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mototopo

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LE CAUSE E GLI EFFETTI DELLA CRISI: LA CORTE COSTITUZIONALE LI SCAMBIA E SI ARRENDE AL PIU' €UROPA.


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1. Sulla sentenza della Corte costituzionale che rimuove il blocco alla contrattazione nel pubblico impiego, - senza però ammettere una tutela ripristinatoria del diritto costituzionale violato, nei normali termini della restituzione retroagente al momento di prima applicazione della norma illegittima-, si stanno già versando fiumi di inchiostro.
Persino un quotidiano on line piuttosto conservatore - e che prevalentemente dà voce a chi ritiene che i sindacati siano il male in Italia e che la deflazione salariale (cioè intaccare il deprecato "costo del lavoro") sia la invariabile panacea di ogni male italiano - si accorge che ormai l'art.81 Cost, quello che recepisce il fiscal compact, diviene un principio superiore a cui devono piegarsi tutti gli altri contenuti nella Costituzione.


2. Il problema è che pare invece che non se ne sia accorta la Corte. Perchè, se se ne fosse accorta, dovremmo presumere che si renderebbe altrettanto conto del fatto che, in precedenza e anche molto di recente, essa stessa aveva affermato che (sentenza n.284 dell'ottobre 2014):
"Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988)."


3. Ora se ci sono delle (tradizionali) certezze sul novero dei diritti inalienabili della persona, in base alle norme costituzionali "fondamentalissime", queste certezze "dovrebbero" riguardare proprio la tutela del lavoro su cui si fonda la nostra sovranità repubblicana (art.1 Cost.) e il primo e prioritario diritto enunciato in Costituzione (art.4).
Naturalmente la Corte non avrà potuto non svolgere il suo ragionamento sulla base degli artt.36 e 39 Cost., il primo sulla retribuzione equa e sufficiente a garantire al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa e il secondo sulla libertà e legittimità della tutela sindacale, che trova la sua prima espressione nella contrattazione collettiva che la norma censurata aveva posto in sospensione reiterata; gli artt.36 e 39, tuttavia, secondo elementari e consolidati principi di interpretazione letterale, logica e sistematica della stessa Costituzione, costituiscono la naturale proiezione (o attuazione) degli artt. 1 e 4 sopra citati, come illustrano in lungo e in largo i lavori dell'Assemblea Costituente.
Le cronache ci dicono che la Corte avrebbe prescelto di enfatizzare l'art.39 più che l'art.36; in sostanza, non sarebbero state tanto poste in pericolo la equità e l'adeguatezza della retribuzione, ma la incomprimibilità della libertà e della tutela sindacale. Su questa strada, poi, si sarebbe affermata la "sanabilità" del blocco 2010-2013, in quanto misura temporanea giustificata dalla crisi economica (come se la crisi fosse mai risolvibile tagliando il reddito dei lavoratori che costituisce parte essenziale del PIL, che era finito in segno negativo...proprio a seguito del calo dei redditi e della disoccupazione dilagante che, a sua volta, è determinata dalla flessione della domanda...connessa al calo dei redditi. Ma è inutile: la Corte questi problemi, tradizionalmente, non pare in grado di afferrarli e prosegue a fare affermazioni opposte rispetto a questi elementari e notori principi economici).



4. Qualcosa mi dice però che difficilmente, nel menzionare gli artt. 36 e 39, la Corte avrà parlato dei suddetti antecedenti logici, così ovviamente ritrovabili negli artt. 1 e 4: lo suppongo perchè, se l'avesse fatto, avrebbe dovuto ammettere di essersi incamminata su una via che porta alla negazione di quanto aveva affermato sui "controlimiti all'ingresso delle norme dell'Unione europea" - tanto più, addirittura, introdotti in Costituzione! - e avrebbe quindi dovuto porsi il problema della legittimità del vincolo esterno (per quanto costituzionalizzato, ma, nondimeno, pur sempre sindacabile, secondo consolidati enunciati della Corte, alla luce dei superiori principi della Carta, come abbiamo visto qui).


Ma "porsi il problema" (del vincolo esterno portato fino a questo punto di evidenza, oltretutto dopo 30 anni di silenzio omissivo, o quantomeno di ritardo "culturale", sul punto), avrebbe costretto la Corte a uscire dal guado per arrivare ad una sponda dove albergasse il ripristino della più fondamentale legalità costituzionale (quella dei diritti inalienabili della persone e dei principi fondamentali che costituiscono i controlimiti al diritto europeo).
E questo punto lo abbiamo già visto: dunque, senza grossi equivoci possibili, la Corte accetta di contraddirsi (probabilmente tacendo sulla appena segnalata contraddizione) e preferisce costruirsi una discrezionalità (apparente), sull'effetto retroattivo delle pronunce di illegittimità costituzionale, che in realtà è un piegarsi al fatto compiuto della prevalenza del vincolo esterno quale che esso sia.


5. Ribadiamo dunque quanto osservato sulla questione "pensionistica", ma che vale a fortiori su quella delle retribuzioni dei lavoratori in servizio e sulla tutela sindacale ad essa connessa:


"Una discrezionalità di questo tipo non riguarderebbe la, sempre possibile, incerta previsione sulla esatta interpretazione delle norme costituzionali nel caso concreto, cioè la naturale possibilità di scelta interpretativa in funzione delle vicende socio-economiche in evoluzione nel tempo, ma la fase successiva alla declaratoria di illegittimità costituzionale; quella conseguenziale "necessitata",- secondo l'art.136 Cost. e secondo il principio di rigidità dellaCostituzione (art.138) e persino di non revisionabilità della stessa (art.139)-, di reintegra del diritto affermato e dunque "tecnico-finanziaria a valle".

Parliamo quindi delle conseguenze ripristinatorie che la Costituzione prevede come effetto necessario della tutela costituzionale già accordata (art.136 Cost.; ciò ovviamente concerne, spero sia chiaro, l'applicabilità delle norme dichiarate illegittime nei rapporti pendenti, certamente non esauriti, e controversi di fronte ai giudici "ordinari" che hanno rimesso la questione alla Corte). E' chiaro che la stessa Corte, di fronte al sistematico riproporsi di questa esigenza tecnico-finanziaria, si troverebbe nell'alternativa, molto pratica: i) o, (per evitare il protrarsi di questa prolungata incertezza sulla effettività dei principi costituzionali), di rinunciare progressivamente a interpretare le norme costituzionali in senso incompatibile con la radice €uropea di questa linea di politica economico-fiscale, accettando de facto la novazione del principio fondamentale unificante della Costituzione: il che significa una novazione da quello lavoristico e quello della conservazione "ad ogni costo" della moneta unica, così come ratificato nel fiscal compact-pareggio di bilancio. Con ciò, però, rinuncerebbe al ruolo che la stessa Costituzione le ha assegnato, divenendo un giudice del tutto soggetto alla superiorità incondizionata dell'intero diritto europeo; ii) ovvero, di prendere una posizione che ribadisca il filtro dell'art.11 e dell'art.139 Cost. - da lei stessa affermato in più pronunce- confermando il paradigma della Repubblica fondata sul lavoro (artt. 1, 3 e 4 della Costituzione); ma questo solo affrontando il "cuore del problema":
"...cioè il legame tra:
- livello del bilancio fiscale, ridotto col "consolidamento" (quantomeno nelle intenzioni dichiarate, poichè i risultati, a causa dello strutturarsi di un elevato livello di disoccupazione, sono in pratica opposti o incongruenti, come prova l'aumento del rapporto debito su PIL e il costante mancato verificarsi della riduzione del deficit annuale programmato nelle stesse manovre finanziarie);
- vincolo a monte del consolidamento, cioè il pareggio di bilancio (in tutte le sue forme, comunque riduttive dell'indebitamento annuo);
- e disoccupazione-livello delle retribuzioni (e quindi anche del successivo trattamento pensionistico);
...
"dovendo" chiarire, a se stessa e alla comunità sociale intera, coinvolta nella tutela costituzionale, il perchè si sia adottato il paradigma del pareggio di bilancio, e comunque (da decenni, in un crescendo, niente affatto casuale ed estraneo al meccanismo prevedibile della moneta unica) della riduzione/compressione del deficit pubblico; cioè una politica fiscale che non promuove certo la crescita, l'occupazione e la tutela reale del reddito da lavoro".




6. Dunque la Corte accetta la "novazione" del principio fondamentale unificante del modello socio-economico costituzionale. Inutile affaccendarsi eccessivamente: se la tutela reintegrativa non vale (più) per il diritto al lavoro - e ciò preannuncia anche il modo di futura evetuale lettura della Corte sul jobs act, qualora le fosse sottoposto-, ancor più non vale, implicitamente ma necessariamente, per ogni altro diritto di "minor forza" nell'ordito costituzionale.
Ma è questa una buona scelta nell'interesse della Nazione?


