2015 (1 Viewer)

mariougo

Forumer storico
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Focus: gli europei comprano di nuovo più autovetture


La congiuntura industriale globale si batte con venti contrari.
Soprattutto nelle due più grandi economie la dinamica si è notevolmente
indebolita. In Cina, le massicce misure di stimolo
della politica negli anni dopo lo scoppio della crisi finanziaria
hanno contribuito temporaneamente ancora una volta a un
nuovo forte aumento dell'economia, il che tuttavia non è stato
duraturo. Gli elevati esuberi di capacità e il cambiamento del
modello di crescita cinese voluto dal governo, inteso a ridurre
gli eccessivi investimenti industriali, determinano ora una correzione.
Negli Stati Uniti l'industria ha perso già da molto
tempo la sua importanza. Negli ultimi anni, il boom nell'industria
petrolifera ha fornito tuttavia di nuovo una spinta al settore,
fino a quando il prezzo del petrolio era a un livello elevato.
Dal crollo dei prezzi dalla metà dell'anno scorso, l'impulso
del settore dell'energia è passato però in negativo e la
fiducia nell'industria manifatturiera è complessivamente penalizzata.
Solo nell'Eurozona, l'industria rimane resistente. Per ottobre, i
sondaggi tra le imprese hanno mostrato un quadro della fiducia
sempre robusto. Il livello dell'indice dei responsabili degli
acquisti è solo di poco sotto il massimo ciclico di giugno. E anche
lo scandalo dei gas di scarico della VW sembra non preoccupare
le imprese. I dettagli settoriali del sondaggio congiunturale
tedesco Ifo non indicano all'inizio del quarto trimestre
effetti negativi per l'importante settore automobilistico. Di recente,
le case automobilistiche e i fornitori hanno addirittura
rivisto al rialzo le loro previsioni e comunicano un miglioramento
della situazione degli ordinativi.
Ma l'industria europea può veramente sgancarsi dalla tendenza
negativa in altre regioni? Naturalmente non del tutto.
Negli ultimi anni, il mercato cinese è stato non da ultimo per
l'industria automobilistica europea il principale fattore di crescita.
Dopo la fortissima crescita negli anni precedenti, il numero
delle vendite di auto in Cina nei primi tre trimestri del
2015 è quasi stagnante, rispetto all'anno precedente. L'arresto
del fattore trainante Cina può tuttavia proprio al momento giusto
essere compensato da una ripresa della domanda in Europa.
La domanda di autovetture nell'Eurozona è crollata in
seguito alla crisi finanziaria e del debito. I premi di rottamazione
2009/10 hanno determinato solo una breve distensione. In Spagna, al culmine della crisi le immatricolazioni
erano oltre il 60% sotto il livello precedente alla crisi, in
Grecia addirittura l'80%. In Germania e in Svizzera è stato invece
evitato un crollo a seguito della ripresa relativamente rapida
e della stabile condizione sul mercato del lavoro. E proprio
una ripresa sul mercato del lavoro nei paesi della crisi del debito
europei, assieme alla riduzione delle misure di risparmio
statali e alla bassa inflazione, favorisce ora di nuovo la ripresa
della domanda interna.
Ciò si riflette nei dati delle immatricolazioni di autovetture. L'Italia
e la Spagna sono ora in testa. Nei primi tre trimestri, le
immatricolazioni spagnole sono aumentate quasi del 25% rispetto
all'anno precedente – il che corrisponde quasi ai tassi di
crescita cinesi di un tempo. Inoltre, per esempio anche la domanda
negli Stati Uniti si mostra solida nonostante la debole
industria, a seguito della buona situazione del mercato del lavoro.
Con la ripresa della domanda interna e del connesso effetto
stabilizzante sull'industria, nel terzo trimestre l'Eurozona dovrebbe
aver mantenuto la velocità di ripresa non esaltante ma
robusta del primo semestre. E anche per l'ultimo trimestre i
dati sulla fiducia indicano finora un quadro invariato.
 

