Scommettiamo che i TEDESCHI non accetterebbero (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Proposta molto semplice:SOFT TEMPORARY EXIT.

Invece di uscire dalla Ue, restiamoci, ma così come la Polonia è dentro e ha la sua valuta che può oscillare secondo le regole dello Sme2 , adottiamo l'Euro 2, la lira, chiamatole come vi pare, vista la situazione critica, e optiamo per la banda di oscillazione del 15%, in modo da riprenderci anche attraverso una minima flessibilità del tasso di cambio.
Ci eviterebbe di andare allo scontro con l'Europa e credo potrebbe essere utile a tutti.
Scommettiamo che i tedeschi non accetterebbero ?
 
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tontolina

Forumer storico
A tutti quelli che in Europa si meravigliano dell'atteggiamento che sta avendo in questi giorni la Germania, con i suoi stati vassalli, verso gli altri stati comunitari vorrei ricordare una cosa. I tedeschi sono l'unico popolo al mondo che ha eretto un monumento di 53.46 metri e venera da generazioni come "eroe della patria" Arminio (Hermann), uno che è tecnicamente un traditore.
Questa cosa non deve essere mai dimenticata, quando ci si siede al tavolo con loro a firmare i trattati.


 

tontolina

Forumer storico
A tutti quelli che in Europa si meravigliano dell'atteggiamento che sta avendo in questi giorni la Germania, con i suoi stati vassalli, verso gli altri stati comunitari vorrei ricordare una cosa. I tedeschi sono l'unico popolo al mondo che ha eretto un monumento di 53.46 metri e venera da generazioni come "eroe della patria" Arminio (Hermann), uno che è tecnicamente un traditore.
Questa cosa non deve essere mai dimenticata, quando ci si siede al tavolo con loro a firmare i trattati.

SONO DEgli EGOISTI irriconoscenti ..... RICORDIAMOCELO SEMPRE! non fidiamoci di loro come minimo sanno solo corrompere i nostri politici


Coronavirus, oggi Berlino leva gli scudi contro i coronabond ma 60 anni fa l’Europa decurtò il debito della Germania per farla ripartire

Nel 1953 l'Europa fu unita nel condonare metà dei debiti della Repubblica Federale Tedesca, la Germania ovest che si vide alleggerire di circa 15 miliardi di marchi di debito delle due guerre su un totale di circa 30 miliardi e così ci fu il miracolo economico tedesco

di F. Q. | 30 Marzo 2020
Ci risiamo.
L’ipotesi di una condivisione dei debiti all’interno della Comunità europea manda in crisi la Germania che non ne volle sapere ai tempi della crisi del debito sovrano, nei giorni più bui del tracollo greco e neppure oggi che la pandemia del covid-19 scuote il Vecchio Continente e una bella fetta di Paesi membri chiede a gran voce degli eurobond (oggi coronabond) per uscire dalla crisi economica che inevitabilmente verrà. E così, ancora una volta, chi ha la memoria lunga non può non pensare al lontano 1953, anno in cui l’Europa fu unita nel condonare metà dei debiti della Repubblica Federale Tedesca, la Germania ovest che si vide alleggerire di circa 15 miliardi di marchi di debito delle due guerre su un totale di circa 30 miliardi. Il resto venne spalmato su trent’anni [e non fu pagato ma anche quello condonato per la riunificazione tedesca- insomma sono dei debitori che non pagano mai i loro debiti e pretendono la morte dagli altri].

Tra i creditori c’erano anche Roma e Atene, ma pure Parigi, Madrid, Londra, Washington e Ginevra. Oltre a privati e aziende, banche incluse. Fuori dall’accordo, invece, russi che controllavano Berlino est e pretesero la restituzione integrale del loro credito. È stato così che la Germania ovest si è liberata del debito prebellico che rappresentava un quarto del reddito nazionale e ha potuto avviare la ricostruzione. In pratica il miracolo economico tedesco degli anni cinquanta è basato su un taglio del debito. Non solo. La metà del debito condonata nel 53 avrebbe dovuto essere restituita dopo la riunificazione di Berlino Est e Berlino Ovest, ma all’indomani del crollo del muro Helmut Kohl pretese e ottenne l’oblio anche di quella clausola, con il placet dei creditori, Roma inclusa, che hanno acconsentito in nome dell’Europa Unita.

