Ci metto qua commento di un amico:
Cronache del Coronavirus. Per la prima volta mi sto un po' innervosendo. Giusto un tantino, visto che la preoccupazione porta naturalmente all'irrazionalita', al whisful thinking, al tanto peggio tanto meglio. Però, in questo caso, rischiamo di pagare carissime queste umane reazioni. Non so più come dirlo: I TEMPI NON LI DIAMO NOI, ma la dinamica del contagio, e NON È MAI SUCCESSO che si azzeri in due settimane. Per cui, finché la curva dei contagiati è, ancora di più, quella dei ricoverati, specie in terapia intensiva, non flette il lockdown NON HA ALTERNATIVE, COSTI QUEL CHE COSTI. Altrimenti pagheremo duramente in futuro in termini di vite umane, ma anche economici. Mi spiego: facendo il discorso rischi/benefici, 20.000 morti li provoca la carestia in Etiopia, non la disoccupazione in Europa. Ragionando per assurdo, quando saremo al livello Etiopia ci potremo domandare, come scrive l'Economist (e non è un caso), se il discorso che la vita umana non ha prezzo è sempre valido. Finora rischiamo i risparmi, il tenore di vita dei prossimi anni. Secondo voi valgono più della vita della nonna? Ma non è tutto: che la Siae (la fabbrica dei ventilatori polmonari) debba stare aperta non è in discussione, come che debba stare chiusa una discoteca. Si preme per aprire quello che sta in mezzo tra l'essenziale e l'inessenziale troppo pericoloso, ad esempio una fabbrica di yacht o un negozio di abbigliamento. Il punto è che se sbagliamo e riparte il contagio mettiamo in forse i redditi di chi lavora nell'inessenziale pericoloso anche per IL PROSSIMO ANNO (questo ormai è andato). E il reddito di un Dj o di un barista non è meno importante di quello di un operaio e di una commessa.