mariougo

Forumer storico
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Lo scorso fine settimana l'FMI ha
tenuto la sua Conferenza annuale
di ricerca dal titolo «Unconventional
Monetary and Exchange
Rate Policy». Normalmente
non si tratterebbe di una grande
notizia, se in modo subliminale
non fosse nuovamente comparso
l'elicottero. L'elicottero è
sinonimo di ampliamento del
margine di azione della politica
monetaria, ritenuto necessario poiché con l'eterna
espansione della massa monetaria si cade nella trappola
della liquidità. Detto in modo più semplice, in economia
c'è chi ritiene giusto che la banche centrali mettano il
denaro direttamente a disposizione delle famiglie e degli
stati. Ma a che scopo? È chiaro, si tratta della crescita.
Regime fiscale
È indubbiamente giusto. L'enorme quantità di denaro
che viene iniettata nei mercati finanziari non giunge dove
in realtà dovrebbe, ovvero nell'economia reale. Ma da
qui a trarre la conclusione che si dovrebbe ora consentire
agli stati di usare l'aiuto monetario per rimettere nuovamente
in sesto i deficit dei bilanci pubblici è alquanto
ardito e in realtà si può spiegare solo così: crescita a
qualunque costo. I tempi d'oro della politica fiscale come
principale strumento della politica congiunturale fanno
da tempo parte del passato. Manca ancora la prova che
le misure attive di politica fiscale abbiano davvero sortito
gli effetti desiderati. L'unico risultato sicuro dei decenni
di sperimentazione sulla politica fiscale sono state quote
di indebitamento dei paesi industriali molto superiori.
Regime monetario
Da circa 20 anni non sono stati tanto i cicli congiunturali,
comunque compensati dalla globalizzazione, a penalizzare
l'economia, ma piuttosto le crisi finanziarie (dei mercati
finanziari). La più recente ha addirittura trascinato il
mondo intero nella recessione. E cosi come nell'ottobre
1987 l'allora capo della Banca nazionale statunitense
Alan Greenspan «spense» il crollo in borsa con un'inondazione
di denaro, così fanno da allora, ancora oggi, i
banchieri centrali, e in modo ancor più esagerato. Fedelmente
al motto: «posso tranquillamente indebolire la
mia valuta fintanto che non dico di volerlo fare», non
abbiamo avuto né abbiamo di recente ufficialmente alcuna
guerra valutaria. Quantitative easing fa parte oggi
del repertorio standard di tutti i banchieri centrali, pur
non essendo praticamente stata valutata la prova della
sua efficacia. Per non parlare degli effetti collaterali. L'ovvietà
con cui oggi i responsabili della politica monetaria
operano, inventando sempre nuove misure, si fonda sulla
consapevolezza di avere il monopolio del potere. E questo
nel medio termine diventa spiacevole. È ormai da
molto tempo che le banche centrali fungono da supporto
alla lotta basata sui debiti per ottenere una qualche crescita
nelle economie sature. Conducono una battaglia
paradossale contro una deflazione buona, ma da esse
valutata come pericolosa, e praticano direttamente o
indirettamente già oggi una specie di finanziamento
statale, che però non si può né vuole chiamare così. L'elicottero
scaturisce dalla speranza, piuttosto che dalla
certezza, che oggi con una fatica immensa si possa avviare
un meccanismo di crescita che in futuro prometta non
solo un raccolto maturo ma anche il pagamento dei debiti.
Ma alla fine non si tratta di altro che continuare semplicemente
a sostenere la crescita facendo debiti, con un
risultato sicuro: ancora più debiti.
Missione compiuta
Quali indiscusse salvatrici del mondo, allo scoppio della
crisi finanziaria, le banche centrali avevano attuato un
lodevole intervento, preservando il mondo, alla fine del
2008, da una grave recessione. Purtroppo non sono
riuscite a smettere. E ora corrono il rischio che lo splendore
acquisito impallidisca. Ieri la borsa in America ha
vissuto un nuovo attacco di panico sul fronte dei tassi,
trascinando in basso anche i mercati europei nelle negoziazioni
di fine giornata, anche se in Europa un'inversione
dei tassi è ritenuta assolutamente impensabile. Sarebbe
opportuno che la signora Yellen ignorasse anche ulteriori
attacchi di panico e che in dicembre intervenisse sul fronte
dei tassi. Questo sarebbe un segnale positivo da parte
della donna più importante del mondo: «Guardate, non
abbiamo bisogno di elicotteri di salvataggio, poiché il
nostro compito è finito». La piccola inversione dei tassi
potrebbe così alla fine diventare la notizia liberatoria per
i mercati


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mariougo

Forumer storico
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Focus: EUR/USD non dovrebbe scendere ulteriormente
Le previsioni sui tassi sui due lati dell'Atlantico tendono verso
direzioni differenti dalla metà del 2014. Dopo che la Banca
centrale statunitense a dicembre 2013 aveva cominciato con
la graduale riduzione degli acquisti di obbligazioni, pochi mesi
più tardi era chiaro che in considerazione della congiuntura
sempre robusta dopo la fine del programma QE sarebbe venuto
il turno di un aumento dei tassi. Nell'Eurozona, invece, a
causa dei timori di deflazione non si poteva certo parlare di
una politica monetaria più restrittiva. Al contrario: come la Fed
negli anni precedenti, anche la BCE ha adottato misure non
convenzionali. A giugno 2014 ha introdotto il tasso negativo.
Poco dopo, il Presidente della BCE Draghi ha prospettato un
programma di acquisti di titoli, che sei mesi dopo è stato anche
realizzato.
La divergente politica monetaria ha dato un duro colpo alla
moneta comune europea. L'EUR/USD si è indebolito da maggio
2014 a marzo 2015 da 1.40 al minimo degli ultimi 12 anni
di 1.05. Successivamente, l'euro ha recuperato di nuovo leggermente.
Da un lato perché le previsioni di aumenti dei tassi
negli Stati Uniti si sono dimostrate troppo premature. Dall'altro
lato la congiuntura dell'Eurozona ha accelerato. Nel frattempo
l'EUR/USD viene però scambiato di nuovo vicino al minimo di
marzo. Il motivo sono le previsioni sui tassi di nuovo molto divergenti.
Negli Stati Uniti, nel frattempo un imminente aumento
dei tassi è molto probabile. Il mercato del lavoro sembra
sopportare bene il rallentamento della crescita nel settore industriale
e delle esportazioni. Se le preoccupazioni per l'economia
mondiale e per l'industria americana non dovessero intensificarsi
di nuovo, durante la sua riunione di dicembre la Fed
dovrebbe prendere seriamente in considerazione un aumento
dei tassi. La BCE, a sua volta, ritiene molto più forti i rischi
esterni per la congiuntura dell'Eurozona e per il raggiungimento
dell'obiettivo inflazionistico a medio termine. Essa conferma
quindi la propria disponibilità ad allentare ulteriormente
la politica monetaria. Perfino un più alto tasso negativo era
stato tirato in ballo come misura potenziale. La BCE vuole un
euro debole e a dicembre dovrà agire per non deludere i mercati.

