Ambiguità un valore in arte (1 Viewer)

HollyFabius

Nuovo forumer
Mi chiedevo in questi giorni se si fosse consapevoli di quanto l'ambiguità sia presente in arte e di quanto possa ritenersi un valore.
La prima cosa che mi viene in mente è il sorriso della Gioconda, la sua forza sembra nascere proprio dall'ambiguità che traspare.
La seconda cosa a cui penso sono i tagli di Fontana, perché nati successivamente ai buchi sono ritenuti meglio espressivi della ricerca di Lucio? Non sarà per la loro naturale ambiguità e vicinanza con il pertugio di origine di tutta la vita umana?
L'ambiguità non è origine della multi-significatività, uno degli strumenti retorici usati dalla critica?
Offrire piani diversi di lettura di un'opera non è una naturale ambiguità?
Ma un altro tema collegato è come si sposi l'ambiguità nella lettura con i reali intenti dell'autore, l'autore ha caricato volutamente l'opera di ambiguità o l'ambiguità è parte della natura di un'opera?
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Se posso ... e scusandomi della apparente pignoleria,
distinguerei tra ambiguità e ambivalenza.
Per la prima si intende che non è chiaro il significato, oscillante tra A e B.
Per la seconda viceversa si intende che può avere sia il significato A che quello B.
Se l'ambiguità, in arte, non è voluta, o non è percepita come tale, si tratta di un disvalore ("Ma quella tazza poggia o no sul tavolo?")("Ma è un tavolo o un pavimento?").
Se invece è percepita come volontaria di solito la si vede come un valore, anche se normalmente non determinante, magari a parte casi come quello citato della Gioconda.
L'ambivalenza è una caratteristica in certo senso "come le altre" rispetto ad un lavoro. In un clima surreale addirittura ne è tra gli elementi fondanti. L'ambivalenza richiama l'inquietudine, le incertezze, le paure.Sollecita per reazione l'indagine razionale. Ma, di per sé, non rende né bello né brutto un lavoro, quando appunto non ne sia elemento stilistico fondante.

Semplici riflessioni da smentire ...:d:
Sono convinto che più si precisa una domanda e più essa conterrà la risposta.
 

HollyFabius

Nuovo forumer
Se posso ... e scusandomi della apparente pignoleria,
distinguerei tra ambiguità e ambivalenza.
Per la prima si intende che non è chiaro il significato, oscillante tra A e B.
Per la seconda viceversa si intende che può avere sia il significato A che quello B.
Se l'ambiguità, in arte, non è voluta, o non è percepita come tale, si tratta di un disvalore ("Ma quella tazza poggia o no sul tavolo?")("Ma è un tavolo o un pavimento?").
Se invece è percepita come volontaria di solito la si vede come un valore, anche se normalmente non determinante, magari a parte casi come quello citato della Gioconda.
L'ambivalenza è una caratteristica in certo senso "come le altre" rispetto ad un lavoro. In un clima surreale addirittura ne è tra gli elementi fondanti. L'ambivalenza richiama l'inquietudine, le incertezze, le paure.Sollecita per reazione l'indagine razionale. Ma, di per sé, non rende né bello né brutto un lavoro, quando appunto non ne sia elemento stilistico fondante.

Semplici riflessioni da smentire ...:d:
Sono convinto che più si precisa una domanda e più essa conterrà la risposta.

Ambiguo ha vari sinonimi, il significato è generalmente negativo quando si tratta di comportamento o di giudizio di persona. Nel caso di un'opera non necessariamente occorre vedere il termine con un sinonimo negativo. Dubbio, vago, sfuggente, inafferrabile, velato, enigmatico.
La questione non è solo sulla interpretazione visiva dell'immagine ("la tazza poggia o no sul tavolo") bensì della natura della tecnica che rappresenta la realtà e perfino della natura della realtà che si indaga.
Un esempio per la tecnica è quella dei divisionisti, il disegno e la campitura dell'opera non sono ben definite bensì realizzate con miriadi di puntini colorati che vanno visti nell'insieme da una certa distanza per rendere chiaro il messaggio dell'autore, in un certo senso si può dire che la stesura del colore e del tratto del disegno sono ambigui, ovvero non ben definiti.
Un esempio per la natura della realtà è Paul Klee, la cui filosofia sottesa alle opere è nelle sue parole "Tutta l'arte è un ritorno all'origine, è nell'oscurità, i suoi frammenti vivono sempre nell'artista". Un modo di cogliere la realtà sottesa.

