1981 il divorzio tra Tesoro italiano e Banca d'Italia-Ricordati che devi morire, dice Cottarelli (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Italia, potenza scomoda: dovevamo morire, ecco come
Maurizio Blondet 20 novembre 2018 34 commenti
“Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, fin che potè” …
di Nino Galloni, 2 maggio 2013

Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia.
E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese.
Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.

E’ la drammatica ricostruzione che Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato, fornisce a Claudio Messora per il blog “Byoblu”.
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All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, fin che potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco. Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli e da Confindustria.
La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».

Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave.

Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”.

E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima».

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Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.
Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa.
Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».

Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione».
Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».

Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici». E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi.

Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato.
Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la Banca Commerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.

Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie speculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita.
E’ il preludio al disastro planetario di oggi.
In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni. Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale.
«Sono cose spaventose».
La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».

Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita.
Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».

Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite».
Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità.

A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio voluti dal gov.Monti.
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Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito.
«L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco.

Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?».
Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti. «Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose».

Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa».

Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista.
L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta.
...
continua

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stachus

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Sono sconcertato..........sconvolto se pur essendo a conoscenza di talune cose, secondo me certe informazioni andrebbero divulgate nelle scuole specie a partire da quelle di secondo grado.
 

tontolina

Forumer storico
da Massimo Moschella

Il coniglio traditore Tsipras - alla cui menzione (sarebbe più appropriato il termine "minzione") i veri eroi greci Pericle, Temistocle e Alessandro Magno avrebbero conati di vomito - dispensa consigli agli italiani attraverso il giornale elitario Corriere della Sera.
"È meglio che facciate oggi quel che comunque vi faranno fare domani".

Credo che con parole simili si sia espresso anche il francese Pétain, che collaborò con la Germania nazista dopo la sconfitta dell’esercito francese ad opera delle truppe hitleriane (maggio del 1940).
D'altronde Macron non è che si stia comportando diversamente.

Cambiano i tempi e le forme, ma la sostanza è la stessa.
Ci penseranno i francesi a ricordargli certe passate codardie.

Se qualche ingenuo o sprovveduto ancora non se ne fosse accorto, il caso Grecia ha dimostrato inequivocabilmente al resto del mondo libero la dittatura in cui è precipitata l’Europa, ben peggiore di quella profeticamente descritta nell’illuminante “1984” di George Orwell pubblicato nel lontano 1949.
Ma anche in quei tempi bui i più non vollero, o non furono capaci, di vedere la voragine verso cui si incamminava l'Europa!

La Germania ha tirato giù la maschera e finalmente mostrato il suo vero volto e le sue reali finalità: non vi era riuscita scatenando due guerre mondiali, vi è riuscita pienamente con l’applicazione dei Trattati!
Infatti le sue aspirazioni di perenne tentazione di esercitare leadership sul Continente si perdono nel tempo fino all’enunciazione del concetto di Mitteleuropa, area geo-politica per definire più che zona geografica un “destino” comune, nella prospettiva di coagulare affinità storiche, sociali, culturali, scientifiche e economiche.

Questo concetto ideale di “Europa Centrale” mescolava tutte queste caratteristiche e si fondava intimamente con la già prorompente volontà tedesca nel dominare gran parte del Continente, chiamata per l’appunto Mitteleuropa e che comprendeva un territorio con confini non propriamente definiti, che si identificavano con quella parte dell’Europa Centrale compresa fra il Mar Baltico a Nord e le Alpi a Sud, a Ovest con la Francia e a Est con quella che era la Russia pre-Unione Sovietica, ma includendo comunque la Lituania, l’Estonia e la Lettonia.

Ma torniamo al collaborazionismo di Tsipras, che ha sprofondato il paese da lui guidato nella fame più nera. Con il silenzio-assenso di tutti gli euro membri, compreso quello degli italiani e delle ong italiche che fingono bontà con il traffico di esseri umani africani ma che si girano dall'altra parte per non vedere i bambini greci.

Collaborazionismo è per definizione l’associazione con il nemico.
E perciò la forma più odiosa di collaborazionismo è il tradimento da parte di individui che condividono l’ideologia dei vincitori.
Questo collaborazionismo è, secondo il mio modesto parere, più ripugnante di quello che segue un tornaconto personale (ammesso che Tsipras non ne abbia avuto uno), dato che il tradimento qui non consiste solo nell’aiutare il nemico, ma anche nel sostenerne la superiorità spirituale, anziché limitarsi a constatarne la superiorità della forza militare. Inoltre, l’identificazione ideologica con il nemico offre una giustificazione al fatto che gli occupanti tengano ben stretti gli artigli sulle proprie prede.

Dio ci aiuti a non vedere mai giorni e fatti simili nel nostro paese.


 

tontolina

Forumer storico
un nuovo totalitarismo e ”regno della menzogna”, anti-umano e distruttore di popoli.