Lasciamo invariate le nostre previsioni a 3 mesi (si veda grafico)
per i tassi di cambio. Prevediamo ancora un rapporto EUR/USD
a 1.13. Alla fine dell'anno vediamo ancora potenziale rialzista,
poiché un aumento dei tassi USA a dicembre non è affatto sicuro.
La recente rivalutazione del dollaro ha inasprito ancora
una volta le condizioni monetarie e ciò potrebbe indurre la Fed
ad aspettare fino a marzo. Inoltre, un ampliamento limitato
degli acquisti di obbligazioni da parte della BCE, senza un maggiore
tasso negativo, non dovrebbe portare alcuna ulteriore
forte spinta ribassista per l'euro. L'ulteriore allentamento della
politica monetaria dovrebbe essere già riflesso in gran parte
nel tasso di cambio.
Anche per il rapporto EUR/CHF non effettuiamo alcuna modifica
e lasciamo a 1.09 la previsione a 3 mesi. Diversamente
dall'EUR/USD, ultimamente il franco svizzero non si è quasi
mosso. Rispetto alla fine dell'anno scorso, finora le previsioni
di ulteriori misure della BCE non hanno determinato una maggiore
pressione rialzista sul franco. Anche i dati settimanali stabili
per i depositi a vista presso la BNS non indicano nuovi interventi
sul mercato delle divise. Il Presidente della BNS, Jordan,
ha confermato che osserverà attentamente gli effetti della
politica monetaria della BCE e se del caso reagirà. Se tuttavia
la BCE all'inizio di dicembre non diminuirà inaspettatamente il
tasso sui depositi, la pressione sull'EUR/CHF dovrebbe rimanere
limitata.
La differenza delle previsioni sui tassi tra gli Stati Uniti e l'Eurozona
rimane però grande. Ciò impedisce una forte ripresa
dell'euro. Sul periodo di 12 mesi ci aspettiamo pertanto un rapporto
EUR/USD a 1.15 invece di 1.19. Tra la BCE e la Banca
nazionale svizzera le differenze nella politica monetaria sono
invece minori. Ambedue adottano una politica molto espansiva.
Riteniamo quindi ancora a portata di mano la nostra previsione
annuale per l'EUR/CHF di 1.14. Un'accelerazione della
congiuntura dell'Eurozona è poco probabile in considerazione
del calo della domanda dei paesi emergenti. In linea di massima,
l'espansione dovrebbe però continuare. Il basso prezzo
del petrolio e la debole valuta continuano a supportare la congiuntura.
Inoltre mancano sempre indicazioni convincenti di un
forte rallentamento dell'economia cinese. Fino a quando questa
situazione non cambierà e l'elevato indebitamento di alcuni
membri dell'Eurozona non ritornerà al centro dell'attenzione
dei mercati, il CHF dovrebbe essere risparmiato
da afflussi verso un porto sicuro
 

mariougo

Forumer storico
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Un aumento dei tassi da parte della Banca centrale USA durante
la sua valutazione della situazione il 16 dicembre non sarebbe
una sorpresa. Ciò è stato confermato dal verbale dell'ultima riunione
della Fed di ottobre, in cui si afferma che la maggior parte
dei membri del Comitato del mercato aperto ritiene possibile un
aumento dei tassi a dicembre, se le prospettive di crescita e inflazionistiche
a medio termine non peggioreranno. A nostro avviso,
un aumento dei tassi alla fine dell'anno non è però affatto
certo. In primo luogo alla Fed interessa probabilmente tenere
aperte tutte le opzioni per la prossima valutazione della situazione.
Infatti, prima dell'ultima riunione della Fed il consenso di
mercato ha attribuito a un aumento dei tassi a dicembre solo
una bassa probabilità. Continuiamo a prevedere l'inversione dei
tassi solo a marzo. Alcuni banchieri centrali ritengono sempre
elevato il rischio di un raffreddamento congiunturale. E queste
preoccupazioni potrebbero intensificarsi di nuovo, se la recente
forte rivalutazione del dollaro dovesse far scendere sotto l'importante
livello di 50 l'indice dei responsabili degli acquisti statunitensi
per l'industria manifatturiera, previsto fra due settimane.
In un modo o nell'altro, in considerazione della moderata
pressione salariale i banchieri centrali hanno ancora confermato
di voler aumentare i tassi solo lentamente nei prossimi mesi. Il
consenso di mercato prevede sempre entro la fine del prossimo
anno solo due o tre aumenti dei tassi di 25 punti base ciascuno.
Non prevediamo quindi che l'imminente inversione dei tassi determinerà
una forte correzione delle azioni
La decisione della Banca centrale statunitense di aumentare i
tassi il 16 dicembre o di attendere ancora dipende anche
dall'entità dell'allentamento della politica monetaria del 3 dicembre
da parte della Banca centrale europea. Ulteriori misure
sono ritenute nel frattempo molto probabili. Questa settimana
le dichiarazioni allarmanti dei banchieri centrali non sono cambiate,
neanche dopo i dati sull'inflazione, leggermente superiori
alle previsioni. L'economista capo della BCE, Peter Praet, ha sottolineato
ancora una volta i rischi per le prospettive congiunturali
e inflazionistiche e ha confermato la disponibilità ad agire
della BCE. Anche i dati sulla fiducia per novembre, previsti la
prossima settimana, non dovrebbero influenzare le dichiarazioni
della BCE, anche se gli indici dei responsabili degli acquisti
e della fiducia delle imprese dovessero addirittura aumentare
ancora grazie al recente indebolimento dell'euro. A dicembre la
BCE dovrà agire per non deludere i mercati. Si pensa a una proroga
o un ampliamento degli acquisti di obbligazioni. Nel frattempo,
sui mercati dei tassi è riflessa anche un'ulteriore leggera
riduzione di 10 punti base del tasso dei depositi già negativo.
Se la BCE dovesse superare le aspettative dei mercati, l'EUR/USD
dovrebbe trovarsi ancora sotto pressione, il che sarebbe un motivo
in più per la Banca centrale USA per rimandare ancora l'aumento
dei tassi
 