Ma gli stessi autori futuristi non hanno con la tecnica del disegno un atteggiamento polivalente, ambiguo nel tratto per rendere il movimento della realtà, per rappresentare la velocità?
Se preferisci evitare il termine ambiguo per la sua natura genericamente negativa userei il termine multivalente (non ambivalente) perché l'ambiguità non oscilla solo tra A e B.
 

Heimat

Forumer attivo
Bella discussione e complimenti a Holly e Baleng. Io ritengo che l'ambiguità, in senso positivo, sia spesso presente nelle opere d'arte. Un'opera d'arte a mio avviso deve porre al fruitore degli interrogativi. Spesso sentiamo dire che un'opera d'arte riflette come uno specchio nel senso che l'osservatore indaga l'opera e trova risposte nell'ambito della non razionalità. Qui mi fermo perchè mi accorgo di entrare in un campo minato con Baleng che, come un cecchino, attende le proprie vittime. :lol:
 

kiappo

Forumer storico
Penso che, in buona parte, l'ambiguità sia nel cervello di chi osserva l'opera ...almeno in molti casi
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Ambiguo ha vari sinonimi, il significato è generalmente negativo quando si tratta di comportamento o di giudizio di persona. Nel caso di un'opera non necessariamente occorre vedere il termine con un sinonimo negativo. Dubbio, vago, sfuggente, inafferrabile, velato, enigmatico.
La questione non è solo sulla interpretazione visiva dell'immagine ("la tazza poggia o no sul tavolo") bensì della natura della tecnica che rappresenta la realtà e perfino della natura della realtà che si indaga.
Un esempio per la tecnica è quella dei divisionisti, il disegno e la campitura dell'opera non sono ben definite bensì realizzate con miriadi di puntini colorati che vanno visti nell'insieme da una certa distanza per rendere chiaro il messaggio dell'autore, in un certo senso si può dire che la stesura del colore e del tratto del disegno sono ambigui, ovvero non ben definiti.
Un esempio per la natura della realtà è Paul Klee, la cui filosofia sottesa alle opere è nelle sue parole "Tutta l'arte è un ritorno all'origine, è nell'oscurità, i suoi frammenti vivono sempre nell'artista". Un modo di cogliere la realtà sottesa.

Ma gli stessi autori futuristi non hanno con la tecnica del disegno un atteggiamento polivalente, ambiguo nel tratto per rendere il movimento della realtà, per rappresentare la velocità?
Se preferisci evitare il termine ambiguo per la sua natura genericamente negativa userei il termine multivalente (non ambivalente) perché l'ambiguità non oscilla solo tra A e B.
Ma scusa, allora esiste il termine indeterminatezza.
Insisto perché il linguaggio da solo poi scopre e fa scoprire i risultati e le realtà sottese.

Allora potrei ragionare se l'indeterminatezza in un quadro, per esempio, sia un valore. Nei divisionisti o nei futuristi mi pare che sia più che altro un mezzo. In Turner è piuttosto già anche un valore. Nei simbolisti l'indeterminatezza non riguarda più i mezzi pittorici, bensì il senso profondo della situazione rappresentata. A seconda che questa multivalenza :) riguardi la comprensione del disegno, della situazione o addirittura delle rappresentazioni simboliche (non parlo del simbolismo, bensì di lavori come quelli di Basquiat, con la corona, per esempio, o Haring, o di molti espressionisti) cambia la sua funzione, evidentemente.