Tra coloro che hanno cercato di stimolare la memoria di Angela Merkel, c’è Joschka Fischer. L’ex ministro degli esteri tedesco nel 2014 ha pubblicato Se l’Europa fallisce?, uscito in Italia con Ledizioni, che attacca duramente le politiche di “euroegoismo” di Berlino. L’ex leader dei verdi nel volume si dichiara sorpreso di come il suo Paese abbia dimenticato la conferenza di Londra con cui, dopo ben sei mesi di trattativa, per il benessere dell’Europa venne tirata una riga sopra una bella fetta dei debiti tedeschi. “Senza quel regalo non avremmo riconquistato la credibilità e l’accesso ai mercati. La Germania non si sarebbe ripresa e non avremmo avuto il miracolo economico”, sostiene Fischer che spende più di una pagina per tributare onore all’ex presidente della Bce, Mario Draghi, benefattore dell’Ue per il suo essere riuscito a tenere botta a Berlino, perché a suo parere “il più grande pericolo per l’Europa attualmente è la Germania”.
 

tontolina

Forumer storico
Giorgia Meloni contro la Germania di Angela Merkel: "Porte in faccia? Ridateci i nostri soldi"
Giorgia Meloni protagonista ieri sera nel quotidiano appuntamento di informazione di Retequattro, Stasera Italia condotto da Barbara Palombelli.
La leader di Fratelli d'Italia ha discusso, collegata da casa, della questione eurobond.
Il dibattito che vede opposti Italia e Spagna, favorevoli all'emissione, e alcuni paesi del nord Europa (in testa la Germania) contrari a concedere i titoli di stato europei.

La Meloni ha attaccato in particolare la Germania, principale ostacolo all'accordo, più che l'Unione Europea.

Parole dure dette in diretta tv: "All’Unione Europea e alla Germania non chiediamo regali, siamo abituati a lavorare e a non chiedere l’elemosina. Pretendiamo quello che ci spetta, perché da anni, grazie alla moneta unica, la Germania si arricchisce sulle nostre spalle. Rivogliamo indietro i nostri soldi", il pensiero della Meloni.
 

tontolina

Forumer storico
PAOLO MADDALENA
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@221

Forumer attivo
Ci sarebbero anche i miniBot o i ccf, strumenti compatibili con i Trattati. Progetto già pronto, non ci sarebbe bisogno di alcuna approvazione in UE, solo il voto del Parlamento (addirittura la mozione sui miniBot è già stata votata alla Camera a maggio scorso).
Ma tanto chi abbiamo al governo? il PD. Pagliacci traditori della Patria.

20200331_170458 PD pagliacci.jpg


Ehi Piddopagliacci,
siamo noi veri patrioti europei, noi che auspichiamo lo smantellamento dell'Euro e della mostruosità sovranazionale, al secolo, UE, che affliggono l'Europa.
La vostra amata UE ha massacrato l'Europa, calpestato i popoli, messo il cappio al collo agli Stati.
 

tontolina

Forumer storico
Una “Nuova LIRA” di Stato sarebbe perfettamente legale anche rispetto ai Trattati europei

I giorni grami che stiamo vivendo hanno improvvisamente ridestato l’interesse popolare per il tema della moneta. Oggi più che mai ce n’è bisogno e ce n’è bisogno sempre di più. E allora, come al solito, andiamo col cappello in mano a Bruxelles, dalla Von der Leyen, oppure a Francoforte, dalla Lagarde, a chiedere “risorse” fresche.
E La Lagarde, giustamente, ci risponde di andare a farci un giro perché la BCE, ai sensi dell’articolo 123, comma 1 del Trattato di Lisbona non può finanziare direttamente gli Stati.
E la Von der Leyen, a sua volta, ci manda a farci un altro bel giro (e pure largo largo) perché, nella UE, la competenza esclusiva, in materia di politica monetaria, è della Banca Centrale Europea, ai sensi dell’articolo 3 del TFUE: ping-pong, ping-pong.