mariougo

Forumer storico
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I mercati sono abituati a convivere
con uno stato di emergenza
permanente. Lo fanno fin dall'inizio
della crisi finanziaria registrando
tuttavia un boom. Infatti
dal fallimento Lehman hanno
trovato nelle banche centrali dei
fedeli compagni di viaggio che si
preoccupano di rimuovere qualsiasi
ostacolo lungo il loro percorso.
Il brusco cambio di paradigma
introdotto dalla Banca nazionale svizzera il 15
gennaio 2015 non è altro che l'eccezione che conferma
la regola. Per il resto, dei banchieri centrali ci si può fidare.

La scorsa settimana il CAC 40, l'indice borsistico francese,
è aumentato del 2.1%. L'indice belga BEL 20 a Bruxelles
è salito del 2.8%, il DAX del 3.8% e l'SMI del 3.0%. Una
settimana piuttosto buona per le borse europee, visti i
cruenti attacchi terroristici che hanno appena colpito
Parigi. Come può essere che i mercati finanziari di fatto
crescano impassibili, mentre l'Europa vive uno stato di
emergenza? Nei media francesi si parla di «guerra». E
anche François Hollande ha affermato che si è in guerra.
Solo i mercati finanziari non ne vogliono sapere, interpretando
gli eventi di Parigi, Hannover e Bruxelles non come
una guerra bensì come uno stato di emergenza permanente.
Sembra più pratico e soprattutto più consueto. Lo
stato di emergenza permanente in fondo si può combattere
con strumenti collaudati. Perlomeno sui mercati
finanziari. Pertanto non c'è motivo di preoccuparsi.
Immagini di guerra
Ma chi lo scorso fine settimana ha osservato con attenzione
le immagini provenienti da Bruxelles, non può
giungere alla stessa conclusione alla quale sono arrivati i
mercati. La sensazione era quella di un'invasione della
capitale belga. Il fatto che ieri scuole e università fossero
ancora chiuse, dopo che per l'intero fine settimana la
paura aveva regnato insieme al dispetto e all'impotenza,
lunedì non è praticamente riuscito a smuovere i mercati,
perlomeno non ancora. Sebbene i terroristi siano evidentemente
riusciti a imporre all'Europa uno stato di emergenza
eccezionale, gli operatori di borsa restano fiduciosi.
Una fiducia che tuttavia è ingannevole. Chi in Europa
ha creduto che la guerra in Oriente potesse passargli
accanto senza lasciar traccia, ha dovuto ricredersi già di
fronte agli straripanti flussi di rifugiati. Nel frattempo qui
non sono arrivate solo le vittime del conflitto. Il conflitto
stesso si è pericolosamente avvicinato.
Imprevedibile...
Non siamo davanti a un normale conflitto bellico, poiché
lo Stato islamico non è una nazione, come la Francia o la
Svizzera. È piuttosto una struttura più o meno anonima,
una rete senza un corpo politicamente definito. Come si
fa ad intimidire un regime di questo tipo? Come e dove si
può intervenire per bloccare in modo duraturo questa
rete ampiamente diversificata? Essa ha una forma difficile
da definire, è attiva a livello globale e può attaccare con
effetto sorpresa. Ciò la rende imprevedibile. E in tal modo
viene a crearsi un'asimmetria delle vulnerabilità. Il mondo
civilizzato, ormai non più solo occidentale, il nemico
immaginario dei jihadisti, è enorme rispetto alle molteplici
piccole celle di «potenziali attentatori». La superiorità a
livello di armi in questa guerra non è rilevante perlomeno
finché l'occidente tenta di mantenerla a distanza effettuando
unicamente attacchi aerei e lasciando il lavoro
sporco ai curdi, ai ribelli siriani o alle truppe governative
irachene. I ruoli della Russia e della Turchia sono eufemisticamente
parlando poco trasparenti. Europa e Stati
Uniti non possono più farne a meno. Entrambe queste
nazioni sono protagoniste in questo conflitto: Anche la
personalità di Baschar al-Assad deve essere chiarita al più
presto. In caso contrario esiste il rischio che la situazione
sfugga di mano. Il 13 novembre 2015 l'Europa si è mostrata
vulnerabile. Adesso – al più tardi – è giunto il momento
di essere Europa e non una confederazione libera
di stati nazionali con una valuta unica, che tenta di portare
avanti azioni comuni sulla base di semplici punti di
vista comuni. L'incertezza latente a causa dell'imprevedibilità
di un avversario difficile da delineare dovrebbe in
realtà generare una certa cautela sui mercati finanziari,
che invece continuano a festeggiare sereni. Questo solo
perché la politica monetaria viene prima di tutto. Ma a
prescindere da uno stato di emergenza prossimo a quello
bellico, l'highlight dei mercati della settimane scorsa è
stato il verbale della riunione della Banca centrale statunitense
e non la minaccia del terrorismo. Quest'ultimo è
un'incognita e pertanto non rappresenta un tema per i
mercati – mentre lo è invece la politica monetaria.
...e pericoloso
Dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti
regnava una retorica della guerra simile a quella odierna.
Una «guerra» che si è però svolta lontano da propri confini.
Afghanistan, Pakistan e lo stesso Iraq erano molto
lontani per gli Stati Uniti e per i mercati si trattava al
massimo di scenari bellici secondari. Bruxelles e Parigi
invece non lo sono più e se lo stato di emergenza viene
imposto per giorni nella capitale europea, sembra che sia
in pericolo la sicurezza nel cuore dell'Europa. Per di più
ogni giorno giungono in Europa migliaia di rifugiati. In
Europa la vita pubblica subisce delle restrizioni, e lo stesso
dicasi per la libertà personale. Non pochi hanno paura.
Questo sembra in effetti più uno scenario di guerra
che uno stato d'emergenza. E prima o poi anche l'economia
vi sarà coinvolta. In questo senso l'effetto di crescita
a breve termine delle ondate dei rifugiati porta poco
vantaggio, in quanto verrà sopportato quasi esclusivamente
dai bilanci pubblici.
 