Torno ai tuoi due esempi iniziali. Il sorriso della Gioconda riguarda il riconoscimento, non di qualcosa di materiale, come un libro o una pianta, ma di una espressione. Che rimane indeterminata, oscillando tra almeno due interpretazioni.
Nel taglio di Fontana rimane indeterminato se il rapporto tra esso e l'organo femminile sia voluto, casuale, suggerito o che altro. Ma questa è una domanda delle mille che lo spettatore può porsi, e se le pone perché con gli occhi non vede quasi nulla. Un taglio sulla tela. Nulla. Eh, ma chissà quante cose voleva dire, suggerire, esprimere. Vedi tu, a me sembra che ci si sia solipsisticizzati :rolleyes: (vabbè, menàti) abbastanza su questi punti. Perché appena si esce dall'opera e si vaga col cervello, tutto rimane possibile e dunque ambivalente, polivalente, mal determinato ...
 

HollyFabius

Nuovo forumer
Ma scusa, allora esiste il termine indeterminatezza.
Insisto perché il linguaggio da solo poi scopre e fa scoprire i risultati e le realtà sottese.

Allora potrei ragionare se l'indeterminatezza in un quadro, per esempio, sia un valore. Nei divisionisti o nei futuristi mi pare che sia più che altro un mezzo. In Turner è piuttosto già anche un valore. Nei simbolisti l'indeterminatezza non riguarda più i mezzi pittorici, bensì il senso profondo della situazione rappresentata. A seconda che questa multivalenza :) riguardi la comprensione del disegno, della situazione o addirittura delle rappresentazioni simboliche (non parlo del simbolismo, bensì di lavori come quelli di Basquiat, con la corona, per esempio, o Haring, o di molti espressionisti) cambia la sua funzione, evidentemente.

Torno ai tuoi due esempi iniziali. Il sorriso della Gioconda riguarda il riconoscimento, non di qualcosa di materiale, come un libro o una pianta, ma di una espressione. Che rimane indeterminata, oscillando tra almeno due interpretazioni.
Nel taglio di Fontana rimane indeterminato se il rapporto tra esso e l'organo femminile sia voluto, casuale, suggerito o che altro. Ma questa è una domanda delle mille che lo spettatore può porsi, e se le pone perché con gli occhi non vede quasi nulla. Un taglio sulla tela. Nulla. Eh, ma chissà quante cose voleva dire, suggerire, esprimere. Vedi tu, a me sembra che ci si sia solipsisticizzati :rolleyes: (vabbè, menàti) abbastanza su questi punti. Perché appena si esce dall'opera e si vaga col cervello, tutto rimane possibile e dunque ambivalente, polivalente, mal determinato ...

