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La strage di italiani in Tunisia fu strumento per spingere l’Italia ad intervenire sotto l’ombrello NATO/ONU in Libya? Cosa c’è dietro…

I ben informati – pochi e sempre i soliti – che ruotano attorno alla Farnesina (non nella Farnesina, ben inteso…) non hanno dubbi: l’attacco del Bardo di Tunisi era mirato a fare una strage di italiani, nulla d’altro. Finalmente questa triste verità sta emergendo anche dai giornali nazionali a partire da La Stampa di Torino, non a caso testata vicinissima agli apparati USA. L’obiettivo, molti temono, parrebbe essere quello di spingere l’Italia all’intervento militare in Libya per mettere ordine, evidentemente chi lo ha commissionato ha sottovalutato l’ignavia italica, gli italiani non ci pensano nemmeno ad intervenire. Infatti, per “vendere” alla gente dello Stivale un intervento armato bisogna comprarsi la politica, che decida per loro… Non che non sia mai successo in passato e nemmeno che non sia successo ora ma evidentemente anche se fosse il caso chi oggi comanda sa che sarebbe una polpetta avvelenata che deraglierebbe quel minimo di crescita che si può sperare di avere nei prossimi 9 mesi.
Chi scrive è stato fiero sostenitore di un intervento unilaterale italiano atto a mettere ordine in Libya, una scuola di pensiero purtroppo minoritaria. Appunto, unilaterale, finalizzato a difendere gli interessi italiani. Quello che invece vorrebbe qualcuno non troppo amico dell’Italia – e nemmeno troppo lontano, sta certamente in Europa – è far pagare il conto dell’ordine da re-instaurare appunto al Belpaese. Renzi giustamente si nega dall’intervenire, se proprio si deve fare bisogna che sia unilaterale, leggasi con l’obiettivo di spiazzare gli avversari nei progetti in Libya (Francia, UK, Germania per intenderci). Oggi l’Italia non ne ha la forza e nemmeno gli appoggi (con Obama).
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In ogni caso la la storia è meno complessa di come appare, sapendola leggere: nel 2011 ci fu un golpe contro l’Italia e dunque venne fatto cadere il Cavaliere. Nelle more di questo piano, di matrice franco-britannica, bisognava annientare Gheddafi, troppo amico dell’Italia – con il suo aiuto l’Italia rischiava di passare come il vero vincitore nel post crisi subprime, l’unico paese occidentale a non aver dovuto salvare il proprio sistema bancario con soldi pubblici – essendo per altro il Rais in possesso di documentazione compromettente per Sarkozy (Gheddafi aveva finanziato la sua campagna elettorale, ndr).
Dunque, la Francia attaccò in modo unilaterale la Libya e fu il caos, il paese mediterraneo cadde in una guerra fratricida che ha annichilito la ricchezza libica in meno di quattro anni, per altro creando seri grattacapi all’ENI (l’azienda italiana molto probabilmente sarà il prossimo obiettivo di BP o Total, ma questa è un’altra storia). Appunto, la Francia NON sarebbe potuta intervenire in Libya come ha invece fatto, è prassi che nel caso di ex colonie il coordinamento delle operazioni debba passare dalla potenza ex coloniale. Dunque la Francia – spalleggiata dagli UK – creò il trambusto andando contro le regole di ingaggio di prassi, fatto di cui anche la segreteria di Stato USA ebbe a che dolersi.
Ora che il caos è stato fatto la Francia vorrebbe che l’Italia raccogliesse i cocci assumendosi l’onore – anzi, soprattutto l’onere – dell’intervento armato, proprio adesso che l’Italia sta vedendo un minimo di crescita, oggi intervenire sarebbe un suicidio anche in relazione alla grave situazione di crisi del Belpaese. Per non parlare dell’aspetto militare.

Chi scrive era fautore di un intervento unilaterale per spiazzare gli interessi dei paesi che volettero il golpe italiano, chiaramente è contrario a farsi prendere per il sedere da Parigi con un intervento ora e per di più non in modo unilaterale (qualcuno vorrebbe che l’Italia intervenisse anche per difendere gli interessi dei “partners EU” che hanno creato il problema quattro anni fa, per altro loro stessi spiazzando ENI in molti progetto energetici). Anche Hollande ha “invitato“ l’Italia ad intervenire….
In tutto questo vale la pena di menzionare il caso degli UK: decisero di intervenire in Libya con il desiderio di spiazzare l’ENI nel settore idrocarburi, questo è chiaro. Il vero problema è che facendo cadere Berlusconi, passo necessario per poter perseguire il loro obiettivo in Libya, hanno rafforzato la Germania che ora senza il Cavaliere tra le scatole è la chiara dominatrice in Europa (il Cav era un solidissimo alleato anglosassone!). Ossia, oggi gli UK sono in una situazione simile a quella vissuta a Dunquirq, leggasi in EU non contano più nulla a vantaggio tedesco (e francese).
La Francia invece, il vero malato d’Europa in pectore, spera ancora di perpetrare il suo potere a danno italico, come sempre. E per questo si è alleata alla Germania in EU, in questo contesto la vittoria di Sarkozy di oggi alle amministrative è pericolosissima per l’Italia.
Vedremo, comunque il caos è tanto. Per ora il Governo fa bene a non concedere nulla ai propri nemici, che l’intervento in Libya per riappacificare venga fatto da coloro che hanno fatto il danno, questa è una buona – o l’unica – indicazione strategica perseguibile. Per adesso.
Fantomas per Mitt Dolcino

Libya



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attualita' marzo 22, 2015 posted by admin
Chi ha incastrato Roger Rabbit?