mariougo

Forumer storico
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Focus: Draghi vuole intervenire di nuovo

Le imprese e i consumatori nell'Eurozona continuano a rimanere
fiduciosi. Secondo la Banca centrale europea (BCE), il
movimento rialzista dell'economia dell'Eurozona è però
troppo lento. Il sottoutilizzo sempre elevato dell'economia e
la forte disoccupazione nascondono il rischio che l'inflazione,
attualmente a livelli molto modesti a causa dei bassi prezzi
delle materie prime, aumenti solo molto lentamente anche a
medio termine. Inoltre, a causa del lungo periodo di bassa inflazione
esiste il rischio di un disancoraggio delle aspettative
inflazionistiche. Pertanto è a rischio il raggiungimento del
prioritario obiettivo politico-monetario della BCE – ossia mantenere
il tasso d'inflazione per l'Eurozona al di sotto ma vicino
al 2.0%.
Poiché, inoltre, non si riscontra sufficiente supporto della politica
europea tramite riforme strutturali per una ripresa congiunturale
più forte, neppure dal piano d'investimento Juncker,
la BCE ha annunciato di verificare durante la sua prossima
riunione di giovedì prossimo, sulla base delle previsioni interne
aggiornate, l'idoneità delle sue misure politico-monetarie e di
agire in caso di necessità. Qui l'attenzione sarà rivolta alla previsione
sull'inflazione per il 2017. L'ultima previsione della BCE
di settembre era all'1.7%. La recente stima di consenso degli
analisti mostra un valore dell'1.5%.
Dal verbale dell'ultima riunione di ottobre è emerso che il Consiglio
della BCE nella successiva comunicazione voleva sottolineare
con forza che un persistente superamento al ribasso
dell'obiettivo d'inflazione non verrà tollerato e che saranno
disponibili sempre sufficienti strumenti efficaci per contrastare
questa eventualità. Allo stesso tempo, la maggioranza del
Consiglio non voleva tuttavia far suscitare troppe aspettative
sul fatto che fossero già state decise determinate misure.
I discorsi e le interviste del Presidente della BCE, Mario Draghi,
e dei suoi membri del Direttorio nelle ultime settimane hanno
però rivelato la loro propensione ad agire in maniera decisa
già il 3 dicembre. Soprattutto Draghi ha sottolineato ancora
alla fine dell'ultima settimana di voler aumentare al più presto
l'inflazione conformemente al mandato della Banca centrale
e con tutti gli strumenti disponibili. Oltre a un ampliamento
dell'attuale programma di acquisti di obbligazioni, in base al
volume, alla composizione e alla durata, Draghi ha nominato
esplicitamente anche il tasso sui depositi.
Il tasso sui depositi per i depositi delle banche presso la BCE è
stato già ridotto a giugno e a settembre 2014 rispettivamente
di 10 punti base a -0.2% nel settore negativo. Un'ulteriore
riduzione del tasso sui depositi è però controversa all'interno
del Consiglio della BCE. Nell'ultimo verbale della riunione sono
state espresse preoccupazioni per possibili effetti sulla funzionalità
del mercato monetario nonché sui margini delle banche
e sulle loro capacità di concedere crediti. L'esempio di un aumento
dei tassi negativi in Svizzera non mostra finora alcun
grave effetto negativo sul mercato, ma un aumento degli interessi
creditizi a causa dell'incremento dei costi per la copertura
dei tassi delle banche. Mentre questo effetto per la BNS
non arriva nel momento sbagliato, poiché in questo modo
viene contrastato un surriscaldamento del mercato immobiliare,
la BCE non è per nulla interessata a condizioni del credito
più restrittive. Ciò frenerebbe ulteriormente la moderata dinamica
degli investimenti.
Ciononostante, sui mercati dei tassi e anche dagli analisti finanziari
si ritiene molto probabile una riduzione dei tassi, attualmente
almeno di 10 punti base . Non da ultimo
a causa della comunicazione aggressiva di Mario Draghi,
prevediamo anche noi sia un adeguamento degli acquisti di
obbligazioni sia una riduzione dei tassi nella prossima riunione
della BCE. Con le ultime misure di allentamento la BCE ha sempre
superato le aspettative. E il Presidente Draghi probabilmente
cercherà di nuovo di ottenere nel Consiglio un grande
pacchetto di misure. Tuttavia, questa volta soprattutto a
causa dei possibili effetti negativi di un elevato tasso negativo
ci sembra piuttosto probabile che non si interverrà in misura
eccessiva sul fronte dei tassi – anche per raggiungere un'ampia
maggioranza nella decisione della BCE. Un intervento
troppo aggressivo potrebbe inoltre rinviare ancora il tanto atteso
inizio della normalizzazione dei tassi negli Stati Uniti e
quindi, tramite un euro più forte, diventare un boomerang
per la BCE


