4°LE SCALATE.......FAZIO-SE !!!!!!!!!!!!!!! (1 Viewer)

SINIBALDO

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Pierluigi Bersani, ministro di D’Alema all’epoca della scalata Telecom da parte della "rude razza padana" (riunita attorno al finanziere bresciano Chicco Gnutti), ha dichiarato che è un "ragionamento preistorico"

affermare di vedere lo zampino della "finanza rossa" dietro le operazioni in corso, solo perché "fra i player c’è una cooperativa": perché è una cooperativa che "agisce sul mercato nel modo che ritiene più appropriato, senza chiedere il permesso a nessuno".

Bene. Benissimo.

Ma allora come mai i banchieri "rossi" o considerati "dalemiani" (Giovanni Consorte, Vincenzo De Bustis) agiscono liberamente sul mercato, mentre invece chi li critica è certamente eterodiretto, parte di un complotto?

"E che dubbio c’è? Non siamo mica nati ieri", ha dichiarato infatti D’Alema.

"Conosciamo i salotti e le persone che contribuiscono a tutto questo". Non si fanno nomi, ma si può ipotizzare che il complotto sia stato architettato sull’asse Montezemolo-Della Valle-Rutelli.

O forse i salotti evocati sono quelli di Giuliano Amato e Franco Bassanini? Il tutto con la compiacenza, evidentemente, del Corriere della sera, forse del Sole 24 ore. Ma questo tracciar complotti non è un "ragionamento preistorico"?

Allora forse è meglio lasciarli stare, i complotti, da una parte e dall’altra. E ragionare serenamente sul solo materiale che abbiamo a disposizione, per ora: gli indizi, i rapporti, le alleanze.

1. È vero che nelle diverse partite in corso c’è, schierato a geometria variabile, un composito gruppo che riunisce soggetti diversi.

Banchieri di provincia che stanno tentando l’estremo azzardo, la mano di poker da cui dipende la loro vita o la loro morte.

Finanzieri della "rude razza padana", anch’essi un po’ in affanno dopo il colpo grosso della scalata Telecom che non ha avuto repliche.

Oscuri immobilieri della "rude razza romana" di cui si conosce più la vita privata che il curriculum professionale.

Insomma, tanto per non far nomi, Gianpiero Fiorani della Popolare di Lodi, Chicco Gnutti con la sua Hopa e Stefano Ricucci, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto.

Il tutto, sotto l’incredibile ala di colui che dovrebbe essere l’arbitro della partita, e invece fa il giocatore e il padrino:

il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio.


2. È vero che una parte di questi player sono variamente legati alla cosiddetta finanza rossa.

Sarà anche "preistorico" dirlo, ma così è.

Tanto che dentro alla finanza rossa medesima si sta oggi combattendo una guerra silenziosa in cui alcuni (per esempio Pierluigi Fabrizi del Monte

dei Paschi, o Turiddo Campaini di Unicoop) stanno differenziando i loro comportamenti e non stravedono certo per le avventure finanziarie del boss di Unipol Giovanni Consorte.

E tanto che perfino la stessa Unipol sta lentamente cambiando la sua architettura di controllo e il suo sistema delle alleanze:

meno scatole cinesi e partecipazioni incrociate, più separazione dai capitali di Chicco Gnutti.

3. È vero, infine, che questa "finanza rossa" – come dimostrato dalle dichiarazioni di questi giorni – ama i lanzichenecchi, subisce il fascino degli animal spirits della nuova razza mattona.

Non è in questione soltanto l’indicazione del puparo di Ricucci

(Se c’è. E se Ricucci, spalleggiato dai suoi amici lodigiani e bresciani, non gioca in proprio, con l’aiuto di uno stratega vero, magari made in Lodi, e con la speranza di vendere, al momento buono, al miglior offerente).

Ma si potrà pur ragionare sulle frequentazioni, le alleanze, i metodi e le subalternità culturali di una parte della sinistra?

D’accordo, nessuno crede alla favola del vecchio Capitalismo Sano, delle Grandi Famiglie, dei Salotti Buoni.

Non è però un buon motivo per buttarsi nelle braccia dei nuovi avventurieri.