Certamente no.
Come abbiamo anticipato in precedenza: aderire alla superiorità rimodellatrice del pareggio di bilancio (o anche solo semplicemente della copertura in pareggio di bilancio di ogni spesa pubblica prevista dalle norme costituzionali), non è qualcosa che può giustificarsi come terapia ad uno stato di crisi e, quindi, come il rimedio ad una (molto presunta...contra facta concludentia) situazione transitoria, creata da strane congiunture astrali o metereologiche (come si credeva, rispetto alle crisi economiche cicliche, prima di quella del 1929 e dell'avvento dei modelli keynesiani basati sulla domanda aggregata); la crisi economica italiana, infatti, non è una casualità esogena alle politiche fiscali ed economiche imposte dall'adesione all'euro, da cui proprio il pareggio di bilancio ci tirerebbe fuori.
E' notoriamente vero il contrario.

7. La Corte si è fatta evidentemente inibire dalle polemiche scaturite sul "costo" per le finanze pubbliche della sentenza sull'adeguamento pensionistico. In sede di giudizio si sono tirate fuori stime di un onere, a titolo di restituzione del non corrisposto ai pubblici impiegati a seguito del blocco, di 35 miliardi. A me pare che questa stima sia poco più di una "facezia".
Basti dire che i giornaloni avevano diffuso che la perdita di soldi per gli stessi dipendenti ammontava a 5000 euro in media (da ritenere lordi, cioè anteriormente alla tassazione), a partire dal blocco iniziale, posto da Tremonti nel 2010 (e prorogato dal governo Letta nel 2013, alla scadenza del primo): cosa che, a essere pessimisti, avrebbe condotto a restituzioni, per tutto il periodo interessato, pari a circa 15-16 miliardi.


Il paradosso è che l'effetto di restituzione costituisce, per definizione, una spesa una tantum e quindi non "sfascerebbe" i conti dello Stato in modo definitivo anche in assenza di copertura: ed anche in sede europea, il carattere una tantum, se così spesso mal considerato sul lato delle entrate, cioè della politica "austera" e dei saldi conseguenti, non si capisce perchè (ma stiamo ironizzando), non dovrebbe altrettanto non essere considerato preoccupante sul lato delle uscite, appunto, non strutturali e, quindi, non rilevanti ai fini di un'eventuale procedura di infrazione al limite del deficit (come insegnano Francia, Spagna e, in realtà, ogni altro paese dell'eurozona che non sia l'Italia; almeno tra quelli con una posizione netta sull'estero negativa e con un rapporto debito/PIL in crescita; rammentiamo che Spagna e Francia, e non solo, hanno visto aggravarsi questo rapporto, in termini di variazione dall'inizio della crisi, in misura molto più ampia che l'Italia).
Nel corrispondere queste somme, infatti, il nostro deficit nominalmente si sarebbe aggravato, grosso modo, di 1 punto di PIL.
Secondo le stime attuali (che però, come tutti gli attestati "ufficiali" sulla contabilità pubblica, a cominciare dal DEF, vanno presi con beneficio di inventario), questa spesa una tantum, porterebbe (o avrebbe portato, più esattamente) il nostro deficit a 3,6 punti di PIL: sempre abbondantemente meglio di quanto registrato, nel 2014, - per tacere degli anni precedenti- da Spagna e Francia.
Ma, in realtà, questo punto di PIL di spesa pubblica aggiuntiva a favore del lavoro, avrebbe un moltiplicatore fiscale di circa 1,7-1,8. Ergo, aumenterebbe il PIL in tale misura. Poichè, com'è noto, la pressione fiscale "effettiva" (cioè quella sui redditi che, come quelli dei lavoratori dipendenti, costituiscono piena e inelusa base imponibile), secondo la Corte dei conti, sarebbe pari al 53% (almeno nel 2013), da ciò consegue che le entrate sarebbero ragionevolmente accresciute di circa 0,9 punti di PIL (e facciamo un calcolo approssimativo per difetto, potendo, per talune voci autorevoli, considerarsi un moltiplicatore di breve periodo persino superiore).



8. Ne consegue che il PIL sarebbe aumentato, nell'anno successivo alla restituzione integrale, di circa 1,8 punti e, a seguito del gettito fiscale aggiuntivo da ciò derivante, il deficit non sarebbe stato di 3,6 (cioè integralmente aggravato da tutto l'onere della restituzione), ma, all'incirca, "peggiorato"di...o,1 (zero virgola uno) punti di PIL.
In compenso, per effetto di una crescita aggiuntiva di 1,8 punti di PIL, il rapporto debito/PIL sarebbe matematicamente migliorato: il numeratore, infatti, avrebbe subito un aggravio (in variazione rispetto alla precedente situazione) di 0,1, ma il denominatore sarebbe aumentato 18 volte tanto (sempre in variazione, positiva, rispetto alla situazione in precedenza prevista).
Ma questo non può che condurci a concludere che la Corte non riesce, culturalmente, a comprendere i meccanismi causali della crisi (e forse non vuole, presa com'è dalla inmpressionante tenaglia dell'offensiva propagandistica filo-europea di governo e media, che compiono la consueta narrazione "siamo in crisi perchè non abbiamo fatto le riforme")...E continua a credere che il "più €uropa" e i "conti in ordine" siano la soluzione invece della causa della stessa.




Pubblicato da Quarantotto a 10:51 Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest






 

duca.64

Forumer storico
Ciao A.
ho condiviso il Tuo ultimo post,.................:ops:

Oops, ULTIMO tentativo, di "svegliare" qualcuno in quel lido, non posso accusarmi di NON averci "provato",...........:wall::wall::wall::wall:
 

mototopo

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gLI USA HANNO PIANO B SE EURO SALTA: GUERRA PERMANENTE
Redazione | 04-07-2015 Categoria: Guerra [Mondialismo]