Non volevo farne una discussione sul significato delle parole, vanno bene tutti i termini con diverse sfumature.
L'accento alla vaghezza, indeterminatezza e tutti i termini similari era legato alla analisi della natura dell'Arte.
L'Arte nasce nel dominio della relazione tra uomini, nella zona di passaggio delle informazioni, sensazioni, emozioni e da ultimo concetti (e qui forse non sarai d'accordo).
Vivendo in quel dominio ha una doppia valenza, la prima di chi vuole trasmettere 'qualcosa', la seconda di chi riceve quel 'qualcosa'.
Chi riceve deve necessariamente interpretare e qui nasce la questione dell'interpretazione autentica che già abbiamo affrontato altre volte.
Una quota di polivalenza, di ambiguità di significati è, in questa analisi, parte della natura dell'Arte stessa.
Io credo che nel novecento la zona di polivalenza del messaggio artistico sia cresciuta, la zona ambigua si è accresciuta perché la determinatezza della rappresentazione ha perso di 'magia'. Questa perdita di magia è dovuta principalmente alla acquisita capacità, dell'uomo, di riprodurre l'immagine con i mezzi tecnologici.
Ecco che ho l'impressione che quando sia l'artista a celare nell'opera una polivalenza si possa probabilmente parlare di ambiguità (perché è volontariamente determinata dalla fonte) e -sempre in generale-, senza connotazioni negative mentre, quando l'artista ha un messaggio preciso in testa e chi legge interpreta, invece, con significati diversi, si può parlare di indeterminatezza, polivalenza o semplice incomprensione ed ignoranza di chi legge.
La polivalenza (indeterminatezza o ambiguità che dir si voglia) pare un elemento di disturbo. Se l'Arte è un corpus di produzione umana che cresce e si arricchisce di esperienze umane ecco che ciò che non è 'preciso ontologicamente' pone un problema di collocazione dell'artista all'interno del corpus complessivo. Tuttavia chi negherà che l'artista vive la sua visione della natura e dell'esistenza proprio nella diversità, nell'ambigua polivalenza dell'indeterminato?
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Non volevo farne una discussione sul significato delle parole, vanno bene tutti i termini con diverse sfumature.
Caro Fabius, qui vien fuori tutta la differenza, più che tra di noi, tra le nostre impostazioni. Tu hai una formazione diversa e vorresti passare "al sodo". Io pure vorrei, ma sono conscio che in una discussione l'esattezza dei termini non sia affatto solo un lusso superfluo, ma sia proprio il centro della faccenda.
Per esempio, quando si usa il termine povero, o felice, o irregolare, si sottintendono dei parametri che però magari si ignorano proprio. In tal modo la discussione perde rigore e rischia di divenire una chiacchiera.
L'accento alla vaghezza, indeterminatezza e tutti i termini similari era legato alla analisi della natura dell'Arte.
L'Arte nasce nel dominio della relazione tra uomini, nella zona di passaggio delle informazioni, sensazioni, emozioni e da ultimo concetti (e qui forse non sarai d'accordo).
Vivendo in quel dominio ha una doppia valenza, la prima di chi vuole trasmettere 'qualcosa', la seconda di chi riceve quel 'qualcosa'.
Chi riceve deve necessariamente interpretare e qui nasce la questione dell'interpretazione autentica che già abbiamo affrontato altre volte.
Una quota di polivalenza, di ambiguità di significati è, in questa analisi, parte della natura dell'Arte stessa.
Io credo che nel novecento la zona di polivalenza del messaggio artistico sia cresciuta, la zona ambigua si è accresciuta perché la determinatezza della rappresentazione ha perso di 'magia'. Questa perdita di magia è dovuta principalmente alla acquisita capacità, dell'uomo, di riprodurre l'immagine con i mezzi tecnologici.
Ecco che ho l'impressione che quando sia l'artista a celare nell'opera una polivalenza si possa probabilmente parlare di ambiguità (perché è volontariamente determinata dalla fonte) e -sempre in generale-, senza connotazioni negative mentre, quando l'artista ha un messaggio preciso in testa e chi legge interpreta, invece, con significati diversi, si può parlare di indeterminatezza, polivalenza o semplice incomprensione ed ignoranza di chi legge.
Certo l'artista non è responsabile delle carenze di chi guarda. E sono d'accordo sulle parole in grassetto. E in quelle in verde mi sembra tu ti dichiari d'accordo con me.
La polivalenza (indeterminatezza o ambiguità che dir si voglia) pare un elemento di disturbo. Se l'Arte è un corpus di produzione umana che cresce e si arricchisce di esperienze umane ecco che ciò che non è 'preciso ontologicamente' pone un problema di collocazione dell'artista all'interno del corpus complessivo. Tuttavia chi negherà che l'artista vive la sua visione della natura e dell'esistenza proprio nella diversità, nell'ambigua polivalenza dell'indeterminato?
Indeterminato oppure ricco di più aspetti, di più valori? Il moderno fumettista disegna donne più belle, mediamente, della Gioconda,ma, ovviamente, con meno ricchezza di valori. Tale pluralità di valori è colta soprattutto dagli spiriti più esercitati, ma l'artista farebbe male ad inibirsi dal metterceli per tema di non essere compreso o di essere frainteso.

Infine una domandina ... :cool:
Il termine vaghezza oggi indica soprattutto mancanza di precisione ("Accennò vagamente alla cosa", cioè pressappoco e senza approfondire), ma nei secoli passati fu sempre considerato un sinonimo di bellezza. (Per non parlare di "pungemi vaghezza" per "vorrei proprio", o di "Vaghe stelle dell'Orsa" ...). Non mi sono mai chiesto perché, ora me lo chiederò. E tu, come te lo spieghi?