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mariougo

Forumer storico
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Il recente risultato degli indici dei responsabili degli acquisti
(PMI) è stato disomogeneo. In Svizzera, l'indice per novembre
è di nuovo sceso leggermente sotto i 50 punti. Con il ristagno
del PIL nel terzo trimestre è un ulteriore segnale di una ripresa
solo lenta dell'economia svizzera (maggiori informazioni in Focus
a pagina 2). Anche in Cina, i sondaggi indicano sempre
una dinamica industriale moderata. Mentre l'indice PMI ufficiale
per l'industria manifatturiera è diminuito ancora leggermente,
l'indice privato Caixin è leggermente aumentato. I livelli
dei due indici rimangono nettamente al di sotto della media.
La prossima settimana, ciò dovrebbe riflettersi in dati
sempre deboli del commercio estero. Gli ultimi dati continuano
comunque a non indicare un crollo della congiuntura
cinese. Di recente, le imprese hanno comunicato un miglioramento
delle prospettive per le esportazioni. E dopo una fase
di debolezza, ultimamente anche le vendite di autovetture
sono aumentate in modo percettibile.
Inoltre, come previsto, questa settimana il Fondo monetario
internazionale (FMI) ha deciso di inserire da ottobre del prossimo
anno lo yuan cinese come quinta valuta nel paniere per
il calcolo della sua valuta di riserva artificiale, i cosiddetti diritti
speciali di prelievo. A breve termine non ci dovrebbero quindi
essere grandi movimenti nei tassi di cambio e nelle ridistribuzioni
delle riserve valutarie. La decisione è tuttavia un riconoscimento
dei notevoli sforzi di riforma del governo cinese di
rendere la propria valuta più accessibile e negoziabile. Il volume
delle transazioni valutarie in yuan e dei titoli di debito è
ancora relativamente esiguo, ma mostra fortissimi tassi di crescita
Negli Stati Uniti, l'indice dei responsabili degli acquisti per l'industria
manifatturiera (ISM) è stato deludente ed è sceso proprio
come in Svizzera sotto la soglia di 50 punti – al valore più
basso dal 2009. Anche negli Stati Uniti, la forte valuta e il
basso prezzo del petrolio hanno un effetto negativo. Nel complesso,
tuttavia, l'economia statunitense rimane su un solido
percorso di espansione. Ciò è stato confermato anche dal recente
Beige Book e dal livello sempre elevato dell'indice ISM
dei servizi, nonostante un forte calo mensile. Questa settimana,
la Presidentessa della Fed, Janet Yellen, ha confermato
infatti anche un ulteriore miglioramento sul mercato del lavoro.
Inoltre si è mostrata fiduciosa per quanto riguarda un
ritorno dell'inflazione a medio termine verso la soglia obiettivo
del 2%. Secondo lo stato attuale delle informazioni, un
inizio della normalizzazione dei tassi ancora quest'anno sarebbe
quindi adeguato. Soprattutto con un risultato accettabile
del prossimo rapporto sul mercato del lavoro per novembre,
un primo aumento dei tassi della Fed fra due settimane è
molto probabile.
I sondaggi tra i responsabili degli acquisti nell'Eurozona sono
stati positivi, soprattutto in Spagna e in Italia. La stabile ripresa
nell'Eurozona non ha però impedito alla BCE di allentare ulteriormente
la sua politica monetaria durante la sua riunione di
dicembre. Come previsto, la stima sulla situazione ha mostrato
maggiori preoccupazioni per una tendenza inflazionistica
ancora troppo bassa. A novembre, l'inflazione di base è
scesa sotto il livello dell'1%. Per aumentare al più presto l'inflazione,
il Consiglio della BCE ha deciso a grande maggioranza
un ulteriore pacchetto di misure: il tasso dei depositi per
le banche viene ridotto da -0.2% a -0.3%. Il programma di
acquisti di obbligazioni durerà almeno fino a marzo 2017. Saranno
ora acquistate anche obbligazioni pubbliche regionali.
Inoltre, i riflussi da obbligazioni in scadenza saranno reinvestiti.
In aggiunta, le banche possono rifinanziarsi senza limiti
presso la BCE almeno fino alla fine del 2017. Il previsto ampliamento
del programma mensile di acquisti di obbligazioni,
attualmente di EUR 60 miliardi, non è stato invece deciso. La
BCE si riserva tuttavia il diritto di adottare ulteriori misure,
qualora necessario. Pertanto, le precedenti elevatissime aspettative
nei confronti della BCE non sono state soddisfatte e i
mercati hanno registrato una correzione. I corsi azionari sono
nettamente diminuiti e l'euro si è notevolmente rivalutato rispetto
all'USD.
 