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Gennaro Varone, Sostituto Procuratore della Repubblica a Pescara
Mani Pulite prende avvio nello stesso anno di Maastricht: 1992. La caduta del blocco sovietico è del 1989. E’ Giulio Andreotti il presidente del Consiglio di Maastricht, Claudio Martelli è vice presidente del consiglio, tutta la nomenklatura della prima Repubblica è schierata il quel governo: De Michelis agli Esteri, Claudio martelli alla Giustizia, Cirino Pomicino al Bilancio, Carli al Tesoro. Perché sottoscrivono un accordo che sta per distruggere ciò che hanno faticosamente costruito e difeso?
In Italia abbiamo un rapporto Politica-Finanza (fondato sul finanziamento a partito politico) saldamente nelle mani della politica, del Pentapartito, sino al 1989. Soltanto perché la Finanza, timorosa del blocco sovietico, lo ha permesso. La DC prima; poi il Pentapartito, hanno costruito un parastato fortissimo, con Banche Pubbliche (collocatarie dei Titoli di Debito Pubblico), tutti i più grandi enti fornitori di servizi in mano pubblica (ENEL, Poste, TELECOM, ENI). La politica si sentiva invincibile. Ma la spinta neoliberista della grande Finanza inizia a farsi sentire. I grandi Finanziatori dei partiti politici vogliono la Stabilità dei Prezzi, la Recessione e la Deflazione: perché li arricchisce.
Non più soltanto Appalti (queste sono briciole); ma una scelta politica nuova (già iniziata nel 1981, quando la Banca di Italia fu autorizzata dal ministro Andreatta a non acquistare più i Titoli di Stato, provocando l’inizio delle recessione e l’impennata del Debito Pubblico). Sino al 1989 il pentapartito aveva garantito contro la minaccia sovietica. Ora che la minaccia sovietica non c’è più, il pentapartito non è più “indispensabile“. Ma i Big Politici dell’epoca, non hanno capito che un’epoca è finita e si sopravvalutano. Scelgono di accondiscendere alle richieste, sempre pensando di essere loro i Padroni, di poter ‘controllare’ la Finanza ed il nuovo corso che stanno dando alla storia italiana.
E sottoscrivono Maastricht. E’ il 7 febbraio 1992. Si sbagliano.
La Finanza vuole comandare LEI. Ha permesso alla politica di essere padrona, soltanto perché “conveniva così“, nel breve periodo. Ma la regola “chi paga, comanda” non l’ha mai dimenticata. (Dal libro di Michael Crichton “Rising Sun”: chi paga comanda”). Per questo quel mondo politico si sgretola, con l’indagine Mani Pulite. Perché non era forte in sé. E’ la Finanza a comandare. La politica pensava di essere invincibile, ma senza il blocco culturale/sociale indotto dal Potere Finanziario era ben poca cosa.
Mani Pulite (nata per caso il 17 febbraio 1992, ma un’occasione si sarebbe, prima o poi, presentata) diventa, innanzitutto, un fenomeno culturale senza precedenti: dietro una campagna di stampa ‘alzo-zero’ contro i corrotti, che ben presto diventa uno slogan senza precedenti; campagna di stampa e”culturale” che soltanto una élite finanziaria poteva accendere e far propagare. Che non ci appartiene davvero: tant’è che oggi, non si indigna più nessuno.
Non che i giornalisti fossero pagati per dire certe cose; ma, una volta acceso il sacro fuoco della lotta all’odioso furbetto che intasca mazzette (in un’Italia che, improvvidamente, gli ultimi governi avevano sottoposto a “cure” di austerità, nella erronea convinzione di essere i Re del Gioco); ebbene, questo fuoco si è naturalmente propagato: anche in chi, in tutta coscienza, non si è reso conto di essere parte di uno scacchiere molto più ampio.
Questo fenomeno culturale “a furor di popolo” (furore che, ben presto, si spegnerà: in quegli stessi che l’avevano alimentato: vedi Lega Nord e AN dell‘epoca) induce e sostiene le “confessioni” degli imprenditori; su cui, in definitiva fonda la ‘fortuna’ dell’inchiesta. Le confessioni vengono rese non per paura del carcere, ma perché si avverte che c’è un “via libera”. Il carcere non è che una messa all’indice, in un periodo di indignazione opportunamente fomentata. Tanto è vero che “oggi” il carcere non fa più paura a nessuno. Si sceglie di parlare sapendo che costerà soltanto qualche giorno di arresti domiciliari e un mesetto di San Vittore. Ma si sceglie di parlare perché c’è un “via libera“.
C’è anche qualche morto, che (a torto) è scaricato sulla responsabilità della magistratura penale. Chi muore, muore perché il Sistema lo ha consegnato quale vittima sacrificale al nuovo corso della Storia. Gardini e Moroni si suicidano “prima” che gli venissero notificati ordini di arresto. Poi, sui singoli si può anche discettare di responsabilità, personalismi non sempre disinteressati. Ma qui guardiamo il fenomeno nelle sue cause radicali. E’ il prezzo da pagare per liberarsi di una classe politica che ostacolava il percorso della Grande Finanza; un classe politica che, pur intascando mazzette personali e finanziamenti ai partiti, aveva reso grande l’Italia e creato una rete pubblica la quale, con tutte le sue inefficienze e personalismi, garantiva servizi a basso costo alla popolazione.
I partiti dell’opposizione cavalcano, abbastanza scioccamente, il fenomeno per scopi puramente egoistici: ricordiamo senz’altro alcuni personaggi che inneggiavano a Di Pietro, quando faceva arrestare i rivali politici e lo hanno crocifisso quando, saliti al potere, pretendevano che si fermasse. Di Pietro, dal canto suo, da magistrato, pretendeva di continuare la sua azione, senza avere capito che il clima era cambiato e che quella azione non era stata un ‘suo‘ merito.

Il primo partito di opposizione (il PCI) ha intravisto la possibilità di ribaltare la maggioranza politica, grazie a quella inaspettata azione della magistratura penale, con la chiara coscienza che non ce l’avrebbe mai fatta politicamente: perché l‘Italia e l‘Europa non sono marxiste; ed ha iniziato a studiare da neoliberista, nel tentativo (oggi riuscitogli) di proporsi come “quello che fa le stesse cose della destra, soltanto meglio e senza tangenti“.
La stessa magistratura ha avvertito quel “via libera” ed ha sostenuto il nuovo corso, illudendosi di esserne protagonista: con le carcerazioni, spessissimo confermate sino in Cassazione, ma con motivazioni che, “oggi“, mutato il clima, nessuno si sognerebbe neppure astrattamente di condividere, pena la disciplinare; nella sentita e genuina convinzione di dover applicare la legge.
Il giudizio storico che si può dare sulla vicenda, tuttavia, è che la legge la si sia “applicata” soltanto tra il 1992 ed il 1994: il tempo di rovesciare una classe politica che, con tutti i suoi difetti, MAI avrebbe permesso (per ragioni egoistiche, ma anche sociali) lo smantellamento della struttura pubblica cui abbiamo assistito dal 1994 in avanti: svendita delle Banche Pubbliche Italiane, Privatizzazioni “a palla“; e, soprattutto, MAI avrebbe permesso l’ingresso nell’eurozona alle condizioni del 2002.
Poi il clima muta, il “via libera” cessa, i rubinetti delle confessioni si chiudono, ci scopriamo tutti nuovamente garantisti e il nuovo corso della Storia torna sotterraneo, come prima. E non ne sappiamo più nulla. L’ingresso del Privato in ogni settore della vita sociale ha costituito un gravissimo peggioramento delle condizioni di vita: prezzi esorbitanti per la povera gente, servizi spesso più inefficienti, senza possibilità di reclami (in genere, una voce telefonica registrata con musichetta di Mozart ed attese di qualche ora), una totale perdita delle garanzie, una totale perdita dei controlli e più raffinate forme di corruzione, difficilmente snidabili nei gangli delle società private: che agiscono secondo logiche proprie e con una compartimentazione dei ranghi molto più stretta, che non nel pubblico.
Dietro minaccia di licenziamento privato, quale dipendente mai assumerà la difesa del consumatore o l’iniziativa di denunciare o collaborare per svelare le frodi che si commettono? E siamo ad oggi.