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GLI USA HANNO PIANO B SE EURO SALTA: GUERRA PERMANENTE

L’ITALIA IN GUERRA PER L’AMERICA
di Riccardo Percivaldi –
Con un debito alle stelle e una bolla azionaria in imminente fase di deflagrazione, gli Stati Uniti cercano di arrestare il declino del loro impero alimentando una guerra globale permanente. L’aggravarsi dell’eurocrisi compromette inoltre la stabilità del loro sistema di dominio in Europa, infatti senza la moneta unica gli Stati Uniti perderebbero lo strumento principale, dopo la NATO, per tenere al guinzaglio le nazioni europee e piegarle ai ricatti di Washington. Per riportare sotto la protezione euratlantica gli stati servi, gli Usa rispolverano quindi il fantasma di una nuova guerra fredda e seminano il caos in Ucraina, in Africa e in Medio Oriente. In questo contesto si inseriscono anche la minaccia del terrorismo islamico (ISIS) e la recente emergenza sbarchi dal Nord Africa, che mirano a tenere in vita la moribonda Unione Europea, obbligando i governi a cooperare in vista di un possibile intervento militare in Libia. Gli Stati Uniti sperano così di rinserrare i ranghi dell’alleanza atlantica, presupposto indispensabile per uno scontro decisivo contro la Russia.
***
Nonostante i recenti accordi tra il governo ellenico e la Troika, tutti sanno che la Grecia è già fuori dall’euro. Da almeno un anno i grandi istituti bancari preparano piani di fuga dall’eurozona da utilizzare nei casi di emergenza, con analisi ben dettagliate che valutano tutti gli scenari possibili. Il referendum indetto dal governo di Atene per chiedere ai greci di decidere sul futuro della moneta unica, assume così il sapore di una beffa, utile soltanto a far ricadere sul popolo la responsabilità di una decisione scontata e inevitabile. Di una cosa possiamo esser certi: indipendentemente dalla dipartita greca, l’usurocrazia euratlantica di Bruxelles non si farà cogliere impreparata.Gli americani, che grazie alla trappola dell’euro sono riusciti a imbrigliare a livello politico ed economico le nazioni del vecchio continente, sottraendo sovranità agli stati e rendendo de facto l’Europa una semplice zona di libero scambio funzionante grazie a meccanismi decisionali tecnocratici e intergovernativi, non permetteranno mai che l’implosione dell’Eurozona faccia crollare di colpo il castello di carta su cui si basa il loro sistema coloniale di sfruttamento e di dominio.Uno dei pilastri dell’impero americano è infatti la sudditanza economica dei paesi dominati, ottenuta mandandoli sull’orlo della bancarotta per mezzo dell’eccessivo indebitamento. È la politica della Shock economy, applicata per trent’anni ai paesi di mezzo mondo, ed introdotta anche in Europa sull’ondata neoliberista che ha portato, grazie alla complicità delle élites integrate nella finanza transnazionale e nei gangli del sistema imperialistico pilotato dagli Stati Uniti, all’adozione prima dello SME e poi dell’euro, che nei fatti traducono a livello intra-europeo lo stesso squilibrio sistemico tra centro e periferia sussistente tra le economie avanzate imperialiste e quelle dei paesi in via di sviluppo.Con questa trappola gli americani hanno potuto distruggere anche le economie produttive dei paesi avanzati, sfruttando gli squilibri all’interno dell’Eurozona per spaccare l’Europa in paesi in surplus e paesi in deficit, cosicché gli uni s’indebitassero e gli altri si accollassero i debiti dei paesi in difficoltà, rendendo entrambi vittime dei ricatti delle oligarchie capitalistiche di Londra e Wall Street.Qualora l’euro fosse soppiantato, non potendo più contare sulla schiavitù del debito e sulla dipendenza monetaria, agli Stati Uniti non rimarrebbe che un’unica soluzione per continuare ad esercitare il ruolo egemonico con cui si sono finora assicurati il predominio sul continente, ed impedire che un’Europa di nazioni di nuovo libere e sovrane si saldi alla Russia e passi ad una politica di cooperazione eurasiatica, vale a dire provocare una guerra in grande stile per costringere i governi a sottomettersi alla protezione della Nato e per tenere in vita l’Unione Europea che altrimenti senza l’euro perderebbe ogni ragion d’essere.Di conseguenza gli americani sguinzagliano i mercenari dell’ISIS e scaricano migliaia di clandestini sulle nostre coste: è la nuova strategia della tensione per portarci all’esasperazione e obbligarci ad agire secondo i loro desiderata, in coerenza con la linea politica usata a partire dal conflitto in Ucraina, le sanzioni anti-russe e gli sforzi per far approvare il TTIP, che mirano tutti a creare una linea di demarcazione tra est e ovest e tenere l’Europa in orbita angloamericana.
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Come abbiamo dimostrato in precedenza i sedicenti “profughi” non partono di loro spontanea volontà, ma vengono catturati e costretti con la forza ad imbarcarsi. Si dicono vittime di sistematiche retate da parte di presunti poliziotti libici in combutta con i trafficanti per essere mandati in Italia. A due inviati di Le Monde hanno confessato:«Le autorità ci accusano di voler partire per l’acqua, ma è falso. C’è chi viene preso in casa, negli appartamenti, altri sono presi per strada; come me, io sono stato preso per strada». «I veri traghettatori sono loro», spiega un compagno. «Dicono agli europei che ci hanno catturato in mare ma è falso! Ci stanno vendendo. Sono loro che gestiscono la prigione e organizzano le partenze per andare in Italia … Quando arrivate voi giornalisti, fanno finta, è organizzato». [1]La rivista Les Observateurs ha poi pubblicato un servizio in cui accusa “L’organisation internationale pour les migrations”, un ente intergovernativo legato alle Nazioni Unite, con a capo l’ambasciatore americano Willliam Lacy Swing, di essere la centrale operativa che intercetta gli africani sub-sahariani per spedirceli. [2]Da notare anche che gli sbarchi partono dalla Tripolitania, dove si è insediata la banda islamista di Alba Libica sostenuta dai Fratelli Musulmani e legata a Stati Uniti, Regno Unito, Qatar e Turchia da cui riceve i finanziamenti, che combatte sia il legittimo governo di al-Thani, che l’esercito di Haftar. [3]Il trucco però sembra funzionare e grazie al pretesto di combattere la pirateria scafista l’intervento militare forse si farà. In effetti è già tutto pronto e il 18 maggio scorso il piano è stato formalmente approvato dai rappresentanti di tutti i 28 paesi aderenti all’Unione Europea.«WikiLeaks rende pubblico il Documento nr. 1 dal titolo “Consigli del Comitato Militare sul Progetto CMC ossia Concetto di Gestione della Crisi per una possibile operazione PSDC per smantellare le reti di traffico di esseri umani nel sud del Mediterraneo centrale».«Il Piano classificato dell’UE, è stato approvato dai capi di difesa stati membri dell’Unione Europea, per un anno (almeno) prevede un’operazione militare contro le reti e le infrastrutture di trasporto dei rifugiati del Mediterraneo, tra cui la distruzione di barche ormeggiate e le operazioni all’interno dei confini territoriali della Libia. Il documento è significativo. Stabilisce l’obiettivo dei Capi della Difesa dell’UE: schierare la forza militare contro le infrastrutture civili in Libia per fermare i flussi di rifugiati. Dati i precedenti attacchi sulla Libia da parte di diversi membri europei della NATO e le riserve accertate di petrolio della Libia, il piano può portare ad ulteriore coinvolgimento militare in Libia. Formalmente, il documento è stato approvato dal Consiglio militare del Comitato Militare dell’Unione Europea (EUMC), dal Comitato Politico e di Sicurezza (CPS)». [4]
Inoltre:
«Secondo indiscrezioni rilevate dai principali organi di stampa, sembra che all’ONU si riuscirà presto a trovare un accordo per consentire all‘Italia e all’Unione Europea un intervento militare in Libia con lo specifico e limitato scopo di fermare la pirateria scafista e quindi l’enorme flusso di immigrati clandestini che partono proprio dalla Libia ma che arrivano da diversi paesi africani»«Probabilmente qualcuno di importante (vedi USA), sta di fatto obbligando l’Italia ad intervenire militarmente. Questo conferma la strategia USA di non intervenire più direttamente ma di far combattere gli alleati, come in Ucraina, dove si mandano avanti inglesi, polacchi e baltici e come in Yemen dove si mandano avanti Sauditi e company. In Libia è il turno dell’Italia». [5]