mariougo

Forumer storico
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Focus: fine della politica dei tassi zero statunitense,
ma normalizzazione ancora ben lontana
Il 16 dicembre, molto probabilmente la Banca centrale statunitense
metterà fine alla politica dei tassi zero e per la prima volta
dal 2006 aumenterà il tasso di riferimento. Misurata sui future
su tassi d'interesse, con l'80% l'aspettativa di mercato per un
aumento dei tassi è molto alta. Pertanto, ora ci si chiede come
procederà la normalizzazione della politica monetaria dopo il
primo aumento dei tassi. Non prevediamo alcun usuale ciclo dei
tassi con un loro aumento a ogni riunione della Banca centrale,
come si è verificato per lo più finora. Nel resto del mondo, la
politica monetaria rimane molto espansiva. Se la Fed procedesse
troppo rapidamente, l'USD diventerebbe ancora più forte
con conseguenze negative per la congiuntura. Inoltre, l'andamento
dei prezzi e dei salari comparativamente bassi non mette
fretta alla Fed. Fino a quando questa situazione non cambierà,
i tassi di riferimento dovrebbero aumentare solo lentamente.
Secondo le attuali previsioni della Banca centrale, il tasso neutrale
del 3.5% sarà raggiunto solo nel 2018. Attualmente, per
il 2016 si prevedono almeno tre aumenti dei tassi. Le dichiarazioni
dei funzionari della Fed fanno tuttavia ritenere che il 16
dicembre la previsione sui tassi sarà rivista ancora una volta al
ribasso. Per il 2016 prevediamo solo uno o due aumenti dei
tassi.
Con l'allentamento quantitativo, la politica di bilancio della
Banca centrale è passata a una nuova dimensione della politica
monetaria. Nei prossimi anni, il grado della politica monetaria
sarà determinato anche dalla rapidità con cui l'enorme volume
di obbligazioni della Fed diminuirà di nuovo. E anche qui per il
2016 prevediamo solo un piccolo passo verso la normalizzazione.
Secondo le attuali direttive della Fed, la riduzione del bilancio
deve essere ottenuta soprattutto non reinvestendo più le
obbligazioni rimborsate. Questo processo passivo dovrebbe iniziare
al più presto dopo il primo aumento dei tassi. Il 16 dicembre
prevediamo una conferma di queste direttive. Fino a
quando l'economia non si surriscalda e l'inflazione non sfugge
al controllo, la Fed farà scendere il totale di bilancio probabilmente
solo gradualmente e non effettuerà alcuna vendita attiva.
Infatti, in considerazione del grande volume di obbligazioni
un segnale di vendita potrebbe determinare turbolenze sui mercati.
Dall'altro lato la Fed potrebbe riprendere i reinvestimenti o
addirittura iniziare di nuovo un programma di acquisti di obbligazioni,
se l'economia dovesse scivolare in recessione. In ogni
caso, il totale di bilancio dovrebbe rimanere molto alto ancora
per anni. Secondo le proiezioni della Fed, il volume di titoli di
stato si avvicinerà al livello pre-crisi solo nel 2020. Le obbligazioni
ipotecarie invece hanno una durata residua molto più
lunga e dovrebbero quindi uscire ancora più lentamente dal bilancio.
Anche qui una vendita attiva non è prevista per non far
impennare i tassi ipotecari.
La graduale riduzione del bilancio diminuirà i proventi da interessi
della Fed. Dal 2010, questi proventi sono stati di USD 80-
100 miliardi all'anno – convertiti, oltre lo 0.5% del PIL statunitense
– e sono di volta in volta stati versati al Ministero delle
Finanze. Per la Fed, i prossimi aumenti dei tassi comportano
inoltre costi finanziari. I crediti presso la Banca centrale delle
banche commerciali sono talmente elevati, che i tassi d'interesse
del mercato monetario non possono più essere influenzati
da tradizionali operazioni di mercato aperto (riduzione o ampliamento
dei crediti presso la Banca centrale contro titoli di
stato). Per irrigidire la politica monetaria la Fed impiegherà invece
il tasso sui depositi, con il quale dal 2008 remunera i crediti
presso la Banca centrale. L'idea di base: se il tasso sui depositi
viene aumentato, dovrebbero aumentare anche gli interessi sul
mercato interbancario. Nessuna banca presterebbe liquidità sul
mercato monetario a un tasso inferiore a quello ricevuto dalla
Banca centrale. Per assorbire la liquidità si utilizzano anche i Reverse
Repos, con i quali la Fed riceve liquidità dalle controparti
per una determinata durata e come contropartita paga un interesse
e deposita titoli di stato come garanzia.
Il tasso sui depositi costa attualmente alla Fed circa USD 6 miliardi
all'anno. Ogni aumento dei tassi di 25 punti base aumenta
i costi di un importo simile. Secondo le previsioni della Fed, i
proventi da interesse dovrebbero però essere sufficienti per coprire
i costi complessivi dell'assorbimento di liquidità; anche se
il tasso di riferimento aumenta al livello neutrale del 3.5% o
supera questo livello. I versamenti al Ministero delle Finanze diminuiranno
però nettamente. E l'aumento della remunerazione
dei crediti presso la banca centrale a favore delle banche
commerciali
dovrebbe aumentare la pressione politica sulla Fed
 