Gennaro Varone, Sostituto Procuratore della Repubblica
 

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Verso la guerra civile oligarchica ucraina →
I trilioni scomparsi di Rumsfeld, Stavridis e la guerra non convenzionale

marzo 24, 2015 Lascia un commento

Christof Lehmann, NEONsnbc 24 marzo 2015
Il 10 settembre 2001, il segretario alla Difesa degli USA Donald Rumsfeldt dichiarò che 2300 miliardi di dollari del bilancio del Pentagono non potevano essere contabilizzati. L’11 settembre 2001, l’ufficio contabile del Pentagono e il Comando Navale furono colpiti, presumibilmente da un aereo. I sopravvissuti avrebbero segnalato esplosioni nel Pentagono prima all’impatto del presunto aereo. Durante la Forrestal Lecture 2012, l’ammiraglio James G. Stavridis affermò di aver lavorato come contabile scelto al Pentagono, e di aver avuto la fortuna di sopravvivere. Nel 2009 Stavridis fu promosso Comandante supremo della NATO in Europa. Responsabile nel 2011 delle operazioni NATO in Libia, Stavridis descrisse l’intervento della NATO in Libia come “culmine e modello per futuri interventi”.
Ammiraglio James G. Stavridis

Il 10 settembre 2001, il segretario della Difesa Donald Rumsfeld dichiarò la guerra agli sprechi, sottolineando che 2300 miliardi di dollari dal bilancio del Pentagono non risultavano. CBS citò Rumsfeld dire che il denaro sprecato dai militari costituiva una grave minaccia “Infatti, si potrebbe dire che sia questione di vita o di morte“. Rumsfeld prometteva il cambiamento dall’11 settembre. In effetti, il cambiamento avvenne quell’11 settembre; per molti di coloro che lavoravano al Pentagono, il cambiamento costò la vita, mentendo in pericolo di vita i sopravvissuti che lavoravano negli uffici colpiti. Una dei sopravvissuti è April Gallop che testimoniò sotto giuramento in un’intervista video-registrata da Barbara Honegger, che condusse un’indagine approfondita sugli eventi al Pentagono dell’11 settembre. April Gallop affermò che si ebbe una violenta esplosione vicino al suo ufficio nell’Ala Due o Corridoio Cinque, 100 metri più a nord rispetto alla narrazione ufficiale sul presunto punto d’impatto dell’aereo, che fermò il suo orologio alle 9:30. April Gallop non vide rottami di aereo, poltrone, bagagli, corpi di passeggeri, né carburante. Il suo orologio è conservato in un luogo sicuro. Gallop vide l’incendio scaturire dai computer. Barbara Honegger riporta che altri testimoni oculari, tra cui Tracy Webb, videro tali incendi dai computer nell’Anello E del Corridoio Quattro. Aprile Gallop contattò diversi altri sopravvissuti che possono corroborare la sua testimonianza, ma a cui dovrebbero garantire protezione prima di farsi avanti. L’impatto del presunto aereo avvenne otto minuti dopo massicce esplosioni nel Pentagono. Un altro orologio del Pentagono, conservato allo Smithsonian, nonché prove fotografiche, dimostrano che altri orologi si fermarono per le esplosioni prima del presunto impatto dell’aereo. La ricerca di Barbara Honegger mostrerebbe che “qualcosa” colpì il Pentagono anche dall’esterno. Quell’oggetto, però, non era un aereo di linea e colpì a 150 metri dal luogo del presunto impatto del jet di linea.
La guerra di Donald Rumsfeldt agli sprechi si trasformò nella guerra globale al terrorismo e nelle invasioni di Afghanistan e Iraq. Le informazioni sui 2300 miliardi di dollari scomparsi furono distrutte l’11 settembre. Nel 2012 il Comandante supremo in Europa della NATO (SACEUR), Ammiraglio James G. Stavridis, alla Forrestal Lecture presso l’Accademia Navale parlò dell’evoluzione e sviluppo della guerra nel 20° secolo. Stavridis ricorda che Prima e Seconda guerra mondiale, nonché la Guerra Fredda, erano guerre contro i muri, dalla linea Maginot alla cortina di ferro, dalla Cortina di bambù al Muro di Berlino. Stavridis sottolinea che ci volle “una lezione scioccante”, l’11 settembre 2001, per dimostrare che le mura non proteggono il mondo moderno. Stavridis puntò su un’immagine a grande schermo della sezione del Pentagono distrutta l’11 settembre 2001, affermando che vi lavorava da neo-ammiraglio “nel mondo del budget della Marina“. Indicando la sezione del Pentagono distrutta l’11 settembre 2001 disse “ovviamente, ho la fortuna di essere oggi qui a parlarvene“. Un tentativo di raggiungere l’ormai ex-ammiraglio James G. Stavridis, preside della Facoltà Fletcher dell’Università Tuffs, rimase senza risposta. Stavridis sarebbe un testimone importante e sarebbe anche interessante sapere se lavorasse presso gli uffici nell’Anello E del Pentagono o presso il Centro Comando Navale (NCC) negli Anelli D e C. La NCC fu l’unico ufficio della Marina colpito delle esplosioni l’11 settembre 2001. Dov’era e a cosa lavorava nei giorni prima dell’11 settembre e l’11 settembre il neo-nominato ammiraglio, divenuto SACEUR della NATO nel 2009? Da SACEUR della NATO, Stavridis fu responsabile delle operazioni NATO in Libia nel 2011.
Nel novembre 2010 il John F. Kennedy Special Warfare Center e la Scuola di Ft. Bragg, Carolina del Nord, pubblicarono la Circolare Formativa TC 18-01 intitolata “La guerra non convenzionale delle Forze Speciali“. La TC 18-01 fu pubblicata per le forze speciali statunitensi, nonché per i “contractors”. La circolare contiene un avviso che indicava “Distruggere con qualsiasi metodo per impedire la divulgazione dei contenuti o la ricostruzione del documento”. Il documento era “disponibile per gli studenti esteri solo caso per caso“. Il documento afferma che gli Stati Uniti, nel prossimo futuro, si sarebbero impegnati soprattutto in guerre non convenzionali. Il documento contiene un approccio strutturato alla sovversione del Paese preso di mira, a cominciare da valutazione di un’opposizione fattibile e cooperativa, creazione di eventi per polarizzare la società, costituzione di gruppi armati e loro sviluppo in forza capace di combattere una guerra civile o una guerra non convenzionale sotto supervisione, per raggiungere gli obiettivi della politica estera degli Stati Uniti. La TC 18-01 contiene de-facto il piano del coinvolgimento di Stati Uniti e NATO in Libia e Siria, al comando del SACEUR della NATO Stavridis. Il TC 18-01 aveva anche piani precisi per la guerra in Iraq e la “crisi” in Ucraina. Purtroppo, non è stato possibile raggiungere James G. Stavridis alla Fletcher School della Tuffs University. Ivo H. Daalder e James G. Stavridis furono i co-autori dell’articolo “La vittoria della NATO in Libia. Il modo giusto per intervenire“. L’articolo sulla NATO che oltrepassava le disposizioni della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 1973 (2011) fu pubblicato su Foreign Affairs, marzo/aprile 2012, pp 2-7. Al 25° vertice della NATO a Chicago, nel 2012, la NATO adottò le premesse di tale articolo per la sua dottrina strategica. Oltre a domande sulla sua esperienza nei giorni precedenti l’11 settembre 2001, sarebbe interessante chiedere a James G. Stavridis se si ritrova ancora con ciò che scrisse in quell’articolo, e cioè che “la Libia fu un momento istruttivo e modello per futuri interventi”. Probabilmente 2,3 trilioni di dollari sono un budget utile per avviare guerre da combattere “in nero”.
L’ammiraglio James G. Stavridis saluta il Generale Dario Ranieri a Camp “Arena”, Herat, Afghanistan