Oppure, in subordine, la Ursula ci offre flessibilità “in deroga” al Fiscal Compact: cioè ci fa indebitare un po’ di più in attesa di farci rientrare nei ranghi quando la crisi sarà finita e potrà, così, imporci di ridurre il debito con il consolidamento fiscale (nuove tasse) o con il contenimento di spesa (austerity) con un ulteriore taglio della sanità.
Ecco allora che il pissi pissi bao bao del popolo, giustamente incazzato, si trasforma in un fiume in piena di giustificato risentimento. E a qualcuno viene in mente (anzi torna in mente) un’idea meravigliosa: facciamoci una moneta complementare, tutta italiana e tutta per gli italiani.

A questo punto, si impone una seria riflessione giuridica. Ho detto “giuridica”, non economica, non finanziaria, non di opportunità e neanche da Bar Sport. I discorsi “limitrofi” al perimetro della legge, per così dire, li lasciamo, per il momento, ai grandi economisti (ne abbiamo a bizzeffe) o ai milioni di “commissari tecnici” di cui pullula questo Paese.
Concentriamoci solo sull’aspetto squisitamente legale, allora. Può l’Italia emettere una nuova moneta parallela all’euro, senza violare i trattati? Perché di questo stiamo parlando: farlo adesso, farlo subito. Senza dover aspettare la “Rivoluzione francese” in salsa tricolore, che non arriva mai. Ebbene, la risposta deve essere senz’altro positiva. Ecco perché.