***
Ma a questo punto è lecito chiedersi cosa andremo a fare esattamente in Libia, visto che uno dei documenti del Piano segreto classificato dall’UE afferma che «l’obiettivo politico dell’intervento militare non è chiaramente definito» e raccomanda che la Commissione Europea realizzi ulteriori indicazioni.La risposta è: per portare avanti la strategia di contenimento della Russia colpendo i suoi alleati in Africa e Medio Oriente. In particolare: rovesciare il governo di al-Sisi in Egitto, per reinsediarvi i Fratelli Musulmani.Infatti da un po’ di tempo qualcosa dev’essere sfuggito di mano agli ascari di Obama perché in Libia il generale Haftar, che precedentemente aveva contribuito ad abbattere il regime di Gheddafi, ha cominciato a combattere sul serio il terrorismo e ora, grazie anche al supporto del governo egiziano, che è entrato in ottimi rapporti con la Russia, minaccia di stabilizzare il paese, riportandolo ad un regime laico e filo-russo com’era stato quello di Gheddafi. Per comprendere le implicazioni di ciò facciamo una rapida ricognizione sulla situazione mediorientale a partire dalla Primavera araba.I piani per ridisegnare il Medio Oriente rispondono a una convergenza d’interessi tra Stati Uniti, Qatar, Turchia, Arabia Saudita e Israele. All’inizio il loro scopo era far cadere gli stati laici e frammentarli in piccole entità regionali su base etnico-religiosa. In particolare gli Stati Uniti hanno fatto affidamento sui Fratelli Musulmani per instaurare dei regimi fantoccio dopo la Primavera araba. Invece, contro gli stati più solidi che non potevano essere destabilizzati con una rivoluzione colorata, venivano lanciati i tagliagole dell’ISIS. A far fallire i loro piani per la prima volta sono stati Assad in Siria e il presidente al-Sisi in Egitto.Quando gli americani si rendono conto che il governo siriano non può essere rovesciato neppure con la forza cambiano strategia e inventano la minaccia dell’ISIS per avere il pretesto per bombardare direttamente le infrastrutture siriane. Quelli che erano i combattenti per la democrazia di colpo diventano i nemici della libertà. Successivamente li mandano a riconquistare Mosul in Iraq, che sotto il governo Maliqi stava ritornando un paese normale, e lo fanno precipitare nuovamente nel caos. La colpe di Maliqui erano: aver stretto legami con l’Iran, essersi posto in prima linea nella lotta contro il terrorismo e aver chiuso la base di Camp Ashraf dove gli americani addestravano i tagliagole del Mek.Nel caso dell’Egitto, l’islam politico sostenuto dagli USA subisce una cocente sconfitta e dopo una controrivoluzione guidata dal al-Sisi, viene deposto l’ex presidente Mursi, legato ai Fratelli Musulmani. Un’umiliazione intollerabile per Washington. Al-Sisi, il nuovo presidente, disse in un’occasione: «Il popolo dell’Egitto è consapevole del fatto che gli Stati Uniti hanno pugnalato alla schiena l’Egitto con i fratelli musulmani e Mursi. È qualcosa che l’Egitto non dimenticherà o perdonerà facilmente». [6]L’ex ambasciatrice americana Anne Patterson nell’estate del 2013 fu pesantemente contestata dal popolo egiziano, sceso nelle piazze contro il regime islamista e fu costretta a lasciare in gran fretta il Cairo, per aver appoggiato fino all’ultimo i Fratelli Musulmani.Questi, per vendicarsi, hanno ordito la strage di cristiani copti che ha fatto inorridire il mondo intero. Nonostante quest’atto di inaudita barbarie, o forse proprio per questo, una delegazione della Fratellanza è stata ricevuta con tutti gli onori al Dipartimento di Stato dall’amministrazione Obama. Il Center for the Study of Islam and Democracy (CISD) ha riferito che l’incontro al Dipartimento di Stato è stato “fruttuoso”.L’amministrazione Obama si conferma così come la testa d’urto della sharia islamica e dell’islamizzazione della società a tutti i livelli. Questo almeno è quello che emerge dai rapporti dell’Investigative Project on Terrorism che nel 2013 rilevava che la Casa Bianca è divenuta «da ostile a gruppi e organizzazioni islamiche nel mondo al più grande e importante sostenitore della Fratellanza Musulmana». Ed è sempre l’Investigative Project che nel 2015 ci illumina sui risultati del misterioso incontro: «La delegazione ha cercato aiuto per reinsediare al potere l’ex-presidente Muhamad Mursi e i Fratelli Musulmani in Egitto». [7]Prima però di aiutare i Fratelli Musulmani ad attuare il loro criminoso disegno, gli americani hanno bisogno di far deflagrare il caos in Libia e per questa ragione hanno attivato le cellule dell’ISIS presenti sul posto, anche nell’ipotesi di fare della Libia la base per una destabilizzazione su vasta scala di tutta l’Africa. L’Egitto lo sa e infatti il 16 febbraio in risposta all’assassinio dei 21 egiziani ha effettuato un bombardamento aereo delle basi dello Stato islamico in Libia. Il Consiglio Nazionale di Difesa ha ribadito «il diritto dell’Egitto di difendere sicurezza e stabilità del proprio popolo». [8]In una manifestazione a Tobruki sostenitori del generale Khalifa Haftar hanno chiesto la cacciata dell’ambasciatore statunitense ed un rapporto più diretto con la Russia, visto che gli americani sono troppo impegnati a foraggiare gli islamisti e a supportare il Califfato. Haftar è oggi l’unico in Libia a tenere testa all’ISIS e per questo vorrebbe rifornirsi di armi russe grazie alla mediazione di al-Sisi. Dietro di lui si sta aggregando un fronte trasversale interessato alla stabilizzazione del Paese e all’instaurazione di un regime laico e filo-russo come quello di Gheddafi, cosa ritenuta intollerabile dall’amministrazione Obama, che persegue invece la somalizzazione della Libia. [9]C’è poi un’altra ragione per cui gli Stati Uniti mirano a rovesciare il governo egiziano. Recentemente, infatti, dopo la visita di Putin, il presidente al-Sisi ha siglato importanti accordi commerciali, industriali e militari con la Russia tra cui l’invio di MiG-29M/M2, sistemi di difesa aerea di diversi tipi, Mi-35, sistemi antinave, munizioni varie e armi leggere. È stata anche discussa la possibilità di creare una zona di libero scambio tra l’Egitto e i paesi dell’Unione doganale eurasiatica, di abbandonare il dollaro e di dar vita ad una zona industriale russa, che farà parte di un nuovo progetto per il Canale di Suez. Per gli Stati Uniti, dunque, non c’è tempo da perdere. [10]Se per colpire la Russia occorre colpire l’Egitto, e per colpire l’Egitto occorre colpire la Libia, per colpire la Libia occorre rendere l’Italia, il più importante avamposto occidentale sul Mediterraneo, l’epicentro di una ondata destabilizzatoria finalizzata all’accettazione da parte dell’opinione pubblica di una nuova “guerra preventiva”.È per questo che gli americani fomentano la strategia della tensione a base di sbarchi e attentati, che minaccia di precipitare il nostro paese nel caos e di renderlo facile preda delle turbe islamiche.
***
Stiamo pur certi che il governo fantoccio di Renzi, con il suo seguito di lustrascarpe, nani, scafisti, pagliacci e ballerine, non esiterà a mettere a repentaglio la nostra sicurezza nazionale accodandoci agli americani nella stupida guerra contro il Califfato, che invece di ridurre aumenterà a dismisura il numero degli attentati e degli sbarchi, come già accaduto dopo la precedente disastrosa campagna libica.L’immigrazione va combattuta con altri mezzi. Basterebbe, tanto per cominciare,smettere di aiutare gli americani a fare le loro guerre,organizzare un autentico blocco navale, con dei veri militari pronti a sparare sugli scafisti, chiudere le frontiere, reintrodurre il reato di immigrazione clandestina, rimpatriare tutti gli immigrati presenti sul territorio nazionale, avere la certezza che non possono più tornare,processare e condannare per alto tradimento tutti coloro che favoriscono l’immigrazione e speculano sul business dei centri d’accoglienza. Invece si propongono soluzioni assurde, come l’intervento militare in Libia, perché evidentemente i veri scopi sono diversi da quelli dichiarati e nessuno in realtà vuole fermare l’immigrazione e il terrorismo, ma solo favorirli dietro il pretesto di combatterli.Come possiamo fidarci infatti di Renzi che in realtà è solo una docile marionetta nelle mani del neocon Michael Ledeen, l’uomo-ombra che ne condizione la politica estera? «Ledeen è stato la mente della strategia aggressiva nella Guerra Fredda di Ronald Reagan, è stato la mente degli squadroni della morte in Nicaragua, è stato consulente del Sismi negli anni della Strategia della tensione, è stato una delle menti della guerra “preventiva” al terrore promossa dall’Amministrazione Bush (Shock and Awe), oltre che teorico della guerra all’Iraq e della potenziale guerra all’Iran, è stato uno dei consulenti del ministero degli Esteri israeliano».[11]Con un simile personaggio che condiziona l’operato del governo possiamo aspettarci di tutto. Intanto l’Alleanza atlantica userà a settembre l’Italia per una maxi esercitazione in vista di una possibile guerra contro la Russia.«Dopo una prima fase definita “magnifico balzo” (Noble Jump) tenutosi in aprile in Polonia con la partecipazione di forze tedesche e italiane, si è avuta la seconda recentemente a largo della Scozia, definita Joint warrior, e per ammissione della stessa Nato è stata la maggiore esercitazione navale: vi partecipano dall’11 al 24 aprile 50 navi da guerra (tra cui un gruppo italiano) e 70 cacciabombardieri (che, bisogna sempre ricordarla, hanno duplice capacità anche nucleare). Il tutto serve a preparare la madre di tutte le esercitazioni per la cosiddetta “Trident Juncture 2015” (TRJE15) – la maggiore esercitazione dalla caduta del Muro di Berlino ad oggi che si tierrà in Italia dal 28 settembre al 9 novembre ed in cui parteciperanno tutte le forze della Nato.“Verranno ad esercitarci alla guerra qui in Italia». [12]
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Scriveva giustamente Giovanni Preziosi: «In guerra, è facile far uno sproposito grosso e pericoloso: svalutar il nemico. Ma non è difficile farne uno anche più massiccio e compromettente; non saperne nulla del nemico. Ed è possibile quello peggio di tutti: non contar fra i nemici il nemico numero uno».Dopo essere stato il nostro mortale nemico nella Seconda guerra mondiale, dopo aver distrutto i valori della nostra civiltà con il veleno dell’americanismo, dopo aver organizzato stragi e attentati e aver riempito il nostro paese di immigrati per disgregarne il tessuto etnico e sociale, gli Stati Uniti vogliono ora usarci come carne da macello per fare il lavoro sporco al posto loro.Un nemico ci ha dichiarato guerra ma non è l’Islam, sono gli Stati Uniti. Come affermava Clausewitz: «La guerra è un atto di violenza il cui scopo è costringere l’avversario a fare la nostra volontà». Perciò possiamo tranquillamente dire che gli Stati Uniti sono il nostro nemico numero uno.L’unica speranza di rinascita dell’Italia e dell’Europa sta nella definitiva scomparsa di questo impero retto dai Signori del Caos, l’unico e vero impero del Male.Forse non dovremo aspettare troppo.