Dr. Christof Lehmann, consulente politico indipendente su conflitti e risoluzione dei conflitti, fondatore e direttore di Nsnbc, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
 

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Krugman: Monete dell’Atlantico Centrale

Post da Voci dall’estero

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Henry Tougha​

Un mini-post di Paul Krugman suggerisce un provocatorio confronto tra l’Islanda, paese di poco più di 320.000 abitanti dotato di sovranità monetaria, e la Contea di Mercer (negli USA), dove si trova l’Università di Princeton in cui lui insegna. Noi potremmo fare lo stesso confronto con Firenze o con Bari. Ciò dovrebbe far riflettere quelli che, da noi, dicono che l’Italia è “troppo piccola” per potersi permettere una propria sovranità monetaria.

di Paul Krugman, 22 marzo 2015
Questa economia ha una propria moneta:


Quest’altra invece no:


Ciò vi crea qualche problema?
La cosa davvero sorprendente è che l’Islanda se l’è cavata benissimo con la propria moneta indipendente, che le ha risparmiato l’immenso costo della svalutazione interna. Ora, non sto dicendo che bisogna creare la moneta della Contea di Mercer — per quanto, se mai ciò dovesse accadere, suggerisco che si chiami Plumdollar o Evanovich. Ma chiedersi il perché è un esercizio interessante per la teoria delle aree valutarie ottimali.


