze dell’economia reale rispetto a quello a cui siamo stati ormai abituati a sopportare da più di sedici anni. Insomma se ben gestito il contro-piano dei “paesi latini” potrebbe rivelarsi vincente nella sfida contro la scelta tedesca di creare un nuovo ordine monetario.
Naturalmente i problemi tecnici correlati ad una vera e propria scissione dell’euro sono notevoli, ad iniziare dalla BCE e dal sistema Target 2, ma tutto è risolvibile in funzione del principio del “danno minore”, cioè di fronte al disastro finanziario completo si cercano di fare scelte con i minori effetti collaterali possibili.
Naturalmente, in tutto questo scenario, l’unico raglio che si sente nella Penisola è sempre e solamente: “Subito gli Stati Uniti d’Europa”!
Antonio M. Rinaldi
 
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gilles1

Forumer storico
TRANQUILLI OGGI IN FRANCIA LE LE PEN PERDONO

salvo sorprese

la mobilitazione del sistema è stata potente

tutti contro il lupo cattivo

la guerra civile di Valls...tarato mentale secondo Houellebecq

e ieri LE FIGARO dedica copertina a Sarko e copertina del magazine domenicale a Carla...
come scrive Marianne...un po' troppo
Dans Le Figaro, spécial couple "Nicolas et Carla" à deux jours des régionales

quindi, tutti tranquilli

socialisti e repubblicani si spartiscono il potere...

come sempre è stato
 

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