Non viviamo in Svezia, da noi in genere gli outsider si sono fatti spazio con i soldi – non è trendy dirlo, ma è così – della mafia.

E anche senza andare tanto in basso, gli attuali protagonisti (almeno quelli che si vedono, per gli altri chissà) sono oggi sotto indagine per una fila di comportamenti contro il mercato

che farebbe impallidire qualunque finanziere di un normale Paese d’Europa o d’America: aggiotaggio, insider trading, finanziamenti a rischio concessi agli amici e agli amici degli amici, false comunicazioni al mercato e alle autorità di vigilanza, creazione di un patto di sindacato occulto...

È questo il modello che piace tanto?

Un vecchio leader del Pci siciliano, Michelangelo Russo, mentre attorno a lui crescevano gli affari di Cosa nostra e chi si opponeva veniva ammazzato, diceva che "non si può fare le analisi del sangue alle imprese".

Più recentemente, un altro leader comunista, Emanuele Macaluso, spiegava che non c’è motivo di stupirsi se uomini come Giulio Andreotti o Silvio Berlusconi hanno avuto rapporti o hanno fatto affari con la mafia.

E chi si stupisce, ormai, se il Teatro Lirico a Milano sarà gestito dal senatore Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno a Cosa nostra?

Bruno Tabacci, uomo che di politica e finanza se ne intende, ribadisce che "la politica non conta più un piffero".

Che ormai non crede alla politica che guida la finanza: semmai è il contrario.

Appunto: non è che sta succedendo questo anche a sinistra?



Attenzione, però: anche chi, dall’altra (?) parte, lancia lodi ad altri soggetti in campo, non fa certo un bel servizio alla politica.

Così Francesco Rutelli, quando dichiara al Corriere, il 10 giugno, che "Francesco Gaetano Caltagirone è un imprenditore. Anzi, un grande imprenditore", cancella in un attimo tutte le cose belle declamate fino a quel momnento.

Nulla contro il Calta, per carità, ma "la politica dovrebbe preoccuparsi solo delle regole e della trasparenza", commenta Tabacci.

Che poi aggiunge: "Qui non abbiamo più arbitri, solo tifosi. E penso anche al governatore di Bankitalia".

Intanto, nell’ultima settimana, agli indizi se ne sono aggiunti altri.

Che però peggiorano la situazione. Per esempio: Ricucci sarebbe meno ricco e meno pulito di quello che vuol far credere.

E accanto al suo gioco piccolo si è ormai avviato il gioco grande della finanza internazionale, con la discesa in campo, per la conquista di

Mediobanca e Generali, di finanzieri come Tarak ben Ammar, grande alleato e amico di Silvio Berlusconi.

Ecco dove porta il gioco degli apprendisti stregoni, commenta un finanziere milanese. Evocano forze più grandi di loro e finiranno per esserne stritolati. A meno che il nuovo arrivato, alla fine, non si ricordi, grato, di loro.

Pista siciliana.

Ricucci? "Panna montata", ha dichiarato Carlo De Benedetti a Venezia, in margine a un convegno della Fondazione Cini.

Un vero "maestro del bluff", secondo Claudio Gatti del Sole 24 ore.


Dichiarazione dei redditi 1995 (a 32 anni, mica a 18): 5 milioni di lire. Poco, per un grande immobiliarista già in affari. Anche oggi, conti alla mano, il patrimonio di oltre 2 miliardi di euro si smagrisce parecchio, malgrado le repliche di Ricucci.

Le valutazioni degli immobili risultano gonfiate. Le acquisizioni sono spesso complicate operazioni ricche di contratti di leasing e d’interventi bancari, ma povere di soldi veri.

Le banche sono la vera bacchetta magica di "er sola". Ma non tutte le banche: alcune, come Credito italiano e Cariplo, lo depennano dall’elenco dei clienti perché non si fidano di lui;

altre, come la Banca agricola mantovana e poi la Popolare di Lodi, invece lo gonfiano di soldi e stanno dietro alle sue operazioni.

Quanto alla fedina penale, non è brillante. Quella che Ricucci ha inviato al Sole 24 ore è candida come la neve, ma è quella per usi amministrativi.