http://scenarieconomici.it/krugman-monete-dellatlantico-centrale/#


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Un'azienda di De Benedetti, Sorgenia, ha ottenuto in passato un prestito di 600 milioni (provate voi a chiedere un fido di qualche decina di migliaia di euro...) da MPS , banca notoriamente sotto l'influenza del PD, partito che ha ormai la Repubblica come suo organo ufficiale. La Sorgenia sostanzialmente fallisce (ha un debito di 1,8 miliardi di euro), la banca invece di chiedere il rientro del prestito si offre per uno scambio di quote con il prestito erogato, ma che valore hanno oggi le quote? C'è poi un piccolo particolare. MPS ha ottenuto da parte del governo Monti un finanziamento di circa 5 miliardi per evitare il fallimento. Quindi, lo Stato è oggi uno dei principali azionisti di MPS (che a rigor di logica dovrebbe essere nazionalizzata). In sostanza con i soldi dei contribuenti dati a MPS stiamo salvando un imprenditore privato. Il M5S ha presentato una interrogazione parlamentare. Aspettiamo risposte dal Governo.
"Al Ministro dell’Economia e delle Finanze
Premesso che:
Sorgenia spa, nata nel 1999, è uno dei principali operatori del mercato libero dell’energia elettrica e del gas naturale, con circa 400.000 clienti su tutto il territorio nazionale, concentrati in particolare nel segmento dei professionisti e delle piccole e medie aziende. Dispone di impianti di generazione per circa 5.000 MW di potenza installata. Sorgenia spa in circa 10 anni di attività, ha accumulato un debito societario pari a 1,8 miliardi di euro per il quale si è reso necessario giungere ad un accordo di ristrutturazione con le banche creditrici a norma dell’art. 182 bis della legge fallimentare che disciplina in forma negoziale i risanamenti di aziende.
Le principali banche creditrici della società erano Monte dei Paschi (600 milioni), IntesaSanpaolo (371 milioni), Unicredit (180 milioni), Ubi (180 milioni), Bpm (177 milioni), Banco popolare (157 milioni); il piano dei creditori ha dato vita ad un nuovo veicolo controllante, che ha quale primo azionista MPS con il 22%, seguito da Ubi con il 18%, Banco popolare con il 11,5%, Unicredit con il 9,8%, Intesa Sanpaolo con il 9,7%, Bpm con il 9%. Cir, Sorgenia Holding e Verbund non detengono più azioni di Sorgenia. Il processo di ristrutturazione dell'indebitamento di Sorgenia attuato nell’autunno 2014 ha previsto, tra l’altro, un aumento di capitale da 400 milioni di euro interamente sottoscritto dalle banche finanziatrici – e dunque anche MPS - attraverso la conversione di crediti nel capitale della società.
A parere degli interroganti è inaccettabile che la MPS sia diventata la principale azionista di Sorgenia; nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul sistema bancario italiano nella prospettiva della vigilanza europea, il 26 febbraio 2015 presso la VI^ Commissione Finanze e Tesoro del Senato della repubblica si è tenuta l’audizione dei rappresentanti di MPS; in quella sede, il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola hanno rappresentato che “il Gruppo MPS ha superato l’AQR (Asses Quality Risk) confermando la solidità della struttura patrimoniale della Banca” e che “il Common Equity Tier 1 (CET1) post AQR è stato del 9,5% (al 31 dicembre 2013), sopra la soglia minima prevista (8,0%)". Gli interroganti contestano queste affermazioni che non rispondono in alcun modo al vero poiché dal rapporto stilato dalla BCE sulla Banca Monte Paschi Siena (pagina 2, cella B18) risulta che la banca abbia evidenziato un deficit di capitale per l’AQR pari a 847 milioni di euro, a fronte di un livello di capitale (CET1) di 6.99% ovvero 101 punti base sotto la soglia dell’8%. A questo risultato negativo sull’AQR si aggiunge poi il deficit generato dagli stress test per un importo cumulato di ben €4,2 miliardi incluso l’AQR. Nonostante la banca sia stata salvata grazie allo Stato italiano, cioè ai 4 miliardi di euro di prestiti (cosiddetti Monti Bond) di cui oltre un miliardo ancora da restituire ed il successivo aumento di capitale di 5 miliardi nel giugno 2014, il 26 ottobre 2014 la Banca Centrale Europea ha stabilito che mancano ancora 2,5 miliardi di capitale per mettersi in regola.
Monte Paschi Siena, dal 2011 ad oggi ha registrato perdite per circa quindici miliardi di euro di cui circa dieci miliardi nel corso della gestione degli attuali vertici (Presidente Profumo, Amministratore Delegato Viola). Sempre dal rapporto della BCE del 27 ottobre 2014 è emerso che la vigilanza europea ha trattato come derivati una gigantesca operazione riportata da MPS come investimenti in titoli di stato (la c.d. Operazione Nomura) con questo potendosi prefigurare possibili profili di responsabilità sui bilanci.
I cinque miliardi di aumento di capitale versato dagli azionisti, la cui maggioranza è oggi costituita da migliaia di piccoli azionisti, sono andati letteralmente in fumo in meno di sei mesi (piu di quanto abbia perso la capitalizzazione di Parmalat nei mesi che hanno preceduto il fallimento) i vertici attuali della banca, a fronte di nuove perdite per oltre 5 miliardi appena annunciate per l’esercizio 2014, si apprestano a chiedere ai risparmiatori di versare altri tre miliardi in un nuovo aumento di capitale che si intende varare a maggio-giugno 2015; di fatto gli aiuti di stato pagati con i soldi dei contribuenti ed i quattrini raccolti con l’aumento di capitale (5 miliardi) eseguito a giugno 2014 e quelli che ancora si vuole raccogliere saranno serviti anche per convertire il debito di Sorgenia in azioni evitando il fallimento della società di De Benedetti. Sul Mps ed in particolare sul mancato commissariamento da parte da parte della Banca d'Italia in virtù degli articoli 70 e ss. del Testo unico bancario è stata presentata, in data 11 febbraio 2015, un’interrogazione a risposta in VI^ Commissione Finanze della Camera dei deputati, ad oggi rimasta inevasa.
Si chiede se il Ministro interrogato:
- sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
- ritenga opportuno che Sorgenia sia stata salvata da MPS salvata a sua volta salvata con i quattrini dei contribuenti che dunque sono andati anche a Sorgenia
- se intende domandare alla Banca d’Italia per quale motivo l’autorità di vigilanza non abbia presentato istanza di commissariamento ai sensi dell’art 70 TUB a seguito delle ingenti perdite (15 miliardi in 4 anni) e di possibili profili di responsabilità per l’errata contabilizzazione dell’Operazione Nomura evidenziati dalla BCE
- ha intenzione di chiedere alla Consob di verificare la correttezza del prospetto dell’aumento di capitale di MPS eseguito nel giugno 2014 posto che l’AQR ha fatto emergere rettifiche sui crediti per oltre quattro miliardi a valere sul bilancio 2013 (ultimo bilancio approvato disponibile prima di eseguire l’aumento di capitale);
- condivida la riconferma del vertice di MPS (Presidente Profumo e dell’Amministratore Delegato Viola), proposta dalla Fondazione MPS su cui il MEF ha funzioni di controllo" M5S Parlamento
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25 Mar 2015, 13:07 | Scrivi | Commenti (86) | Ascolta
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Svendite e tradimenti
Pubblicato su 25 Marzo 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in POLITICA
Dallo sgancio dello SME alle svendite di Stato per entrare nell’€uro (settembre 1992 – dicembre 1996)
L’inizio della fine

Dal 1987 la Lira era nello SME credibile (parità quasi fissa contro marco tedesco –DEM-, Franco Francese –FRF-, sterlina inglese GBP, scellino austriaco, fiorino olandese e franco belga le maggiori) e per tenere in equilibrio la moneta, ogni sera la Banca d’Italia doveva intervenire sul mercato dei cambi comprando o vendendo lire. Se la lira risultava disallineata verso il basso con le altre monete dello SME la BdI comprava Lire, diminuendo le riserve di valuta pregiata e/o di oro per l’importo necessario; se risultava disallineata verso l’alto vendeva Lire, aumentando di conseguenza le riserve di valuta pregiata (d’ora in poi VP) e/o di oro. La Lira tra il 1990 e l’estate del 1992 scambiò a £750 ca contro DEM (il marco tedesco era la moneta di riferimento dello SME), ed era a £765 la mattina di quel fatidico 13 luglio.
La speculazione internazionale (tra cui il gruppo guidato da Soros), a cominciare dalla primavera del ’92, prese di mira la Lira italiana e la Sterlina inglese: le valute più “deboli” in quel tribolato periodo.
Sarebbe bastato che le altre banche centrali “alleate” intervenissero per tempo a sostegno della BdI e dalla BoE (aumentando le loro riserve di Lire e sterline) ma non accadde e/o se lo fecero, fu fatto in maniera tanto blanda da non preoccupare assolutamente la speculazione: quest’evenienza già avrebbe dovuto far capire ai nostri politici che all’interno della UE non vi era alcuna coesione e che in quella “casa comune” tanto desiderata, non appena se ne fosse presentata l’occasione, i coinquilini ti avrebbero svaligiato la dispensa e l’argenteria e gli inglesi lo capirono eccome.

I ripetuti appelli ai governi alleati fatti da BdI e BoE restarono senza risposta: Italia e Gran Bretagna vennero abbandonate al proprio destino. Nell’arco di pochi mesi la BdI esaurì le riserve di VP per un importo complessivo pari a $73 miliardi (£91000 miliardi), finiti tutti nelle mani degli (increduli) speculatori. Per continuare a difendere ancora quell’assurda parità si sarebbero dovute intaccare le RISERVE AUREE e solo a quel punto Roma e Londra decisero di abbandonare il cambio fisso: Italia e Inghilterra uscirono dallo SME e Lira e Sterlina furono lasciate libere di fluttuare sul mercato valutario, rispettivamente il 13 e il 16 settembre 1992.
Se tale irrimandabile decisione fosse stata presa per tempo, cioè alle prime avvisaglie di “tradimento” da parte degli altri di SME, Lira e sterlina avrebbero certamente svalutato di meno e senza quella drammatica urgenza che contraddistinse quei convulsi giorni di settembre e soprattutto si sarebbe salvata la grandissima parte di quei $73 miliardi in VP che poi pesarono enormemente sul bilancio italiano.