mariougo

Forumer storico
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Come previsto, la Banca centrale statunitense ha aumentato i
tassi per la prima volta dopo nove anni. La fascia target per il
tasso di riferimento è stata aumentata dallo 0%-0.25% allo
0.25%-0.5%. La presidente della Fed, Janet Yellen, ha motivato
l'aumento con i progressi fatti dall'economia statunitense.
La Banca centrale prevede quindi un aumento dell'inflazione,
che giustifica un aumento dei tassi. Secondo la nuova
forward guidance ulteriori aumenti dei tassi dipendono dal
fatto che l'andamento dell'inflazione e dell'occupazione sia in
linea con le aspettative. Nel complesso non sono però previsti
periodici aumenti dei tassi. La politica monetaria deve essere
normalizzata solo gradualmente. Un po' inaspettatamente, per
i prossimi tre anni i banchieri centrali continuano però a prevedere
quattro aumenti dei tassi ogni anno. Sulle aspettative di
mercato questo non ha tuttavia avuto praticamente alcun effetto.
L'ottimistica previsione sui tassi della Fed non viene condivisa
dal mercato. I future sui tassi scontano per il 2016 solo
due aumenti dei tassi, uno nel T2 e uno nel T4. Lo stesso vale
per il 2017. Attualmente per il prossimo anno prevediamo al
massimo due aumenti dei tassi, forse addirittura solo uno. Janet
Yellen sottolinea la natura provvisoria dei bassi prezzi
dell'energia. Il prezzo del petrolio è tuttavia ulteriormente diminuito
e non ci aspettiamo alcuna rapida ripresa . Inoltre, il forte dollaro e l'esubero di capacità globale dovrebbero
continuare a frenare l'inflazione. L'iniziale reazione
del mercato al primo aumento dei tassi non è stata negativa –
anzi. In considerazione dell'incerta prospettiva inflazionistica e
della discrepanza tra le aspettative del mercato e le previsioni
della Banca centrale ci aspettiamo però che l'incertezza sulla
futura politica monetaria continuerà a rimanere molto elevata.
Dopo la decisione sui tassi della Fed, il calendario dei dati per
la fine dell'anno è scarno. L'andamento del consumo statunitense
a novembre indicherà chiaramente se l'attuale previsione
del consenso per la crescita del PIL nel T4 del 2% annualizzata
è adeguata. Dopo che il consumo privato ha iniziato in modo
relativamente debole il T4, prevediamo adesso un aumento
maggiore. Infatti a novembre i fatturati delle vendite al dettaglio
sono di nuovo aumentati su larga scala – ad eccezione
della vendita di automobili, che ultimamente dopo il forte andamento
degli ultimi mesi ha registrato una stagnazione.
In Spagna, domenica sono previste le elezioni parlamentari e si
teme di dover far fronte a una lunga e difficile formazione del
governo e forse addirittura a una situazione di stallo con prossime
nuove elezioni. L'attuale governo, il Partito Popolare conservatore,
nei sondaggi ha un esiguo vantaggio, ma non dovrebbe
affatto raggiungere la maggioranza assoluta. Una coalizione
con il partito di centrodestra Ciudadanos potrebbe forse
essere sufficiente numericamente a formare il governo. Tuttavia,
ultimamente le tensioni tra i leader dei due partiti sono
aumentate e il Primo ministro Rajoy non esclude quindi una
coalizione con i socialisti (PSOE). Un governo esclusivamente di
sinistra con partecipazione del partito di protesta Podemos e
quindi un cambio di direzione nella politica economica è ritenuto
comunque lo scenario più improbabile.
La prossima settimana, nell'Eurozona è prevista solo la pubblicazione
della fiducia dei consumatori per dicembre. La fiducia
dei consumatori è a un livello relativamente elevato e neppure
l'aumento delle preoccupazioni per il terrorismo dovrebbe
cambiare questa situazione. D'altra parte, i sondaggi tra le imprese
per dicembre sono già noti. L'indice Composite PMI per
l'Eurozona e l'indice Ifo sulla fiducia delle imprese sono stati
leggermente in calo, ma mostrano sempre un'ottima fiducia.
Le imprese beneficiano della ripresa della fiducia dei consumatori.
Il calo della domanda dai paesi emergenti non suscita però
alcuna euforia.
 

mariougo

Forumer storico
.............................

Prima di staccare l'ultima pagina del calendario
2015, è necessario fare una breve panoramica
della situazione economica complessiva. Siamo
ancora nel mezzo della crisi finanziaria che dura
oramai da otto anni? Oppure abbiamo superato
il momento peggiore e ci apprestiamo a tornare
al «Business as usual»? Le risposte a queste
domande possono essere molto differenti a
seconda del punto di vista. Mentre la Bank of England sostiene la tesi secondo cui il sistema bancario
britannico avrebbe già messo alle spalle la crisi, i banchieri centrali dell'Eurozona e della Svizzera sono
ancora molto lontani da ciò che si potrebbe definire normalità. All'inizio di dicembre la Banca centrale
europea ha diminuito ancora una volta i tassi di riferimento e ampliato le misure straordinarie finalizzate a
stimolare l'economia (anche se non nell'entità prevista). Da parte sua la Banca nazionale svizzera manterrà
il proprio tasso di riferimento in territorio negativo fino a data da destinarsi, per attenuare la pressione
rialzista sul franco e favorire le esportazioni svizzere. In generale, se e con quale rapidità la situazione
globale si stabilizzerà dipende soprattutto dagli Stati Uniti, dove tutti i segnali indicano una tendenza rialzista dei tassi.

per il 2016, nel quale classifichiamo la probabilità di insorgenza al 60 per
cento, si intitola pertanto «Congiuntura USA forte, crescita globale debole». Per quanto concerne la
crescita economica negli Stati Uniti, ma anche in Europa, siamo più fiduciosi della maggioranza degli
osservatori del mercato: Per gli USA ci aspettiamo nell'anno 2016 una crescita del PIL del 2.8%, per
l'Eurozona dell'1.8% e per la Svizzera dell'1.5%. Per le categorie di investimento a rischio manteniamo
solitamente un atteggiamento neutrale. Siamo sottoponderati nei titoli di stato, nei paesi emergenti e nelle
materie prime, mentre siamo sovraponderati nel dollaro statunitense. Inoltre manteniamo una liquidità
superiore alla media, per essere in grado di sfruttare future opportunità di mercato osservando ovviamente con attenzione l'andamento delle varie classi di investimento.
 

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