Malgrado un rapporto che supera il 250% del Pil, il debito pubblico in Giappone non è stato considerato fino ad oggi un grosso problema da gestire per il governo di Tokyo. Grazie alla sua elevatissima posizione netta finanziaria con l’estero, si è sostenuto in questi decenni che il possibile rimpatrio dei capitali fungerebbe da forte sostegno per il caso di deterioramento delle condizioni di mercato. E se fosse proprio questo fenomeno a minacciarne la sostenibilità nel prossimo futuro?
Rimpatrio dei capitali in Giappone garanzia per il debito
Il Giappone assiste da tempo a un drastico “repricing” dei suoi titoli di stato.
Poiché i suoi rendimenti stanno risalendo in fretta e a livelli record per le scadenze lunghe, molti investitori domestici stanno decidendo di rimpatriare i capitali investiti all’estero. Una decisione razionale, che si spiega con le possibili ripercussioni per il tasso di cambio. Lo yen potrebbe apprezzarsi contro le valute straniere come il dollaro e l’euro, di fatto svalutando gli asset in essi denominati. Un fenomeno che interromperebbe decenni di “carry trade“ su flussi stimati per 20.000 miliardi di dollari.
Qual è stata sinora l’idea alla base della solidità del pur immenso debito nipponico? In caso di difficoltà, la risalita dei rendimenti provocherebbe il rimpatrio dei capitali investiti all’estero. E sono tantissimi. Al 30 settembre scorso, la posizione finanziaria netta con l’estero era positiva per 3.663 miliardi di dollari. Questo dato indica che gli investimenti dei giapponesi nel resto del mondo superano gli investimenti del resto del mondo in Giappone per quella cifra. Essere creditori netti – e per quasi l’84% del Pil – significa all’occorrenza di disporre delle risorse necessarie per finanziare il proprio debito.
Alte valutazioni di agenzie e mercati
E’ per questa ragione che i titoli di stato godono, malgrado la situazione fiscale pessima, di rating alti: A+ per S&P, A per Fitch e A1 per Moody’s. A titolo di confronto, i nostri BTp sono valutati rispettivamente BBB+/BBB+/Baa2 con un debito pubblico poco sopra il 135%. Negli ultimi mesi, gli investimenti esteri netti in Giappone stanno accelerando. Tra settembre e ottobre, ad esempio, i flussi risultano più che raddoppiati. Questo significa che adesso è il Giappone ad attirare investimento dall’estero più di quanto non stia esso stesso investendo all’estero.
In effetti, i rendimenti decennali in appena due anni sono esplosi dallo 0,25% a oltre il 2%. Il bond a 30 anni offre quasi il 3,40% contro l’1,45% del dicembre 2023. Anche le scadenze corte offrono molto di più, come il bond a 2 anni passato da rendimenti negativi all’1,06%. L’idea che sia stata la posizione finanziaria netta con l’estero a rendere possibile la tenuta del debito in Giappone si regge essenzialmente su questa constatazione: il debito tra la fine degli anni Novanta e il 2024 è quasi raddoppiato da meno del 130% a più del 251%, mentre le attività nette con l’estero sono salite dal 18% all’84% del Pil.
Rischi a lungo termine
Fermiamoci un attimo a immaginare cosa può accadere se nei prossimi mesi e anni questo forte attivo si riducesse, pur riuscendo eventualmente a calmierare i rendimenti nipponici. I rischi fiscali nel breve termine sarebbero minori, mentre per il medio-lungo termine svanirebbe quella fonte principale di sostenibilità fin qui narrata a giustificazione delle alte valutazioni sui mercati. E’ vero che resterebbe intatto un altro punto di forza, ossia il fatto che il debito pubblico sia in mano ad investitori domestici per il 90%. E oltre metà di esso si trova nei bilanci della banca centrale. D’altra parte, però, il meglio sarebbe alle spalle. O il governo inizierebbe a tagliare le emissioni nette o correrebbe il rischio di non trovare più un’adeguata domanda per i suoi bond, dovendo tornare con i piedi per terra.
Rimpatrio dei capitali in Giappone minaccia per la futura sostenibilità fiscale
Com’è stata costruita questa immensa posizione netta con l’estero? Sin dalla metà degli anni Novanta la banca centrale ha tenuto i tassi molto bassi per combattere la deflazione e la stagnazione economica. Impossibilitati a guadagnare a sufficienza, gli investitori hanno spostato altrove i capitali. Ciò è servito anche a far affluire immense risorse a Wall Street e sui mercati obbligazionari dell’Occidente. Questa fase è giunta al termine con il ritorno dell’inflazione. Il rimpatrio dei capitali in Giappone nel breve può sostenere il debito calmierando i rendimenti, mentre nel lungo può portare al declassamento delle valutazioni. Le conseguenze si stanno già avvertendo in Europa e Stati Uniti, dove i rendimenti a lungo termine sono risaliti negli ultimi mesi.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