In breve tempo entrambe le monete svalutarono pesantemente, scaricando tutta l’inflazione accumulata in più della zona-marco dal 1987 (entrata in vigore SME credibile) ad allora. L’Italia dal 1986 al 1992 compresi (7 anni), aveva accumulato un’inflazione pari al 40% ca (invece per la Gran Bretagna fu del 35,6%) contro la media di periodo cumulata da Germania, Francia, Austria, Belgio e Olanda pari al 16,3%: ben il 23,7% in più (il 19,3% per la GB) che grazie all’impossibilita di svalutare la moneta non si potette scaricare sul cambio man mano che si accumulava e che poi richiese quello shock annunciato. Chiaramente era proprio l’inflazione l’indicatore che teneva d’occhio la speculazione internazionale. Troppo facile! Un ricco pasto alle spese di italiani e britannici si poteva consumare tranquillamente, e così fu.
La Lira, il giorno 3 aprile 1995, toccò £1255,1 contro marco, il minimo di sempre: da quel 13 settembre del ‘92 aveva svalutato complessivamente del 64% (la sterlina toccò il suo minimo contro marco a 0,4681 il 19/11/1995, con una svalutazione pari al 31% ca); il 31 dicembre del 1995 la Lira chiudeva a £1104 per un marco tedesco: in meno di 4 mesi recuperò circa il 13,6%.
Nel 1996 sarebbe partito il road-show dell’€uro che avrebbe fissato la parità assoluta tra le valute che avevano deciso di confluirvi e tale notizia era nota già da molto tempo prima di quel 3 aprile ‘95; dopo diversi infuocati forum di politica monetaria tra i Paesi interessati, la parità indicata doveva essere di £985/990 contro DEM. Per quella data di sicuro sarebbe mancata per sempre la Sterlina: la Thatcher, dopo la sonora batosta assorbita considerò NULLA la credibilità degli altri partner dello SME e mise un veto insormontabile che neanche il convintissimo “€uropeista” Tony Blair riuscì più a rimuovere: la Gran Bretagna non sarebbe mai più entrata nel progetto –fotti il tuo vicino- €uro.
Il 31/12/1995 il cambio contro dollaro (USD) era il seguente: £1546 per USD; DEM 1,40 per USD; intanto, come abbiamo appena visto, la Lira era già stata rivalutata del 13,6% e per raggiungere la parità indicata (£985/990 contro DEM) si doveva rivalutare ancora di un buon 11/11,5%.
Una rivalutazione monetaria può avvenire in tre modi;
la tua moneta si rivaluta se:
I) è molto richiesta sul mercato dei cambi perché considerata Riserva Valutaria Pregiata;
II) è molto richiesta come mezzo di pagamento per comperare merci/servizi provenienti dal tuo Paese;
III) se la Banca Centrale decide di comprare Lire vendendo altre valute pregiate e/o oro.
Dal 3 aprile 1995 (minimo storico contro DEM) al 31 dicembre 1996 la Lira (dopo che dal 13 settembre del 1992 al 3 aprile ‘95 svalutò del 64%) dovette rivalutare complessivamente del 26,5%, portandosi da £1255 a £990 per singolo marco tedesco e detta rivalutazione fu fatta nel III modo indicato: la Banca d’Italia (Bdi) usò tutte le risorse disponibili provenienti dalle cessioni di aziende statali (svendite di Stato) avvenute dal 1993 al 1996, sommate a quelle provenienti dal surplus della bilancia commerciale che (come vedremo più avanti) esplose dal settembre del 1992 in poi per una cifra complessiva pari a circa $200 miliardi (circa $30 mld provenienti dalle svendite + 170 di saldo di bilancia commerciale).
In pratica si usarono le Valute Pregiate (Dollari, Marchi, Yen, sterline, CHF, FRF ecc) provenienti dall’immane saldo positivo delle bilance commerciali e, ancora peggio, si trasformarono in valuta pregiata anche le Lire provenienti dalle svendite di stato transate sul suolo nazionale per comprare altri USD, DEM, JPY, GBP, FRF ecc che poi vennero riutilizzate per ricomprare Lire sul mercato delle valute (forex), allo scopo di riallineare il cambio secondo i dictat di Bruxelles.
Questa è la realtà che supera la fantasia: comprammo Valuta Pregiata dai nemici commerciali storici (facendo alzare marginalmente il valore delle loro monete) per ricomprare Lire!
Sia ben chiaro che in quell’aprile del 1995, dopo il TRADIMENTO di quelli che si credevano degli alleati, avremmo potuto tranquillamente scegliere la STESSA STRADA INGLESE e NON far parte dell’€uro, ma, evidentemente, ad un’intera classe politica, industriale e dirigenziale NON INTERESSAVA ASSOLUTAMENTE il BENE della NAZIONE e del POPOLO ITALIANO e lo sapeva benissimo il-non-stinco-di-Santo Bettino Craxi che dall’esilio in Tunisia continuava a ripeterlo inascoltato.

Quando mister Draghi ebbe a dire “l’€uro è irreversibile poiché troppe risorse sono state investite” si riferiva alle NOSTRE RISORSE che andavano a foraggiare i LORO INTERESSI.
Per poterci sedere, da SICURI PERDENTI, a quel tavolo di poker composto essenzialmente da bari e traditori occorsero ben 200 miliardi di dollari: ovviamente NOI eravamo i polli da spennare, e così fu.

Ad una prima occhiata sembra che, nel periodo post 03/04/1995, la Germania e l’Italia si siano venuti incontro, la prima svalutando il DEM e la seconda rivalutando la Lira, ma dopo un’attenta analisi sulle altre monete dello SME mi son reso conto che fu un’azione (deleteria) unilaterale dell’Italia: il franco francese, lo scellino austriaco, il franco belga e il fiorino olandese mantennero tutti la stessa parità rispetto al marco (e di conseguenza all’allineamento con il cambio contro Dollaro USA), per cui è impensabile che tutti questi attori, notoriamente altruisti come ampiamente dimostrato nella crisi monetaria del 1992, abbiano operato un’azione congiunta per aiutare gli scansafatiche e profittatori, “bravi-solo-a-svalutare-la-Liretta” italiani. Piuttosto toccò anche alla Peseta spagnola (ESP) una bella rivalutazione, visto che passò da ESP 92,2 (3/4/1995) a circa 85 (31/12/1996) contro marco per far parte anche loro dell’esclusivo club, con una rivalutazione del +9%. Essì che anche gli spagnoli, da buoni mediterranei, ne avevano già accumulata d’inflazione in più (che stanno ancora pagando a carissimo prezzo tutt’oggi, a botte di tagli salariali e di diritti acquisiti).
La sterlina inglese da quel giorno prese la via “americana” e d’allora in poi seguì più da vicino i movimenti del dollaro dei “cugini” statunitensi.