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posted by Antonio Maria Rinaldi
SCHAEUBLE: CHE LA GRECIA ESCA TEMPORANEAMENTE DALL’EURO! (di Antonio M. Rinaldi)



Nel marasma delle dichiarazioni, prese di posizioni, rilanci, proposte, controproposte in occasione della lunga e snervante partita che si sta giocando non tanto sui destini della Grecia ma dell’intera Europa e non solo monetaria, l’ultima sortita del ministro delle finanze tedesco Schaeuble, merita senza dubbio più che una riflessione.
Infatti quello che può essere considerato il sacerdote più intransigente, depositario dei dogmi economici previsti dall’ortodossia tedesca, ha fatto sapere che la Grecia potrebbe uscire temporaneamente dalla moneta unica per poi successivamente rientrare. Non sappiamo se questa proposta sia frutto di una sua personale convinzione o se l’abbia attinta da quella formulata dall’economista Hans-Werner Sinn, il quale un paio d’anni fa, sostanzialmente prevedeva per un paese membro in difficoltà la facoltà di poter uscire temporaneamente, “sistemare” i suoi conti, per poi rientrare nell’euro con un rapporto di concambio più attinente ai suoi fondamentali macroeconomici.
L’economista tedesco giungeva a questa possibilità perché negli ultimi 10 anni il saldo delle partite correnti complessivi dell’eurozona è stato essenzialmente in pareggio, ma solo dal punto di vista contabile, in quanto all’interno dell’area euro stessa i surplus generati dalla Germania sono stati controbilanciati dai deficit registrati da Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e Irlanda. Pertanto la possibilità di poter uscire/entrare darebbe, sempre secondo Sinn, la possibilità di aggiustamento per mezzo di un riallineamento del valore di cambio impossibile all’interno dell’area valutaria senza dover ricorrere alla cosiddetta “svalutazione interna”, cioè all’aggiustamento del livello dei salari rispetto a quello dei paesi più virtuosi della stessa area valutaria. Non conosciamo i particolari della proposta di Schaeuble, perchè sarebbe quanto mai interessante conoscere i dettagli riguardo al suo pensiero sul debito pubblico se previsto rimanere espresso in euro o in nuova dracma (dal ministro tedesco siamo abituati a sentire anche di peggio!).
Ma sia all’economista che al ministro delle finanze tedesco, a cui evidentemente è piaciuta l’idea, sfugge l’elemento essenziale che determina l’insostenibilità della permanenza nell’euro per sempre più paesi eurodotati. Il problema fondamentale non si risolve modificando tanto il valore di concambio determinato con decorrenza 1.1.1999 tra le monete dei paesi partecipanti all’unione monetaria legandoli a cambi fissi irrevocabili nei confronti dei propri maggiori partners commerciali, ma non sottoponendoli ai rigidi vincoli di bilancio previsti dai Trattati e regolamenti europei non idonei alle proprie economie.
Poco servirebbe infatti ad avere un euro con un rapporto di concambio più favorevole rispetto ai propri fondamentali macroeconomici del momento del rientro se poi si continuano a dover rigidamente rispettare i vincoli esterni che nel breve termine ricrerebbero le medesime situazioni di insostenibilità e le inevitabili necessità di intervenire nuovamente. E’ il modello economico preso a supporto della sostenibilità dell’euro che non è idoneo per la maggioranza dei paesi eurodotati perché basati sulla stabilità dei prezzi, cioè il massimo contenimento dell’inflazione, e il rigore dei conti pubblici fino al perseguimento del principio del pareggio di bilancio così come previsto dal Fiscal Compact. Quindi poco servirebbe a far uscire temporaneamente un paese dall’euro per poi riammetterlo con un livello di concambio differente. Un esempio casalingo: se all’Italia fosse data la possibilità di poter uscire temporaneamente dall’euro per poi potervi rientrare successivamente a un valore di concambio che tenga conto del valore di cambio determinatosi con l’introduzione della nuova lira, poco poi cambierebbe perché saremmo sempre soggetti ai vincoli che hanno determinato la nostra precedente insostenibilità di permanenza nell’euro.
Potersi avvalere di una propria moneta significa poter mettere in atto una propria politica economica esattamente tarata per le proprie esigenze e non dettata omnibus dai vincoli esterni in quanto la moneta è solo uno degli strumenti a disposizione della stessa politica economica per poterla mettere in atto. Uscire per poi rientrare con le stesse regole che ne hanno determinato la stessa uscita è totalmente un ragionamento insensato e controproducente.
Pertanto la proposta di Schaeuble è totalmente inutile perché non solo non risolverebbe i problemi creati da una unione monetaria germanocentrica basata sul suo modello economico che prevede il rigido rispetto dei vincoli forgiati a sua immagine e somiglianza, ma dimostrerebbe in modo pratico come un paese quando ha la possibilità di uscire e di poter perseguire la sua politica economica e non quella dettata dagli altri, difficilmente ricadrebbe nell’errore di rientrare nella gabbia costruita con abilità proprio dagli stessi tedeschi!
Oppure anche il più tedesco dei tedeschi Wolfgang Schaeuble conosce bene l’adagio italiano che recita “non c’è nulla di più definitivo del provvisorio”? Perché se è così va benissimo anche per noi!
Antonio M. Rinaldi



fallimento euroGrexithttp://scenarieconomici.it/tag/schaeuble/
 

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sabato 4 luglio 2015

EURO: perché gli oligarchi ne temono l'uscita



EURO: perché gli oligarchi ne temono l'uscita
di Marco Saba, IASSEM, 4 luglio 2015

Esiste un motivo molto concreto per cui gli oligarchi temono l'uscita simultanea dall'euro di tutti i paesi che lo stanno adottando: i tesoretti off-shore chi li converte ?

Andiamo per ordine. Se dall'euro esce un solo paese, ad esempio la Grecia, chi detiene tesoretti off-shore in euro può sempre spenderli nei paesi europei che ancora adottano l'euro. Ma se escono tutti i paesi, gli euro off-shore rischiano di non essere più convertibili...in niente !

Questo è il vero incubo. Infatti, mentre per l'euro cartaceo e metallico è sempre possibile risalire ai paesi originari di provenienza, che sono indicati sulle monete stesse, la stessa cosa non si puà dire per gli euro virtuali, o elettronici che dir si voglia, a causa del segreto bancario e del fatto che non esiste un catasto ufficiale delle banche che li hanno emessi.

Infatti, come abbiamo dimostrato negli interventi nelle assemblee degli azionisti delle banche nel 2014-2015, supportati anche dai documenti pubblicati dalla Banca d'Inghilterra, la creazione di euo elettronici non viene contabilizzata dalle banche commerciali d'emissione. E quindi è impossibile, una volta immessi nei circuiti telematici interbancari, risalire all'origine nazionale di tali euro.

Una banca centrale del paese X può sempre decidere di convertire automaticamente tutti i conti in euro dei residenti accesi presso le banche commerciali del suo paese in conti corrispondenti nella nuova valuta nazionale emessa, ma non avrebbe alcun interesse a convertire gli euro depositati su conti in altri paesi nella propria moneta nazionale poiché perderebbe la relativa quota di signoraggio.

Tutti questi euro creati extracontabilmente e finiti in depositi al di fuori dei paesi che adottano l'euro, presumibilmente in conti di oligarchi o comunque del famoso 1% "più fortunato" della popolazione, diventerebbero imediatamente denaro scottante non più spendibile e che nessuno avrebbe più interesse a convertire. Infatti, la Banca Centrale Europea, l'unico ente che potrebbe essere costretto legalmente a convertirli, non possiede assolutamente beni sufficienti a garantirne la conversione (oro o riserve valutarie estere). A Draghi non rimarrebbe che pregare la Madonna dei Debitori prima che lo vadano a cercare... Grazie alla miopìa colossale della Commissione Europea, la BCE è nata insolvente e morirà insolvente.

Il risultato netto sarebbe che tutti questi ricchi di contrabbando diventerebbero improvvisamente dei poveracci disperati con in mano una moneta senza più corso, mentre tutti i popoli diventerebbero più ricchi poiché a causa dell'improvvisa scomparsa dalla circolazione di tutta questa massa di denaro, i loro stati potrebbero emettere direttamente enormi quantità di nuova moneta nazionale senza paura d'inflazione.

Si avvererà dunque davvero il detto che "gli ultimi saranno i primi" con grande soddisfazione di Papa Francesco ? Chissà... Il tempo, che oggi non è molto galantuomo con gli oligarchi, forse ce lo dirà.

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FINALMENTE! LA LEZIONE GRECA PORTA ALL'EUROSOLIDARISMO: L'ERF!



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1. Mentre il referendum - che comunque "vadi" (Fantozzi), si risolverà in una ripresa delle trattative dentro l'euro, nelle intenzioni dichiarate del governo greco-, induce curiosamente in molti a pensare che la sovranità consista nel fatto che il popolo voti sull'alternativa tra diverse soluzioni...di privazione della sovranità, la macchina dell'€uro-ordoliberismo va avanti.
Almeno in Italia.
La versione compatta dei media e delle televisioni del Bel Paese è saldamente attestata sul fatto che, quale che sia l'esito del referendum, ci vorrà "più €uropa" (ce lo dice pure Prodi in un editoriale odierno), al fine di poter, naturalmente, mantenere l'euro e vivere felici grazie alle riforme che, già ora - e lo si dice con totale sicurezza- stanno conducendo alla crescita.


2. Meravigliosamente indicativo l'editoriale di oggi di Roberto Napoletano sul Sole 24 ore "L'Europa che serve a loro e a noi".
Apprendiamo da tale editoriale che lo shock del 2011 era "esterno"; dobbiamo presumere "esterno" all'Italia, e quindi, tale versione dei fatti, necessariamente implica che...Monti agì con successo allo scopo di migliorare i conti pubblici e di far tornare la crescita e, per l'appunto, s'è proprio visto (d'altra parte basta raccontarlo tutti i giorni e tutti lo daranno per acquisito).
Tale tesi implica, altrettanto, che un fatto molto "nazionale", e strutturale, come i saldi settoriali della contabilità nazionale, cioè i conti correnti esteri e la posizione netta sull'estero italiana, legati all'inevitabile (mal)funzionamento della moneta unica (almeno secondo economisti come De Grauwe, Stiglitz, Krugman, Friedman e via dicendo), non avessero nulla a che fare con la crisi del 2011.
E dunque, Napoletano, - dando per acquisito per l'ennesima volta che la cura del 2011 ci abbia ricondotto alla salute dei conti pubblici ed alla crescita-, propone una serie di soluzioni che permettano di superare la crisi greca che, a sua volta, è inevitabilmente dovuta alla loro incapacità di crescere perchè non vogliono fare le riforme e non vogliono ammodernare la causa di tutti i mali universali, cioè la "macchina pubblica".