PERCHE' DRAGHI FA' PAURA. COME STALIN. - Blondet & Friends
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Insomma dice, con quella faccia sempre uguale e la voce sempre calma, tante enunciazioni smentite dai fatti reali, che alla fine, l’impressione che incute è di sottile, gelido terrore. Il terrore che ti prende quando ti trovi davanti ad un autistico psicopatico, cui è stato dato il potere supremo, quello monetario.

Il terrore poi cresce quando si deve constatare che quella di Draghi non è una sua privata follia. Lo stesso rapporto falso con la realtà lo ha rivelato condivisa per esempio dal governatore di Bankitalia, il grandemente inadempiente e non-sorvegliante Visco, che in una conferenza alla Scuola di Sant’Anna ha esalato:

Se c’è una tassa iniqua è proprio l’#inflazione, perché è regressiva e impedisce di occupare le persone: prima che ci fossero gli strumenti di #politicamonetaria per contrastarla, i tassi di disoccupazione erano alti e le crisi industriali parecchie”.

Una frase così falsa da lasciare senza fiato.

“Embé, da un governatore non se po’ sentì ’sta cosa”, commenta uno.
Zibordi: “Ma che razzo dite ? negli anni ’70 la distribuzione del reddito a favore del lavoro dipendente raggiunse il massimo. L’inflazione era alta, ma perché la quota del reddito che andava al lavoro era alta (e gli aumenti salariali spingevano l’inflazione)”. E lo dimostra con questa tabella:



Leonardo Sperduti: “Negli anni 70 la capacità di risparmio netto è stata massima. Ma a loro piace cambiare la storia e rinnegare i dati”. …”Siamo ancora al livello che emettere moneta crea automaticamente e direttamente inflazione? Quanta moneta è stata emessa dalle banche centrali mondiali? A quanto è l’inflazione in Europa, USA, UK, Giappone ecc?”. Infatti s’è instaurata la deflazione, e la BCE non riesce a portare l’inflazione almeno al 2%, come sarebbe obbligata a fare.





Inflazione tassa regressiva? Che colpiva i poveri?
“Allora, gli operai compravano casa e facevano laureare i figli. Ovvio che i rentier si sentissero erodere il potere”, rimbecca uno. “Guarda caso in quei periodi di inflazione brutta brutta, anche gli operai delle acciaierie compravano case ed appartamenti”, rincara un altro. E il tutto comprovato con tabelle e statistiche di quegli anni della lira e della sovranità monetaria.



“Le conseguenze di una tale falsa narrativa possono essere gravi”, avverte Mody.


Draghi fa’ paura a tutti quelli che capiscono. Fa paura come la fece Stalin, perché sta proclamando che “ogni giorno sotto l’euro la vita diventa più facile e felice”, e tutti i media gli danno ragione, e le banche centrali e i governi gli obbediscono, mentre la realtà è miseria, divisione, ostilità reciproca in Europa.

Dalla libertà ci siamo fatti ingabbiare nel totalitarismo spietato che lui esprime a nome del potere dell’usura. Bisognerà lottare e soffrite, per la liberazione.


 

tontolina

Forumer storico
LA VERA “POLPETTA AVVELENATA” SEMPRE TACIUTA DEL DIVORZIO TESORO-BdI di A.M.Rinaldi


Per troppo tempo la classe dirigente politica italiana e la stessa letteratura economica di regime, hanno colpevolmente taciuto sull’importanza di quella decisione con cui il Tesoro, guidato allora da Beniamino Andreatta, “sollevò” la Banca d’Italia di Carlo Azelio Ciampi, dall’obbligo “d’intervento” nelle aste dei titoli pubblici finalizzato per calmierare i tassi d’interesse. Provvedimento che generò, con l’esplosione dei tassi d’interesse corrisposti sui titoli pubblici lasciati alla sola determinazione dei mercati, l’era dei c.d. “bot people” che sottrassero risorse vitali all’economia reale e a danno della ricchezza collettiva per quella dei detentori dei titoli.

Le stesse aziende trovavano più conveniente investire la liquidità in titoli di Stato che in investimenti produttivi e innovazione e le finanze pubbliche assunsero lo scomodo ruolo di distribuire un dividendo che nessuna attività industriale avrebbe ragionevolmente mai potuto erogare.

A distanza di 36 anni da quella decisione è possibile fare una obiettiva analisi tirando le somme degli effetti che ebbe sull’incremento dello stock di debito pubblico, che raddoppiò nel giro di appena 14 anni principalmente per l’aumento vertiginoso dei tassi d’interesse, e che condannò i cittadini e il sistema delle imprese a un sempre maggior drenaggio fiscale per sopperire alla mancanza della funzione di prestatore dello Stato. (Elaborazione propria su dati Banca d’Italia)

Fu l’inizio di una lunga serie di cessioni di Sovranità del nostro Paese e che condizionò negativamente la nostra adesione a Maastricht. L’elevato debito, rispetto ai parametri imposti dal Trattato istitutivo della UE, non ci permise di avere il giusto potere contrattuale che invece un grandissimo Paese industriale come il nostro avrebbe dovuto e potuto ottenere. Iniziò l’era della deindustrializzazione italiana pianificata e voluta da chi non aveva a cuore gli interessi del Paese ma quelli dei gruppi dominanti e delle multinazionali che iniziavano a guardare l’Italia come un enorme outlet dove venire a fare shopping a buon mercato.