Ma torniamo a noi; furono “solo” $200 miliardi gli impieghi che occorsero per entrare nel club-fotti-il-tuo-vicino-€uro?
Certo che no!
(considerando anche le pesantissime manovre finanziare fatte in nome dell’ingresso nel club si stima che il totale sia da aumentare di almeno altri 50 miliardi di dollari).

A questo punto è doveroso tornare a quel luglio del 1992.
Non appena la Lira si svalutò l’industria italiana cominciò ad esportare come MAI era accaduto in precedenza: i saldi di bilancia commerciale furono di -1 miliardo di USD nel 1992, di +32 miliardi nel 1993, +36 nel ’94, di +43 nel ’95 e +60 nel ‘96. In questi 5 anni si realizzò un saldo netto mai visto prima, pari a ben +170 miliardi di dollari dell’epoca, RIDICOLIZZANDO la Germania (che nello stesso periodo si fermò a +40) e arrivando secondi al mondo dietro al solo Giappone (+370 mld di USD nel periodo).
Il PIL del 1992 fu di $1272 mld, quasi l’11% in più del 1991 ($1147 mld) che però nel 1993 si ridusse del -19,3% ($1026 mld), ma che nel 1994 crebbe del +3,3% ($1059 mld), nel 1995 del +6,9% ($1132 mld) e ancora del +11,9% nel 1996 ($1266 mld), recuperando quasi del tutto la forte caduta del 1993. (dal 1992 al 1996 la Germania crebbe il proprio PIL del +31,4%, mentre l’Italia del +13,8%).
Cosa accadde in quei 60 mesi?
Avendo approvato il piano di svendita delle aziende statali, partito nel 1993, da quell’anno si cominciano a tagliare progressivamente gli investimenti statali lordi che compariamo con quelli tedeschi in percentuale ai rispettivi PIL:
anno……………Italia ……………Germania
1992……………21,3%…………23,5%
1993……………18,8%…………22,2%
1994……………18,7%…………22,4%
1995……………20,1%…………22,4%
1996……………19,3%…………21,3%
Totale 5 anni…..98,2%……….111,8%
Media annua…….19,64%……….22,36%
Differenza di periodo rispetto alla Germania -13,6%; differenza annua -2,72%.

La media degli stessi investimenti nei 10 anni precedenti (1982-1991) era molto simile tra i due Paesi: del 22,61% per l’Italia e del 22,38% per la Germania. Mentre la Germania ha tenuto costanti gli investimenti (nonostante i numeri del PIL tedesco fossero pressappoco doppi rispetto a quelli italiani per una popolazione superiore “solo” del +33% come dimostra l’esempio sul 1996 qui sotto) l’Italia li ha addirittura ridotti del -3% rispetto al decennio precedente. La Francia, nonostante abbia sempre investito una percentuale di PIL inferiore (17,7% nello stesso periodo), grazie alla differenza di numeratore del PIL mette a disposizione una somma pro-capite maggiore di circa il +5%.
Investimenti lordi statali pro-capite in dollari USA
Anno…….Italia……Germania …….Francia
1996…….4285………6224…………….4480
Intanto il peso degli interessi sul debito comincia a divenire opprimente.
Nel 1981 il rapporto debito/PIL italiano era pari al 58%. Lo Stato, dal 14/10/1971 (primo intervento sui tassi d’interesse dopo la sgancio del dollaro dalla parità aurea) al 29/08/1980 (ultimo intervento sui tassi d’interesse della BdI prima del divorzio Tesoro-Banca d’Italia del marzo 1981) si finanziò ad un tasso medio NEGATIVO pari al -5,265% (differenza tra tassi d’interesse della BdI – inflazione reale). Per esportare capitali oltre frontiera vi era necessità di chiedere autorizzazioni ai ministeri preposti. Questa era la “repressione finanziaria” che obbligava i detentori di grossi capitali ad investirli o in attività reali (industria, immobiliare, commercio, agricoltura ecc) o in titoli azionari con un rischio d’impresa e assoluto chiaramente maggiore: se volevi tenere il denaro al sicuro in seno a mamma Stato (BOT, CCT ecc) dovevi pagare il servizio di conservatoria e tesoreria. In ogni modo la quantità di infrastrutture ed opere pubbliche realizzate in quell’epoca non ha eguali in nessun altro periodo storico italiano dall’unità ad oggi. Gli investimenti statali lordi in percentuale di PIL in questo decennio ebbero una media annua del 25,33%: la più alta di sempre.
Dal 23/03/1981 (primo intervento sui tassi d’interesse della BdI post-divorzio) al 24/10/1996 (ultimo intervento sui tassi dell’anno di adesione al club) le cose si invertirono diametralmente: una volta passati nelle mani del “libero mercato dei capitali” (fu lasciato il “pallino” alle banche private di decidere il tasso d’interesse) la differenza media in 16 anni tra tassi d’interesse – inflazione reale schizzò al +5,55% e il rapporto debito/PIL cominciò a salire anno per anno ad un ritmo sostenuto grazie agli interessi che si cumulavano ad altri interessi anno dopo anno. In pratica, da quel primo intervento sui tassi d’interesse post-divorzio del 23/03/1981, i capitali vennero prestati prevalentemente a mamma Stato che garantiva, oltre che la custodia assicurata dal Popolo italiano, un LAUTO interesse netto di diversi punti percentuali al di sopra dell’inflazione reale: furono moltissime le industrie che “finanziarizzarono” i loro investimenti una volta indirizzati nell’economia reale (o in borsa che a quei tempi era grosso modo lo stesso poiché ti assumevi dei rischi d’impresa), il tutto agevolato da una legge che non pretendeva neanche un centesimo di tassa sui sicuri guadagni.
Nel 1987 la FIAT (e la Olivetti ancor di più, solo per citarne qualcuno) trasse la maggior parte degli utili “aziendali” dagli interessi sui BOT, deducendo anche gli oneri finanziari dei prestiti ottenuti dalle banche, non per fare impresa, innovando, potenziando ecc, ma che venivano investiti semplicemente in BOT i cui interessi di periodo vengono ancora tutt’oggi percepiti in anticipo.
(es: prendevi in prestito £1 miliardo ad un tasso del 20% e compravi BOT annuali che rendevano il 12%; 1000-120=880; pagavi 880 oggi per riavere 1000 tra un anno e nel frattempo scaricavi 200 di oneri finanziari passivi; surplus netto dell’operazione 120.