Quella per usi di giustizia, invece, scovata da Claudio Gatti, racconta di due pazienti che denunciarono l’odontotecnico Ricucci per truffa (nel 1986) e per esercizio abusivo della professione dentistica (nel 1988).

Sostenendo che, dopo essersi presentato come dentista, aveva sbagliato intervento: una sua iniezione aveva provocato una "semi-paresi dell’occhio sinistro, della guancia e del collo".

Storie vecchie, cancellate dall’amnistia del 1989.

Più imbarazzante una vicenda del 2002: Ricucci è stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale.

Processo, patteggiamento per quattro mesi di detenzione, pena sospesa.

Ma le storie più preoccupanti vengono dalla Sicilia.

Uno degli uomini di fiducia di Ricucci è Guglielmo Fransoni, avvocato quarantenne: è il tributarista che presenta la sua faccia quando c’è da trattare con le banche.

Fransoni opera a Roma; insegna Diritto tributario all’università di Foggia, in Puglia; è nato a Vibo Valentia, in Calabria. Però gli affari lo portano spesso a Messina. Tanto che nel 1997, scrivono Peter Gomez e Vittorio Malagutti sull’Espresso, nella città siciliana Fransoni è stato denunciato per riciclaggio.

Colpa di alcune società domiciliate nel suo studio, tra cui la Telecom Sicilia spa, e di un suo cliente, Giuseppe Cuminale, che nel 2003 stava per essere arrestato dalla procura antimafia.

La Cassazione bloccò il provvedimento, ma confermò la gravità degli indizi raccolti. Il metodo era ottenere sostanziosi appalti da Telecom Italia per la posa di cavi, far fallire le società che avevano ottenuto gli appalti, far sparire i soldi degli appalti

(con un vorticoso giro di denaro e opere d’arte) grazie all’aiuto di uomini di Messina e di Barcellona Pozzo di Gotto considerati dagli investigatori legati a Cosa nostra.

Oggi Fransoni si occupa di tutt’altro. È nel consiglio d’amministrazione di Magiste International, la holding di Ricucci domiciliata in Lussemburgo.

Ed è stato fermato al valico di Chiasso, il 21 febbraio scorso, dal Nucleo valutario della Guardia di finanza: nella Mercedes su cui viaggiava in compagnia di un altro uomo di Ricucci, Luigi Gargiulo, c’erano preziosi documenti finanziari su società offshore e operazioni riservate.

Stavano prendendo la strada dell’estero e invece ora sono al vaglio dei magistrati di Milano Giulia Perrotti ed Eugenio Fusco.

Assalto alla cassaforte. La faccenda intanto si è estesa. Dopo la scalata Rcs, si sono palesati movimenti su Mediobanca e Generali.

È davvero iniziato il grande assalto al cuore del (debole) capitalismo italiano.

Ma se gli eventuali protagonisti dietro Ricucci e i suoi amici sono invisibili nel blitz sul Corriere, quelli che stanno comprando titoli Mediobanca e Generali sono imprendibili.

"Non capiamo che cosa sta succedendo", confessa un grande banchiere del Nord. "Non vedo una strategia, da nessuna parte. Forse ci sono solo movimenti opportunisti, nel senso che uno o più soggetti si stanno muovendo cogliendo le opportunità che si presentano, senza un vero piano".

Ha smentito con decisione di essere dietro a qualunque operazione su Mediobanca e Generali Vincent Bollorè, socio francese della banca d’affari che fu guidata da Enrico Cuccia.

"Io non vedo nessun attacco", ha dichiarato anche l’altro grande sospettato, Tarak ben Ammar. Il finanziere franco-tunisino è al centro di una complessa rete di rapporti che tiene insieme George Bush e i capitali arabi, Rupert Murdoch e Silvio Berlusconi.

Fu Tarak, la sera del 24 novembre 1995, che tirò fuori dai guai l’amico Silvio.

Con un’intervista al Tg5 di Enrico Mentana in cui dichiarò che i 15 miliardi di lire versati su conti esteri da Berlusconi erano pagamenti di diritti televisivi all’estero.

Era una balla: risulterà che erano la più grande tangente mai pagata in Italia a un singolo uomo politico, Bettino Craxi.

Si può credere a quest’uomo?
(G.B.)
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(Continua)

SINIBALDO
 

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