Una novità importante, ma che molti hanno sottovalutato, riguarda la possibilità di cumulare due diverse forme di previdenza per andare in pensione. Una possibilità introdotta nel 2025 e già sul viale del tramonto. Nella nuova legge di Bilancio, infatti, il governo ha deciso di tornare sui propri passi, annullando questa opportunità concessa solo per l’anno in corso.
Parliamo del cumulo tra previdenza integrativa e previdenza obbligatoria, previsto esclusivamente per la pensione anticipata contributiva e riservato ai cosiddetti contributivi puri. Nel 2026, quindi, una possibilità in meno. Ma di cosa si tratta, come funzionava e chi rischia di essere penalizzato?
Sulle pensioni niente più cumulo dei contributi, ecco chi rischia di rimanere al lavoro nel 2026
La pensione nel 2026 diventa più difficile per chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995.
Per i contributivi puri, infatti, arriva una novità che di fatto limita l’accesso alla pensione anticipata contributiva.
Nel 2025 il governo aveva deciso di agevolare le uscite superando l’ostacolo principale per molti lavoratori: il requisito dell’importo minimo della pensione. Per la pensione anticipata contributiva, infatti, servono 64 anni di età e 20 anni di contributi, ma anche il raggiungimento di un assegno pari ad almeno 3 volte l’assegno sociale.
Un vincolo molto pesante, considerando che l’assegno sociale è pari a 538,69 euro, il che significa dover raggiungere una pensione di circa 1.620 euro mensili.
Contributi, cumulo tra previdenze e pensioni: ecco come funziona nel 2025
Solo per le donne sono previste soglie più basse, ma a determinate condizioni. Con un figlio, la pensione può essere concessa anche con un importo pari a 2,8 volte l’assegno sociale; con più figli, la soglia scende a 2,6 volte l’assegno sociale.
Requisiti comunque difficili da raggiungere per molti.
Ed è qui che entra in gioco la novità del 2025: la possibilità di aggiungere alla pensione INPS la rendita della previdenza integrativa. Chi ha versato contributi ai fondi pensione complementari, infatti, ha diritto a una rendita privata al termine del percorso contributivo.
Raggiunti i 64 anni di età e con almeno 25 anni di contributi nella previdenza obbligatoria, il governo aveva consentito di cumulare la rendita INPS con quella della previdenza integrativa per raggiungere l’importo minimo richiesto. Una possibilità valida solo fino al 31 dicembre 2025.
Nella nuova manovra, però, questa misura non viene confermata. Il cumulo tra previdenza obbligatoria e integrativa, dunque, scompare.
Addio al cumulo tra previdenze, per tanti nati nel 1962 un problema serio
Una decisione passata quasi sottotraccia, ma che rischia di avere effetti pesanti. In particolare per i lavoratori nati nel 1962, che compiranno 64 anni nel 2026 e che avrebbero potuto sfruttare il cumulo ora cancellato per accedere alla pensione.
Senza la possibilità di sommare la rendita integrativa a quella obbligatoria, c’è chi, pur avendo raggiunto la combinazione 64 anni di età e 25 anni di contributi, rischia di dover restare al lavoro altri tre anni.
Per i contributivi puri, infatti, la pensione slitta automaticamente a 67 anni. A quell’età, anche con soli 20 anni di contributi, è sufficiente raggiungere un importo pari a una sola volta l’assegno sociale per poter uscire dal lavoro.
Il vincolo dell’importo minimo passa quindi da 3 volte a 1 volta l’assegno sociale, rendendo l’accesso alla pensione molto più semplice.
Resta però il fatto che, con l’eliminazione del cumulo, molti contribuenti rischiano di trovarsi davanti a tre anni aggiuntivi senza pensione, nonostante una carriera contributiva già significativa. Un arretramento silenzioso, ma tutt’altro che irrilevante.