Come credete che il debito pubblico sia cresciuto a quel ritmo?
Credete davvero che sia stata colpa delle pur irresponsabili tangenti e malversazioni?
Piuttosto hanno indirizzato la nostra rabbia in quel senso, dandoci il capro espiatorio e la luna a cui abbaiare contro.

Grazie al nuovo “ordinamento” economico partito dal “divorzio” del 1981, nel 1996 il rapporto debito/PIL era oltre il 120%. Gli investimenti statali lordi in percentuale di PIL in questo periodo cominciarono a decrescere, rendendo una media annua del 21,75%, pari a quasi il -3,6% annuo rispetto al periodo 1971-80.
Il 31 dicembre 2001 (ad €uro fatto) l’Italia era riuscita a far parte del prestigioso club –fotti il tuo vicino- €uro e per parteciparvi (sapendo sin dall’inizio che ci avrebbe inabissato) furono impiegate TUTTE le risorse disponibili, parliamo di una somma stratosferica pari al 37% del PIL italiano del 2000: $393 miliardi dell’epoca, costituiti da $102 miliardi provenienti dalle svendite statali + $290 mld dell’attivo dei saldi delle bilance commerciali (che continuò a crescere anche dopo il 1996) dal 1992 al 2000.
I ”santoni” provenienti da “illustrissime” università private al soldo della grande industria e della finanza furono insediati nei posti nevralgici, infettando e confondendo il sistema. Di loro non ci saremmo mai più liberati. Il Cile fu usato nel 1973 come esperimento: il piano riuscì perfettamente e anno dopo anno caddero tutti i capisaldi democratici mondiali.
Il socialismo che L’Italia aveva adottato per breve tempo fu messo alla berlina in nome di un progresso che mai avremmo visto.
Chiaramente, dall’inizio del riaggancio allo SME partito il 4 aprile del 1995 e sino al dicembre 2000, l’inflazione italiana continuava ad essere ben maggiore della media tra Germania, Francia, Austria, Belgio e Olanda, per un totale pari al +8% in soli 6 anni. Questa dinamica prosegue ancora oggi, dove solo la potente deflazione occorsa nell’ultimo anno, soprattutto nella €uro-periferia, la sta di poco mitigando.
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Pausa filosofica
Antropologia economica
Purtroppo agli “economisti” sfugge troppo spesso un concetto antropologico basilare: pur sapendo che il differenziale d’inflazione è alla base di qualsiasi squilibrio macroeconomico tendono ad ignorare crassamente, o per mero interesse personale, che essa è da sempre maggiore (endemica) nei Paesi più caldi che richiedono meno lavoro per la sopravvivenza. Le popolazioni di queste zone, nei secoli, non hanno mai avuto bisogno di “conservare” per i periodi freddi (cosiddetti di “magra”) e tendono a consumare tutto e subito proprio perché la stagione temperata (cosiddetta di “grassa”) non ha soluzione di continuità.
Questi sono i comportamenti di massa che generano in questi luoghi un’inflazione fortemente superiore ai cosiddetti “paesi freddi”.
Non potrà mai esserci omogeneità tra le due “specie” umane che potranno anche essere tenute insieme con la forza, ma solo per brevi periodi, sino a quando non si raggiungerà il naturale punto di rottura.
Anche l’individualismo è maggiore nelle aree temperate proprio perché si ha meno bisogno dell’estraneo per la sopravvivenza stessa e nondimeno è anche alla base dell’indolenza e del non consociativismo che hanno portato sempre loro alla sottomissione da parte straniera.
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Adesso chiudete gli occhi e pensate se quel 3 aprile 1995 si fosse deciso di non rientrare MAI più nel progetto-€uro e quei primi $200 miliardi si fossero impiegati per gli “investimenti lordi statali”, bloccando magari anche il grosso delle “svendite di Stato” che doveva ancora partire.
Dove potrebbe essere oggi l’Italia?

Io dico che avremmo avuto delle crescite stratosferiche, paragonabili agli anni del BOOM economico che avrebbe rinsaldato il concetto di “miracolo italiano” e che oggi, a distanza di 20 anni, saremmo restati sempre stabilmente nel G6, tra il 3° e il 5° posto assoluto, magari proprio davanti alla Germania.
Spesso penso alle ultime parole di Diego Abatantuono nel film “Mediterraneo”:
è evidente che Gabriele Salvadores aveva capito tutto da molto tempo prima.
E noi, oggi, l’abbiamo capito?

L’Italia avrebbe dovuto licenziare in tronco gli incapaci traditori, arrestando e processando tutti i politici, gli industriali e i dirigenti dal grado di colonnello in su che si resero responsabili di quelle scelte scellerate e autolesionistiche. E invece costoro, ancora oggi, rispettati e riveriti, occupano le massime cariche dello Stato, dell’amministrazione pubblica, della politica, della finanza e dell’industria.
Qualcuno mi ha chiesto di fare i nomi dei responsabili: semplicissimo!
Basta accendere la TV su qualsiasi canale, in qualsiasi ora del giorno o della notte e sarete pienamente soddisfatti: l’intera classe dirigenziale odierna è figlia legittima di quel tradimento.

Riprendendo le parole del prof. Nino Galloni: “all’epoca (1995 ndr) si buttò via il bambino e si tenne l’acqua sporca”.
Roberto Nardella, ARS Puglia
Tratto da:Appello al Popolo - E-zine risorgimentale ? Organo del partito che ancora non c'e'

 

gilles1

Forumer storico
LA PUZZA DELL'AEREO

e

LE COINCIDENZE

l'airbus cade 1 anno esatto dopo il volo malese
come quello, discesa muta e scomparsa

altra
stesso airbusa
stessa lufthansa
del volo da Bilbao a Monaco di novembre che precipita 8000 m e si salva all'ultimo secondo

2 ipotesi
o la solita DEPRESSURIZZAZIONE / INCENDIO A BORDO

o terrorismo in entrambi

molto strano che Merkel, Hollande e Felipe decidano di incontrarsi sulle Alpi
Airbus precipitato, il giallo sul vertice dei capi di Stato: perché Merkel, Hollande e Raojoy hanno fretta? - Libero Quotidiano

mai successo in casi del genere

di sicuro c'è puzza
tanta
 

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