Innanzitutto, una premessa metodologica e semantica, per quanto superflua. In tutti i trattati non troverete mai l’espressione “unica moneta”, bensì “moneta unica”. C’è una sostanziale differenza: la prima costituirebbe la sola ed unica moneta consentita in una certa area. La seconda rappresenta invece la moneta “unica” di un gruppo di Stati, da intendersi, quindi, come la “sola” moneta riconosciuta alla stregua di “condivisa”, “uguale” per tutti e “spendibile” in ciascuna delle Nazioni coinvolte.
Ma non è questo, sia chiaro, l’argomento dirimente.
Piuttosto, andiamo ad esaminare in cosa si concretizzi la famosa “moneta unica” detta “euro”. Ce lo spiega l’articolo 128 del Trattato di Lisbona. Essa può materializzarsi in due tipologie (secondo il citato articolo): banconote dette euro (disciplinate dal primo comma) e monete metalliche (disciplinate dal secondo comma). Le banconote sono quello strumento di pagamento cartaceo colorato che abbiamo tutti nel portafoglio: recano il logo della BCE e appartengono, stando a quanto lorsignori ci dicono, all’Eurosistema. Le può emettere solo la BCE oppure una banca centrale nazionale (degli Stati dell’eurozona) su autorizzazione della BCE. Queste “banconote” costituiscono le uniche “banconote” aventi corso legale nell’Unione.
Cosa vuole dire “a corso legale”?
Uno strumento di pagamento è a “corso legale” quando, in un dato territorio, nessuno dei consociati può rifiutarsi di accettarlo perché l’autorità ne impone la circolazione. Quindi, nell’eurozona, se voi pagate con banconote in euro un venditore – o chiunque vi presti un qualsiasi servizio – costui non può rifiutarsi di acconsentire al vostro pagamento (a meno che non si tratti di denaro palesemente falso).
Questo è un primo aspetto fondamentale e quindi va ripetuto con una bella sottolineatura (sotto forma di aperte virgolette, chiuse virgolette): la “banconota” in euro è l’unica “banconota” a corso legale nell’eurozona. Abbiamo messo la parola “banconota” tra virgolette per far capire che si tratta di un mezzo di pagamento (ben preciso e cartaceo) emesso da una “Banca” centrale, non da uno “Stato”.
Veniamo ora alle monetine in euro. Queste, al contrario delle banconote, non sono emesse dalla BCE, ma coniate dai singoli Stati. Per intenderci, tutti gli spiccioli che avete nel borsellino sono stati “fusi” dalla zecca dello Stato italiano oppure di qualche altro degli Stati dell’eurozona: ne riconoscete la provenienza da un minuscolo acronimo (nel caso degli euro coniati in Italia, esso è RI: Repubblica Italiana). Tuttavia, lo Stato non può “farne” quanta ne vuole, di tale ferraglia. Ha bisogno della approvazione, quanto al volume di conio, da parte della BCE (art. 128, secondo comma TFUE). Aperta parentesi: la Germania, negli ultimi anni, ne ha prodotte una caterva rispetto a noi di monete (a costo quasi zero e con signoraggio percepito tutto dallo Stato), ma non importa. Il fatto che i tedeschi, almeno in materia monetaria ed europea, siano più furbi degli italiani, ormai lo sanno anche i sassi.
Semmai, ora la domanda diventa: e se lo Stato italiano decidesse di emettere uno strumento di pagamento diverso da una “Banconota”, cioè un “Biglietto di Stato”, potrebbe farlo? Da un punto di vista pratico e giuridico, s’intende. Dal punto di vista pratico, la risposta ce la fornisce la storia. L’Italia, ai tempi della Lira, fece un esperimento in tal senso; semplicemente esercitando il più classico potere di uno Stato sovrano: quello legislativo. Con legge numero 171 del 31 marzo 1966, infatti (Presidente del Consiglio: Aldo Moro), la Repubblica autorizzò se stessa ad emettere “biglietti di Stato” (di valore nominale 500 lire) che entrarono in circolazione accanto alle “banconote”, sempre di valore nominale 500 lire, emesse dalla Banca d’Italia.
Più precisamente, la realizzazione pratica (del precetto di tale norma di rango primario) venne data attraverso due regolamenti attuativi che consentirono la stampa di biglietti serie “Mercurio” e “Aretusa” da 500 Lire: il DPR 20.06.1966 e il DPR 20.10.1967 per le 500 lire serie “Aretusa” e il DPR 14.02.1974 per le 500 Lire serie “Mercurio”. Ciò dimostra, inoppugnabilmente, che una moneta “statale” può tranquillamente convivere con una moneta di provenienza “bancaria”. La differenza la sanno tutti:
la prima
“nasce” senza debito,
la seconda, invece, sorge ab initio indebitando lo Stato
, il quale deve emettere e cedere in garanzia titoli del debito pubblico onde ottenere (dalla propria banca centrale) la “liquidità” desiderata. Ed è il motivo per cui, in genere, il debito pubblico degli Stati, in valore assoluto, tende inesorabilmente ad aumentare. Il problema, poi, diventa esponenziale se la Banca Centrale non è più un istituto che “risponde” allo Stato (come Bankitalia, quantomeno fino al fatidico “divorzio” dal Ministero del Tesoro del 1981), ma una “entità” straniera (come la BCE) cui è addirittura proibito “per legge” di finanziare il debito pubblico dello Stato.