Appendice, "Le ricordanze": testo e parafrasi - WeSchool
Nota che qui vaghe vien parafrasato (azione che equivale ad un mezzo omicidio, vabbè) con mirabili, cioè: qualcosa che si vede con imprecisione per la lontananza però è anche ricco di bellezza lo si chiama invece visibili con ammirazione

  1. Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
  2. tornare ancor per uso a contemplarvi
  3. sul paterno giardino scintillanti,
  4. e ragionar con voi dalle finestre
  5. di questo albergo ove abitai fanciullo,
  6. e delle gioie mie vidi la fine.
  7. Quante immagini un tempo, e quante fole
  8. creommi nel pensier l’aspetto vostro
  9. e delle luci a voi compagne! allora
  10. che, tacito, seduto in verde zolla,
  11. delle sere io solea passar gran parte
  12. mirando il cielo, ed ascoltando il canto
  13. della rana rimota alla campagna! ... ... ...
  1. O mirabili stelle dell’Orsa, io non pensavo proprio
  2. che, come una volta, sarei tornato a contemplarvi
  3. splendenti sul giardino di casa mia,
  4. e che sarei tornato a disquisire con voi
  5. dalle finestre della casa dove vissi da fanciullo
  6. e dove vidi la fine della mia felicità.
  7. Un tempo, quante immagini e quante illusioni
  8. mi creò nella mente il vostro aspetto e le stelle
  9. vicine a voi! quando, silenzioso,
  10. seduto in mezzo a un prato verde,
  11. io ero solito passare gran parte delle mie serate
  12. contemplando il cielo, e porgendo orecchio
  13. al canto della rana lontana nei campi!
 
Ultima modifica:

HollyFabius

Nuovo forumer
Caro Fabius, qui vien fuori tutta la differenza, più che tra di noi, tra le nostre impostazioni. Tu hai una formazione diversa e vorresti passare "al sodo". Io pure vorrei, ma sono conscio che in una discussione l'esattezza dei termini non sia affatto solo un lusso superfluo, ma sia proprio il centro della faccenda.
Per esempio, quando si usa il termine povero, o felice, o irregolare, si sottintendono dei parametri che però magari si ignorano proprio. In tal modo la discussione perde rigore e rischia di divenire una chiacchiera.
Certo l'artista non è responsabile delle carenze di chi guarda. E sono d'accordo sulle parole in grassetto. E in quelle in verde mi sembra tu ti dichiari d'accordo con me. Indeterminato oppure ricco di più aspetti, di più valori? Il moderno fumettista disegna donne più belle, mediamente, della Gioconda,ma, ovviamente, con meno ricchezza di valori. Tale pluralità di valori è colta soprattutto dagli spiriti più esercitati, ma l'artista farebbe male ad inibirsi dal metterceli per tema di non essere compreso o di essere frainteso.

Infine una domandina ... :cool:
Il termine vaghezza oggi indica soprattutto mancanza di precisione ("Accennò vagamente alla cosa", cioè pressappoco e senza approfondire), ma nei secoli passati fu sempre considerato un sinonimo di bellezza. (Per non parlare di "pungemi vaghezza" per "vorrei proprio", o di "Vaghe stelle dell'Orsa" ...). Non mi sono mai chiesto perché, ora me lo chiederò. E tu, come te lo spieghi?

Appendice, "Le ricordanze": testo e parafrasi - WeSchool
Nota che qui vaghe vien parafrasato (azione che equivale ad un mezzo omicidio, vabbè) con mirabili, cioè: qualcosa che si vede con imprecisione per la lontananza però è anche ricco di bellezza lo si chiama invece visibili con ammirazione