Per riprendersi, però, l'€uropa, dovrebbe correggere gli "errori evidenti" (quali? Se in fondo non ha fatto che predicare riforme e privatizzazioni con la riduzione del perimetro dello Stato, ancora oggi invocata in Italia? Cosa avrebbe fatto di sbagliato l'€uropa nella trattativa coi greci desiderosi di inefficienza e restii alla "crescita"?). Inoltre, la stessa UEM, dovrebbe evitare anche "l'eccesso di zelo rigorista".


3. Insomma ci vuole lo "spirito solidaristico".
Come non averci pensato prima! Ovviamente i greci sono quelli che non vogliono cooperare e non sanno sfruttare l'opportunità di fare le riforme...
Tant'è che poi, l'€uropa solidaristica, - quella che, in fondo in fondo, i tedeschi, nella loro lungimiranza, sarebbero sicuramente inclini a sostituire all'eccesso di zelo rigoristico a cui sono costretti da atteggiamenti immaturi come quelli dei greci- in cosa consisterebbe essenzialmente?
Per Napoletano, seguendo il suggerimento, solidale e altruistico dei "think tank più illuminati in Germania", "si vari un fondo unico che raccolga gli eccessi nazionali di debito pubblico (rispetto al tetto del 60% del pil, uno degli errori iniziali) e si misurino le virtù dei singoli Paesi, liberati da fardelli insostenibili...".


4. Non è però un caso che i "think tank" tedeschi vogliano il Fondo in questione, cioè il ben noto ERF.
Questo funziona così, come abbiamo visto: il "Fondo" assume il debito eccedente il limite del 60% su PIL di ciascun Paese interessato dell'eurozona, e diviene a sua volta creditore per tale ammontare dello Stato stesso. Questa parte di debito, quindi, viene sottratta alla legge nazionale, cioè non sarebbe soggetta, in caso di ritorno alla valuta nazionale alla possibilità di conversione nella nuova valuta secondo la lex monetae (e di questi tempi la sopravvivenza dell'euro non è esattamente una grande sicurezza).
In ogni modo, il Fondo emetterebbe poi titoli, (indifferenziatamente imputati al debito assunto pro-quota di ciascun Paese), che si gioverebbero di tassi di interesse passivi auspicabilmente meno elevati di quelli che, rispettivamente, ciascuno Stato coinvolto potrebbe ottenere, singolarmente, sui mercati.
Ma in presenza del QE, e dei maggiori prezzi di collocamento del debito pubblico dell'eurozona, fino a poco tempo fa ottenuti grazie agli acquisti della BCE, questa ipotesi non pare particolarmente rilevante e vantaggiosa.


5. Rilevantissimo, invece, è l'effetto socio-economico del funzionamento del Fondo: l'assunzione del debito "eccedentario" infatti è congiunta, - e qui sta la ragione del favore da parte dei tedeschi- alla regola, già insita nel fiscal compact, per cui il debito conferito verrebbe ridotto nella misura di 1/20° all'anno, fino alla sua estinzione in 20 anni.


Per l'Italia questo significa una diretta e immancabile riduzione del debito corrispondente a oltre 3 punti di PIL all'anno.
Anche calcolando l'effetto di riduzione dei tassi sul debito pubblico, in quanto sostituito in tale parte (eccedente il 60%) dai titoli emessi dal Fondo, infatti, l'onere effettivo dell'intera operazione per il singolo Stato, dovrebbe incorporare sia i tassi di interesse complessivamente dovuti sul proprio debito, sia il carico della riduzione in conto capitale nella misura di oltre il 3% annuo (per l'Italia 3,6 punti). Con varie pesanti conseguenze sui conti pubblici e sull'economia reale:
a) l'onere degli interessi passivi rischia di "ricrescere" sulla parte di debito rimasta, entro il 60%, in carico al singolo Stato, parte che rimarrebbe esposta a tutte le condizioni di aggravamento dello spread che oggi possono influire sul suo debito sovrano, e che non dipendono dall'ammontare assoluto del debito stesso, ma dalla posizione netta sull'estero.
b) inoltre, questo rischio permanente risulta comunque concomitante col modesto effetto calmieratore degli interessi sui titoli emessi dal Fondo, (almeno per i primi anni), in relazione all'attuale programma di acquisti del QE;
c) ma quel che conta di più è che il meccanismo dell'ERF obbliga, nel suo insieme (debito sovrano diretto e debito verso il Fondo), a raggiungere un saldo primario aggiuntivo, rispetto a quello attuale, di circa 5 punti di PIL (ai livelli attuali di crescita effettiva e di vincolo da fiscal compact): e ciò anche scontando, ripetiamo, il modesto vantaggio del calo degli interessi sul debito eccedentario per i titoli emessi dal Fondo.


6. Insomma, non appena il Fondo iniziasse ad operare, la manovra finanziaria dello Stato sarebbe vincolata a raggiungere un saldo primario pari almeno all'attuale (2,4 punti di PIL, un record mondiale se rapportato ai livelli mantenuti per decenni) più gli oltre 3 punti di PIL necessari per "l'ammortamento" di un ventesimo del debito preso in carico dal Fondo, più, per la verità, l'ulteriore eventuale (ma non improbabile) saldo aggiuntivo necessario per rispettare il pareggio strutturale di bilancio secondo i target annuali imposti dalla Commissione UE (in misure che dovrebbero portare, oltretutto, al pareggio di bilancio entro un paio di anni).
Dunque, almeno nella fase iniziale, il saldo primario italiano dovrebbe passare dall'attuale misura - abbiamo visto intorno ai 2,4-2,5 punti di PIL, che già costituisce una misura tra le più alte del mondo - a circa 7,6 (!) punti di PIL, almeno se si tiene fermo l'obiettivo del pareggio di bilancio (e non il semplice limite del 3%, che sarebbe ormai persino contrario al nuovo art.81 della Costituzione).
Il calcolo non è difficile da fare: 5 punti di PIL di onere degli interessi "(forse) attenuato" + 3,6 punti di ammortamento da corrispondere al Fondo + 1,4 punti di PIL per l'obiettivo intermedio di pareggio di bilancio, meno il saldo primario attuale di 2,4. Totale, all'incirca, 7,6 punti di PIL di avanzo primario con un deficit consentito (obiettivo intermedio) di 1,6 punti di PIL!


7. Va precisato che questi sono i calcoli realistici, cioè assumendo, peraltro ottimisticamente, che la crescita italiana rimanga quella attuale, cioè allo 0 virgola (nella migliore delle ipotesi): altri calcoli, muovono dalla supposizione che si abbia una crescita nominale del 3% annuo (o oltre!), che è stata finora smentita dai fatti, in presenza di politiche di austerità che l'Italia è l'unica a seguire scrupolosamente.
E ciò è tanto vero che anche per quest'anno, di supposta e strombazzata "ripresa", neanche le più ottimistiche previsioni si azzardano ad attribuirci una crescita di tale entità. Da notare che, (senza alcuna sorpresa, data la tradizione di errore annuale ormai instauratasi dal FMI al'OCSE, passando per la Commissione), i dati dell'Istat non corroborano neppure la crescita allo 0,5, per il "favorevole" 2015, quale ultimamente ipotizzata dal FMI.
L'Istat, infatti, nei suoi ultimi calcoli, accredita una crescita trimestrale di 0,2 nel primo trimestre, rispetto al quarto trimestre 2014, ma una crescita annuale di appena 0,1 sul primo trimestre 2014, cioè su base annuale tendenziale riferita a periodi omogenei.


8. E' chiaro che un saldo primario di tale entità risulta un obiettivo impossibile da raggiungere e sicuramente insostenibile: ed infatti, per rispettare gli obiettivi intermedi di pareggio strutturale (quand'anche, s'è visto, "forse", gli interessi risultassero ridotti in una non rilevante misura) e per ridurre il debito in carico al Fondo per 3,6 punti di PIL annui (1/20 del 72% di PIL corrispondente al debito assunto dal Fondo), occorrerebbe varare una manovra di taglio della spesa pubblica e di nuove tasse di circa 80 miliardi o anche più (si tratta cioè, come detto, di incrementare di circa 5 punti l'attuale saldo primario).
Questo con certezza, almeno per i primi anni di funzionamento del meccanismo del Fondo auspicato da Napoletano.