In verità non fu un divorzio, ma un vero e proprio matrimonio d’interesse celebrato sull’altare del neoliberismo, e la risposta consenziente, praticamente già concordata, di Ciampi del 6 marzo 1981alla lettera di Andreatta del 12 febbraio precedente, ne è la conferma (in fondo si riportano gli originali). Quindi una scelta prettamente politica ma mascherata abilmente da una “tecnica” i cui effetti li stiamo ancora oggi subendo negativamente.

Ma la vera e propria “polpetta avvelenata” dell’accordo Tesoro-Banca d’Italia non fu tanto la “non più obbligatorietà” d’intervento sul mercato primario, cioè all’atto dell’emissione dei titoli di Stato per la copertura finanziaria dello Stato, in quanto l’Istituto d’emissione sarebbe rimasto comunque “libero” di intervenire, ma l’indicazione in diversi metodi tecnici da adottare, introducendo un nuovo meccanismo per le aste competitive marginali. Questo aspetto sempre taciuto è la vera causa del disastro di quella nefasta decisione.
Questo nuovo sistema avrebbe infatti consentito agli operatori, con marginali quantitativi sapientemente non acquistati (non sapremo mai chi lo suggerì al duo Andreatta-Ciampi), di ottenere tassi altissimi su tutto l’ammontare dell’emissione sebbene già assegnati precedentemente a tassi inferiori!

Nella pratica, ad esempio, se una emissione per 100 Mld di lire di BTP veniva soddisfatta al tasso 5% per 97 Mld e i restanti residui 3 Mld a 5,5%, tutti e 100 Mld venivano assegnati alla fine allo stesso tasso del 5,5%! Praticamente il “paradiso” per le banche d’affari grazie a questo “regalino” tecnico voluto dai vertici del Tesoro e Banca d’Italia.
Chi vi scrive a quei tempi era responsabile operativo presso la direzione generale titoli di una banca italiana e lo stupore, scaturito dal nuovo meccanismo di asta competitiva marginale che favoriva smaccatamente il mercato, fu enorme e suscitò da subito molte perplessità.

La funzione di prestatrice d’ultima istanza della Banca Centrale era venuta meno e l’operatività fu relegata al solo mercato secondario, dove notoriamente è ben più difficile e arduo controllare la dinamica dei tassi d’interesse. Di fatto inizia nel luglio del 1981, data esecutiva dell’accordo, il trasferimento dal potere dello Stato di creare base monetaria per soddisfare il fabbisogno pubblico alla sola determinazione del mercato diventandone di fatto suo ostaggio. Con quella nefasta decisione si preferì il giudizio dei mercati a quello dei cittadini!

Fu il primo tangibile passo verso l’abdicazione di uno dei basilari principi su cui si basa uno Stato Sovrano: il potere di monetizzare almeno parte del debito e determinare autonomamente, senza condizionamenti, le proprie politiche economiche e monetarie. Come ragionevolmente è possibile gestire in modo ottimale il proprio debito pubblico se si è privati di uno degli strumenti indispensabili? Tutte le Banche Centrali emittenti mondiali rivendicano questa prerogativa a pieno supporto delle proprie politiche economiche e nell’interesse della collettività. Traspare chiaramente che fosse nelle precise volontà di chi realizzò l’accordo, una vera e propria “congiura fra il ministro e il governatore”, estraniando dalla condivisione e dal coinvolgimento “i classici canali della dialettica democratica”. Il provvedimento infatti non passò dal Parlamento o dal governo ma fra le scrivanie di Andreatta e Ciampi.

La decisione del divorzio, come già detto, fu una scelta politica e non tecnica: bisognava iniziare a dimostrare di appartenere alle “regole” europee e il prezzo da pagare era il modello neo liberista di riferimento, dove tutto doveva essere lasciato alla determinazione dei mercati nella convinzione-presunzione che solo i mercati, senza la presenza attiva dello Stato, avrebbero autoregolato in modo ottimale il sistema finanziario. Ma sappiamo benissimo che questo non è avvenuto e non poteva avvenire: anzi i mercati, enfatizzati sempre più dall’evoluzione della globalizzazione senza nessuna regolamentazione, hanno provocato disastri inimmaginabili e difficilmente sanabili. Solo il ruolo degli Stati, per mezzo delle proprie piene Sovranità, avrebbero potuto concretamente sostituirsi a questo modello errato, mentre si è fatto di tutto, e la costruzione monetaria europea ne è il più tangibile esempio, per favorire interessi di parte a scapito della collettività con il paradosso che quando i primi hanno avuto problemi i secondi sono stati chiamati nel risolverli!

Speriamo presto la Storia faccia giustizia!

Antonio M. Rinaldi

Lettera originale di Andreatta a Ciampi:





Risposta in originale di Ciampi a Andreatta:



 

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