1981 il divorzio tra Tesoro italiano e Banca d'Italia-Ricordati che devi morire, dice Cottarelli (1 Viewer)

tontolina

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Tre minuti di Beniamino Andreatta: la follia e i disastri del neoliberismo italiano

Tre minuti di Beniamino Andreatta: la follia e i disastri del neoliberismo italiano - MODERN MONEY THEORY

Il disastro del neoliberismo italiano in tre minuti tratti da una trasmissione Rai del 1995-96, condotta da Lucia Annunziata. Beniamino Andreatta, già autore, assieme all’allora presidente di Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, del famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro nel 1981 (clicca qui), usa parole che a quasi venti anni di distanza non solo sono cariche di utopia, ma consentono di capire la distanza tra gli assunti di base del neoliberismo e gli effetti sulla vita di cittadini e imprese.

“Penso che se noi riusciamo a scaricare a 2 mila chilometri dal Parlamento Italiano la condotta monetaria dell’Italia…” afferma Andreatta. Un colpo di Stato finanziario, perché, come sappiamo, uno Stato senza moneta è una colonia, non una democrazia.
Con l’euro secondo Andreatta “l’economia avrà necessariamente una grossa pressione ad investire di più, le famiglie acquisteranno case, e quindi produrranno una domanda aggiuntiva nell’edilizia, i comuni avranno migliori flussi di cassa ed è possibile uno sviluppo nella stabilità“.

Tutto questo perché secondo Andreatta i tassi di interesse sarebbero scesi al 6-8%.
Oggi, che abbiamo i tassi di interesse più bassi della storia recente, l’Italia sta diventando un deserto.

Da notare come in studio sia presente l’attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano mentre in sovra impressione si legga la scritta: “Monti: presto nell’Unione Monetaria o saranno guai“.
 

tontolina

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Il “bottino” delle privatizzazioni: 110 miliardi. Ma il debito pubblico è raddoppiato lo stesso
di Stefano Porcari

Negli ultimi 26 anni, quelli iniziati tra il '92 e il '94 con la maledizione dei governi di Maastricht (Amato, Ciampi etc.), le privatizzazioni di imprese e servizi pubblici hanno fruttato ben 110 miliardi di euro, una cifra enorme. Solo negli ultimi quattro anni i proventi sono stati di 15,4 miliardi. A renderlo noto è una relazione del Mef inviata al Parlamento.

La privatizzazione più redditizia è stata quella dell'Enel (16,2 miliardi e poi altri 7,5 per la terza tranche), poi quella di Telecom (11,5 miliardi), infine la terza tranche dell'Eni (6,6 miliardi).

Negli anni più recenti è toccato poi ad alcuni pezzi delle Poste (3,5 miliardi), un ultima tranche di Enel (2,1 miliardi), Enav (826 milioni). Infine, hanno privatizzato anche Sace (l'assicurazione sugli investimenti esteri), la Simest (società per gli investimenti esteri) e Fintecna, per un totale di 8,8 miliardi.

Dalla relazione e dai conti sono rimaste fuori le madri di tutte le privatizzazioni: quelle delle banche di interesse nazionale (Bin). Credito Italiano, Banca Commerciale e Banca di Roma fino al 1993/94 erano pubbliche. Da allora sono passate in mano dei privati con un cambiamento radicale di funzione. Non più finanziamenti a imprese e famiglie ma solo investimenti finanziari. Con i risultati che stiamo vedendo.

La motivazione ufficiale delle privatizzazioni – avviate con lo shock costituente della svalutazione della lira del 1992, un prestito europeo da restituire a breve come ricatto e il Trattato di Maastricht come vincolo generale – era la riduzione del debito pubblico.

Ma il debito nominale del 1992 era di 849 miliardi di euro con un rapporto deficit/pil del 105%. Il debito nominale nel 2012 (venti anni dopo) era arrivato a 1988 miliardi di euro con un rapporto deficit/pil del 127%. Nel 2015 è arrivato a 2.194 miliardi con un rapporto deficit/pil salito al 134,7%.

Parlare di una truffa di Stato legittimata dalla politica è il minimo. Rimettere in campo la nazionalizzazione di imprese, servizi, reti strategiche e delle banche – ripudiando un debito pubblico artatamente costruito e nei fatti impagabile – non è più una utopia, è un programma politico credibile e praticabile. A condizione che marci in parallelo alla fuoriuscita dalla gabbia dell'Eurozona e dell'Unione Europea, – l'Ital/Exit – senza la quale ogni opzione alternativa al massacro sociale e allo strapotere di monopoli privati e multinazionali diventa impossibile.
 

tontolina

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Ciampi ed Andreatta orchestrarono da soli senza l'intervento del parlamento il divozio tra Stato Italiano e Bankitalia
ma Prodi fece di più
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Di Gilberto Trombetta

Annunziata «Draghi si è caretterizzato in una prima fase come un grande privatizzatore, se si ricorda c’è stato anche tutto un…».

Romano Prodi «Erano obblighi europei! Erano obblighi europei. Scusi, a me che ero stato a costruire l’IRI, a risanarla, a metterla a posto, mi è stato dato il compito da Ciampi, che era un compito obbligatorio per tutti i nostri riferimenti europei, di privatizzare.
Quindi si immagini se io ero così contento di disfare le cose che avevo costruito, ma bisognava farlo per rispondere alle regole generali di un mercato in cui noi eravamo. E questo non era sempre un compito gradevole ma l’abbiamo fatto come bisognava farlo». [anche la germania l'ha fatto? NO! lei non aveva obblighi?]

Fino a poco tempo fa, lui e il centrosinistra, se ne prendevano il merito di aver smantellato l’IRI. Omettendone i motivi.

Ora ammettono anche questo.

C’è un nesso non solo diretto, ma di causa/effetto tra Unione Europea, libero mercato e smantellamento dell’industria pubblica italiana.

Era una condizione imposta dal “vincolo esterno”. Una condizione non negoziabile. Un po’ come le offerte che non si possono rifiutare…

Una pietra tombale, l’ennesima, su coloro che, ancora oggi, negano la palese matrice liberale, quindi antisociale, dell’Unione Europa.

Ovviamente Prodi, uno dei protagonisti assoluti della peggior stagione politica della storia italiana, adesso l’ammette – l’esistenza e la ragion d’essere del vincolo esterno – nell’improbabile tentativo di ricostruirsi un’immagine.

E infatti arriva anche a mentire spudoratamente affermando di aver costruito e risanato l’IRI.

«Eseguivo soltanto gli ordini». Non mi sembra una linea difensiva originale…

D’altronde la trasmissione era dedicata alla beatificazione di San Mario Draghi.


Romano Prodi e Mario Draghi.


Cioè i due che potremmo ritrovarci
– in un futuro purtroppo non così improbabile come dovrebbe essere – rispettivamente Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio.

Proprio due di quelli che, più di altri, consapevolmente e per i loro interessi, nell’ultimo trentennio hanno contribuito a ridurre il Paese in una condizione simile a quella di una colonia. Molto più di quanto non lo fosse già dalla fine della Seconda Guerra mondiale.

Cedendo quasi tutta la sovranità che ci era rimasta. E con essa il lavoro, i salari dignitosi e, soprattutto, una società più giusta e in cui era possibile immaginare un futuro. Spesso anche un futuro migliore.
 

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