Gino, non ti capisco. Le parole hanno un significato che nel tempo può cambiare, sono solo un mezzo per la trasmissione da uomo a uomo di sentimenti, emozioni, idee.
E' per questo che, in caso di incomprensione, per spiegarsi di arricchiscono i termini con dei discorsi in modo da chiarificare il senso nel quale il termine stesso viene usato. Se al posto di ambiguità che poi abbiamo cambiato con indeterminato, multi-significato e ora vaghezza avessi usato un neologismo, per esempio "ambagére" il senso della domanda iniziale non sarebbe diverso, e non credo che avrei usato poi più parole per spiegare cosa avevo in mente con la domanda.
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Gino, non ti capisco. Le parole hanno un significato che nel tempo può cambiare, sono solo un mezzo per la trasmissione da uomo a uomo di sentimenti, emozioni, idee.
E' per questo che, in caso di incomprensione, per spiegarsi di arricchiscono i termini con dei discorsi in modo da chiarificare il senso nel quale il termine stesso viene usato. Se al posto di ambiguità che poi abbiamo cambiato con indeterminato, multi-significato e ora vaghezza avessi usato un neologismo, per esempio "ambagére" il senso della domanda iniziale non sarebbe diverso, e non credo che avrei usato poi più parole per spiegare cosa avevo in mente con la domanda.
Allora ti chiedo, se lo vuoi fare, uno sforzo. Piccolo. Poi continuiamo la discussione, anche con chi vorrà intervenire.
Breve: si può vagare (NB: non c'entra ora con "vago" come bello, è solo casuale) per i campi oppure errare per i campi. Sono sinonimi, ma, attenzione, praticamente non esistono due parole con lo stesso identico significato. Certo, vagare ed errare si somigliano molto. Però - e qui ti risparmio la ricerca - quando si vaga lo si fa entro uno spazio (delimitato, più o meno, può anche essere l'universo, ma è sempre dentro che ci si muove). Quando si erra si va anche fuori di quello spazio, o meglio, non ci si sente "dentro" qualche spazio. Mi dirai: ma vagare per l'universo, ok, però errare per l'universo non è la stessa cosa? No, perché nel secondo caso (estremo) manca il concetto sottinteso di "dentro". Se però uno gira per le stanze del castello sperduto o per la città fantasma, vedi che sta vagando, molto meglio che errando, e comunque sono due azioni che, dentro il cervello, sono diverse.
E' questo il punto.
Se devo discutere di ambiguità, so che il termine implica una doppia (ambi) interpretazione possibile. Che può essere nelle intenzioni dell'autore ovvero nella lettura dello spettatore. O anche in ambedue.
Poi abbiamo chiarito che in arte l'interpretazione possibile è il più delle volte multipla, non bivalente. Per esempio, i tagli di Fontana somiglieranno anche alla patata, però magari possono far pensare a molte altre cose, per analogia formale, ma anche funzionale. Per esempio, uno ci può spiare attraverso, oppure si pensa a una tenda rotta, un vestito strappato, un fuso. O anche ad una azione violenta analoga, ad un coltello ecc.
Io poi ho detto che un vero artista mette nell'opera dei "valori" a vari livelli, per esempio bella pennellata, bei colori, soggetto elegante, effetti inconsci o surreali ... La presenza di questi valori non è ambiguità, però è multisemantica. Di DePisis uno apprezzerà i colori, un altro il tocco, un terzo il soggetto. Lui non ci ha "detto" quale sia la vera scala di importanza.

Ora, perché una volta vago significava soprattutto bello, ed era collegato con il desiderio (v. oggi vagheggiare) ? Conteneva già in nuce il senso di "impreciso"? E che realzione c'è tra i due significati?
Chi vaga si muove, cerca, va in giro. Quindi il rapporto tra i due termini si basa sull' "andare in cerca". Ora lo sappiamo.

Perché tutta questa pappardella? Perché tu chiedi questo
L'ambiguità non è origine della multi-significatività, uno degli strumenti retorici usati dalla critica?
Offrire piani diversi di lettura di un'opera non è una naturale ambiguità?
Ma un altro tema collegato è come si sposi l'ambiguità nella lettura con i reali intenti dell'autore
ma dovresti fare esempi concreti, perché i termini sono ... ambigui :ombrello:


PS e ora sappiamo anche che le stelle dell'Orsa sono vaghe nel senso che muovono anche un desiderio nell'animo (ecco la grandezza di Leopardi nello scegliere le parole), non solo una visione (de-siderio, qualcosa che viene dalle stelle, de- sideris) ok ok smetto :melo:
 
Ultima modifica:

Users who are viewing this thread

Alto