9. Quand'anche, poi, alla istituzione del Fondo, si accompagnasse una (allo stato) molto improbabile tolleranza verso la misura del deficit pubblico, comunque, il saldo primario dovrebbe essere più "modestamente" intorno ai 5,5-6 punti di PIL - detraendo la correzione del saldo primario imputabile al raggiungimento dell'obiettivo intermedio di deficit e largheggiando su quest'ultimo. Dunque, la relativa manovra annuale "tipo", sarebbe pur sempre dell'ordine di circa 55 miliardi: tale misura corrisponderebbe, infatti, al mantenimento di un deficit intorno al 3 o magari al 4% (entrambe misure che la flessibilità europea, al momento, non ci concede).


Siccome è evidente che in queste condizioni di austerità aggiuntiva, nonostante la "bella" teoria della austerità espansiva, nessuna crescita sarebbe realizzabile, anzi il Paese tornerebbe immediatamente in recessione (aggravando il rapporto debito/PIL), la verità è che il Fondo auspicato da Napoletano, e non a caso caldeggiato dai think-tank tedeschi, implicherebbe che scattassero le garanzie previste dall'attuale ipotesi di ERF.


E cioè i beni patrimoniali dello Stato italiano, - l'oro, le stesse riserve valutarie, le partecipazioni azionarie detenute a qualsiasi titolo , il patrimonio immobiliare (a prescindere probabilmente dal suo regime di indisponibilità, visto che i vincoli europei, a quanto pare, prevalgono sulle leggi costituzionali, se si tratta di rispettare il pareggio di bilancio o i limiti all'ammontare del debito). Tutti questi beni pubblici sarebbero assegnati a estinzione della quota annuale di debito da ridurre, quindi in ammortamento, al Fondo nella misura annua di 3,6 punti di PIL.


10. Nella situazione attuale, tali beni sarebbero poi presumibilmente "rivenduti" dal Fondo stesso a operatori privati agenti sui mercati internazionali, ed il Fondo tratterrebbe il ricavato a estinzione del debito.
Ma non dimentichiamo che poichè questi assets non sarebbero tutti (a parte oro e riserve valutarie) di facile e pronta liquidazione, - valendo quindi più come garanzia che come mezzo di pagamento- la disciplina del Fondo, per come attualmente studiata dal gruppo di lavoro incaricato dalla Commissione UE, implicherebbe anche la ulteriore garanzia di estinzione pro-quota annuale del debito "eccedentario" (il limite del 60%) costituita dall'attribuzione al Fondo stesso, pro-solvendo, di una quota pari al 8% delle entrate dello Stato: una sorta di "pignoramento dello stipendio", cioè l'appropriazione diretta da parte del Fondo del flusso dei soldi corrisposti dai contribuenti allo Stato.


11. Insomma, alla fine la soluzione neo-solidaristica €uropea, - entusiasticamente abbracciata da Napoletano in base ai "suggerimenti" dei migliori think tank tedeschi-, quindi il nuovo orizzonte cooperativo e non eccessivamente orientato al rigore, teso a superare la "crisi greca (!), si risolverebbe in un'accelerazione delle svendite forzate degli assets patrimoniali dello Stato, incluse le residue industrie pubbliche, il cui controllo finirebbe molto probabilmente in mano a investitori stranieri, nonchè nella privazione dell'oro, delle riserve valutarie e della stessa destinazione nell'interesse nazionale dei soldi dei contribuenti.
Questo intanto che, trepidanti, attendiamo l'esito del referendum greco.
Come se, dentro l'euro, ci fosse una "liberazione" che ci attenda salvifica non appena i greci inefficienti, spendaccioni e inaffidabili abbiano abbassato le loro intollerabili pretese...


Pubblicato da Quarantotto a 17:16 31 commenti: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest
 

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FINALMENTE! LA LEZIONE GRECA PORTA ALL'EUROSOLIDARISMO: L'ERF!



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1. Mentre il referendum - che comunque "vadi" (Fantozzi), si risolverà in una ripresa delle trattative dentro l'euro, nelle intenzioni dichiarate del governo greco-, induce curiosamente in molti a pensare che la sovranità consista nel fatto che il popolo voti sull'alternativa tra diverse soluzioni...di privazione della sovranità, la macchina dell'€uro-ordoliberismo va avanti.
Almeno in Italia.
La versione compatta dei media e delle televisioni del Bel Paese è saldamente attestata sul fatto che, quale che sia l'esito del referendum, ci vorrà "più €uropa" (ce lo dice pure Prodi in un editoriale odierno), al fine di poter, naturalmente, mantenere l'euro e vivere felici grazie alle riforme che, già ora - e lo si dice con totale sicurezza- stanno conducendo alla crescita.


2. Meravigliosamente indicativo l'editoriale di oggi di Roberto Napoletano sul Sole 24 ore "L'Europa che serve a loro e a noi".
Apprendiamo da tale editoriale che lo shock del 2011 era "esterno"; dobbiamo presumere "esterno" all'Italia, e quindi, tale versione dei fatti, necessariamente implica che...Monti agì con successo allo scopo di migliorare i conti pubblici e di far tornare la crescita e, per l'appunto, s'è proprio visto (d'altra parte basta raccontarlo tutti i giorni e tutti lo daranno per acquisito).
Tale tesi implica, altrettanto, che un fatto molto "nazionale", e strutturale, come i saldi settoriali della contabilità nazionale, cioè i conti correnti esteri e la posizione netta sull'estero italiana, legati all'inevitabile (mal)funzionamento della moneta unica (almeno secondo economisti come De Grauwe, Stiglitz, Krugman, Friedman e via dicendo), non avessero nulla a che fare con la crisi del 2011.
E dunque, Napoletano, - dando per acquisito per l'ennesima volta che la cura del 2011 ci abbia ricondotto alla salute dei conti pubblici ed alla crescita-, propone una serie di soluzioni che permettano di superare la crisi greca che, a sua volta, è inevitabilmente dovuta alla loro incapacità di crescere perchè non vogliono fare le riforme e non vogliono ammodernare la causa di tutti i mali universali, cioè la "macchina pubblica".

Per riprendersi, però, l'€uropa, dovrebbe correggere gli "errori evidenti" (quali? Se in fondo non ha fatto che predicare riforme e privatizzazioni con la riduzione del perimetro dello Stato, ancora oggi invocata in Italia? Cosa avrebbe fatto di sbagliato l'€uropa nella trattativa coi greci desiderosi di inefficienza e restii alla "crescita"?). Inoltre, la stessa UEM, dovrebbe evitare anche "l'eccesso di zelo rigorista".


3. Insomma ci vuole lo "spirito solidaristico".
Come non averci pensato prima! Ovviamente i greci sono quelli che non vogliono cooperare e non sanno sfruttare l'opportunità di fare le riforme...
Tant'è che poi, l'€uropa solidaristica, - quella che, in fondo in fondo, i tedeschi, nella loro lungimiranza, sarebbero sicuramente inclini a sostituire all'eccesso di zelo rigoristico a cui sono costretti da atteggiamenti immaturi come quelli dei greci- in cosa consisterebbe essenzialmente?
Per Napoletano, seguendo il suggerimento, solidale e altruistico dei "think tank più illuminati in Germania", "si vari un fondo unico che raccolga gli eccessi nazionali di debito pubblico (rispetto al tetto del 60% del pil, uno degli errori iniziali) e si misurino le virtù dei singoli Paesi, liberati da fardelli insostenibili...".


4. Non è però un caso che i "think tank" tedeschi vogliano il Fondo in questione, cioè il ben noto ERF.
Questo funziona così, come abbiamo visto: il "Fondo" assume il debito eccedente il limite del 60% su PIL di ciascun Paese interessato dell'eurozona, e diviene a sua volta creditore per tale ammontare dello Stato stesso. Questa parte di debito, quindi, viene sottratta alla legge nazionale, cioè non sarebbe soggetta, in caso di ritorno alla valuta nazionale alla possibilità di conversione nella nuova valuta secondo la lex monetae (e di questi tempi la sopravvivenza dell'euro non è esattamente una grande sicurezza).
In ogni modo, il Fondo emetterebbe poi titoli, (indifferenziatamente imputati al debito assunto pro-quota di ciascun Paese), che si gioverebbero di tassi di interesse passivi auspicabilmente meno elevati di quelli che, rispettivamente, ciascuno Stato coinvolto potrebbe ottenere, singolarmente, sui mercati.
Ma in presenza del QE, e dei maggiori prezzi di collocamento del debito pubblico dell'eurozona, fino a poco tempo fa ottenuti grazie agli acquisti della BCE, questa ipotesi non pare particolarmente rilevante e vantaggiosa.


5. Rilevantissimo, invece, è l'effetto socio-economico del funzionamento del Fondo: l'assunzione del debito "eccedentario" infatti è congiunta, - e qui sta la ragione del favore da parte dei tedeschi- alla regola, già insita nel fiscal compact, per cui il debito conferito verrebbe ridotto nella misura di 1/20° all'anno, fino alla sua estinzione in 20 anni.


Per l'Italia questo significa una diretta e immancabile riduzione del debito corrispondente a oltre 3 punti di PIL all'anno.
Anche calcolando l'effetto di riduzione dei tassi sul debito pubblico, in quanto sostituito in tale parte (eccedente il 60%) dai titoli emessi dal Fondo, infatti, l'onere effettivo dell'intera operazione per il singolo Stato, dovrebbe incorporare sia i tassi di interesse complessivamente dovuti sul proprio debito, sia il carico della riduzione in conto capitale nella misura di oltre il 3% annuo (per l'Italia 3,6 punti). Con varie pesanti conseguenze sui conti pubblici e sull'economia reale:
a) l'onere degli interessi passivi rischia di "ricrescere" sulla parte di debito rimasta, entro il 60%, in carico al singolo Stato, parte che rimarrebbe esposta a tutte le condizioni di aggravamento dello spread che oggi possono influire sul suo debito sovrano, e che non dipendono dall'ammontare assoluto del debito stesso, ma dalla posizione netta sull'estero.
b) inoltre, questo rischio permanente risulta comunque concomitante col modesto effetto calmieratore degli interessi sui titoli emessi dal Fondo, (almeno per i primi anni), in relazione all'attuale programma di acquisti del QE;
c) ma quel che conta di più è che il meccanismo dell'ERF obbliga, nel suo insieme (debito sovrano diretto e debito verso il Fondo), a raggiungere un saldo primario aggiuntivo, rispetto a quello attuale, di circa 5 punti di PIL (ai livelli attuali di crescita effettiva e di vincolo da fiscal compact): e ciò anche scontando, ripetiamo, il modesto vantaggio del calo degli interessi sul debito eccedentario per i titoli emessi dal Fondo.


6. Insomma, non appena il Fondo iniziasse ad operare, la manovra finanziaria dello Stato sarebbe vincolata a raggiungere un saldo primario pari almeno all'attuale (2,4 punti di PIL, un record mondiale se rapportato ai livelli mantenuti per decenni) più gli oltre 3 punti di PIL necessari per "l'ammortamento" di un ventesimo del debito preso in carico dal Fondo, più, per la verità, l'ulteriore eventuale (ma non improbabile) saldo aggiuntivo necessario per rispettare il pareggio strutturale di bilancio secondo i target annuali imposti dalla Commissione UE (in misure che dovrebbero portare, oltretutto, al pareggio di bilancio entro un paio di anni).
Dunque, almeno nella fase iniziale, il saldo primario italiano dovrebbe passare dall'attuale misura - abbiamo visto intorno ai 2,4-2,5 punti di PIL, che già costituisce una misura tra le più alte del mondo - a circa 7,6 (!) punti di PIL, almeno se si tiene fermo l'obiettivo del pareggio di bilancio (e non il semplice limite del 3%, che sarebbe ormai persino contrario al nuovo art.81 della Costituzione).
Il calcolo non è difficile da fare: 5 punti di PIL di onere degli interessi "(forse) attenuato" + 3,6 punti di ammortamento da corrispondere al Fondo + 1,4 punti di PIL per l'obiettivo intermedio di pareggio di bilancio, meno il saldo primario attuale di 2,4. Totale, all'incirca, 7,6 punti di PIL di avanzo primario con un deficit consentito (obiettivo intermedio) di 1,6 punti di PIL!


7. Va precisato che questi sono i calcoli realistici, cioè assumendo, peraltro ottimisticamente, che la crescita italiana rimanga quella attuale, cioè allo 0 virgola (nella migliore delle ipotesi): altri calcoli, muovono dalla supposizione che si abbia una crescita nominale del 3% annuo (o oltre!), che è stata finora smentita dai fatti, in presenza di politiche di austerità che l'Italia è l'unica a seguire scrupolosamente.
E ciò è tanto vero che anche per quest'anno, di supposta e strombazzata "ripresa", neanche le più ottimistiche previsioni si azzardano ad attribuirci una crescita di tale entità. Da notare che, (senza alcuna sorpresa, data la tradizione di errore annuale ormai instauratasi dal FMI al'OCSE, passando per la Commissione), i dati dell'Istat non corroborano neppure la crescita allo 0,5, per il "favorevole" 2015, quale ultimamente ipotizzata dal FMI.
L'Istat, infatti, nei suoi ultimi calcoli, accredita una crescita trimestrale di 0,2 nel primo trimestre, rispetto al quarto trimestre 2014, ma una crescita annuale di appena 0,1 sul primo trimestre 2014, cioè su base annuale tendenziale riferita a periodi omogenei.


8. E' chiaro che un saldo primario di tale entità risulta un obiettivo impossibile da raggiungere e sicuramente insostenibile: ed infatti, per rispettare gli obiettivi intermedi di pareggio strutturale (quand'anche, s'è visto, "forse", gli interessi risultassero ridotti in una non rilevante misura) e per ridurre il debito in carico al Fondo per 3,6 punti di PIL annui (1/20 del 72% di PIL corrispondente al debito assunto dal Fondo), occorrerebbe varare una manovra di taglio della spesa pubblica e di nuove tasse di circa 80 miliardi o anche più (si tratta cioè, come detto, di incrementare di circa 5 punti l'attuale saldo primario).
Questo con certezza, almeno per i primi anni di funzionamento del meccanismo del Fondo auspicato da Napoletano.


9. Quand'anche, poi, alla istituzione del Fondo, si accompagnasse una (allo stato) molto improbabile tolleranza verso la misura del deficit pubblico, comunque, il saldo primario dovrebbe essere più "modestamente" intorno ai 5,5-6 punti di PIL - detraendo la correzione del saldo primario imputabile al raggiungimento dell'obiettivo intermedio di deficit e largheggiando su quest'ultimo. Dunque, la relativa manovra annuale "tipo", sarebbe pur sempre dell'ordine di circa 55 miliardi: tale misura corrisponderebbe, infatti, al mantenimento di un deficit intorno al 3 o magari al 4% (entrambe misure che la flessibilità europea, al momento, non ci concede).


Siccome è evidente che in queste condizioni di austerità aggiuntiva, nonostante la "bella" teoria della austerità espansiva, nessuna crescita sarebbe realizzabile, anzi il Paese tornerebbe immediatamente in recessione (aggravando il rapporto debito/PIL), la verità è che il Fondo auspicato da Napoletano, e non a caso caldeggiato dai think-tank tedeschi, implicherebbe che scattassero le garanzie previste dall'attuale ipotesi di ERF.


E cioè i beni patrimoniali dello Stato italiano, - l'oro, le stesse riserve valutarie, le partecipazioni azionarie detenute a qualsiasi titolo , il patrimonio immobiliare (a prescindere probabilmente dal suo regime di indisponibilità, visto che i vincoli europei, a quanto pare, prevalgono sulle leggi costituzionali, se si tratta di rispettare il pareggio di bilancio o i limiti all'ammontare del debito). Tutti questi beni pubblici sarebbero assegnati a estinzione della quota annuale di debito da ridurre, quindi in ammortamento, al Fondo nella misura annua di 3,6 punti di PIL.


10. Nella situazione attuale, tali beni sarebbero poi presumibilmente "rivenduti" dal Fondo stesso a operatori privati agenti sui mercati internazionali, ed il Fondo tratterrebbe il ricavato a estinzione del debito.
Ma non dimentichiamo che poichè questi assets non sarebbero tutti (a parte oro e riserve valutarie) di facile e pronta liquidazione, - valendo quindi più come garanzia che come mezzo di pagamento- la disciplina del Fondo, per come attualmente studiata dal gruppo di lavoro incaricato dalla Commissione UE, implicherebbe anche la ulteriore garanzia di estinzione pro-quota annuale del debito "eccedentario" (il limite del 60%) costituita dall'attribuzione al Fondo stesso, pro-solvendo, di una quota pari al 8% delle entrate dello Stato: una sorta di "pignoramento dello stipendio", cioè l'appropriazione diretta da parte del Fondo del flusso dei soldi corrisposti dai contribuenti allo Stato.


11. Insomma, alla fine la soluzione neo-solidaristica €uropea, - entusiasticamente abbracciata da Napoletano in base ai "suggerimenti" dei migliori think tank tedeschi-, quindi il nuovo orizzonte cooperativo e non eccessivamente orientato al rigore, teso a superare la "crisi greca (!), si risolverebbe in un'accelerazione delle svendite forzate degli assets patrimoniali dello Stato, incluse le residue industrie pubbliche, il cui controllo finirebbe molto probabilmente in mano a investitori stranieri, nonchè nella privazione dell'oro, delle riserve valutarie e della stessa destinazione nell'interesse nazionale dei soldi dei contribuenti.
Questo intanto che, trepidanti, attendiamo l'esito del referendum greco.
Come se, dentro l'euro, ci fosse una "liberazione" che ci attenda salvifica non appena i greci inefficienti, spendaccioni e inaffidabili abbiano abbassato le loro intollerabili pretese...


Pubblicato da Quarantotto a 17:16 31 commenti: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest
 

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