“Eh, ma oggi c’è la BCE” – ti obbietta il saputone – “e la BCE è una banca centrale indipendente pura e ha la governance esclusiva della politica monetaria nell’area euro”. Obiezione da rispedire al mittente, “codici alla mano”. Infatti, va rimarcato che i biglietti di Stato di cui sopra possono tranquillamente convivere con un sistema dove esiste una Banca Centrale indipendente pura nonché titolare esclusiva della governance della politica monetaria di un Paese (come è oggi, a tutti gli effetti, la BCE).
Lo dimostra, inconfutabilmente, il fatto che la legge del 1965 rimase in vigore anche “dopo” che fu approvata la legge 7 febbraio 1992, n. 82 (“Modificazioni alle procedure stabilite dal testo unico sugli istituti di emissione e sulla circolazione dei biglietti di banca”); la legge 82 del 1992 è il provvedimento normativo con cui si attribuì – nello stesso giorno della firma del trattato di Maastricht! – il diritto-potere esclusivo a Bankitalia di determinare il tasso di sconto del denaro senza doversi interfacciare con il Ministero del Tesoro.

Per la precisione, la legge 171 del 1965 rimase in vigore fino al 1998, quando fu abrogata per effetto del decreto legislativo del 10 marzo di quell’anno, il numero 43. Cerimonieri d’eccezione, due nostre vecchie conoscenze: Presidente della Repubblica era Oscar Luigi Scalfaro e Presidente del Consiglio, Romano Prodi. Ciò avvenne, non a caso, a ridosso dell’entrata a regime dell’euro sui mercati finanziari (primo gennaio 1999). Cionondimeno, l’abrogazione di una legge dello Stato italiano, da parte del Parlamento italiano, non impedisce, di per sé, allo stesso Stato italiano di ri-emanare una legge identica a quella abrogata. È solo una questione di “volontà” politica, non di “possibilità” giuridica. A maggior ragione ove si consideri che – proprio a cavallo tra l’esordio dell’euro sui mercati finanziari (primo gennaio 1999, abbiamo detto) e lo “zampillare” dell’euro dalle nostre tasche (primo gennaio 2002) – il Parlamento italiano, con legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3, riformò l’articolo 117 della Costituzione: scrivendo, nero su bianco, che lo Stato (sia pur nel rispetto dei vincoli derivanti dai trattati internazionali) ha esclusiva competenza in materia di “moneta”.

L’unico dubbio residuo sul tappeto potrebbe quindi essere il seguente: eventuali nuovi “biglietti di Stato” (come quelli famosi di Moro, per intenderci) sarebbero compatibili con il Trattato di Maastricht e con quello di Lisbona? Ragioniamo: se tali “Stato-note” le concepissimo e producessimo come semplice “formato” alternativo alle monetine metalliche, la risposta sarebbe ovviamente affermativa. Già oggi lo Stato conia 1 euro, 2 euro e i vari centesimi. Che lo faccia sotto forma di moneta metallica piuttosto che sotto forma di “Stato-nota” non cambierebbe granchè. Anzi, in passato (e per mere ragioni pratiche e “simboliche”) lo aveva addirittura proposto l’allora Ministro Giulio Tremonti. Ma ce ne gioveremmo davvero, e in modo significativo? No, visto che incorreremmo nella necessità della approvazione del volume di conio da parte della BCE ex art. 128, comma due di Lisbona, già citato.

Allora, facciamo un passo più in là. E se lo Stato stampasse dei “biglietti” aldilà e oltre il perimetro dell’art. 128, secondo comma? Qui dobbiamo intenderci. Innanzitutto, se si trattasse di biglietti di stato “non” a corso legale (la cui accettazione, cioè non fosse obbligatoria per i cittadini, ma solo volontaria), certamente sì. Infatti, l’articolo 128 di Lisbona attribuisce l’esclusiva alla BCE solo sulle banconote “aventi corso legale”. Le nostre “Stato note” sarebbero invece (nell’ipotesi testé prospettata) ad accettazione volontaria. Ma ciò non significa che i cittadini non le userebbero per i propri scambi. Non essere obbligati ad accettare uno strumento di pagamento non significa essere tenuti a rifiutarlo. Anzi, lo Stato potrebbe addirittura rendere appetibile una tale moneta dando ad essa valenza fiscale, cioè accettandola per il pagamento delle tasse.

Ma si potrebbe addirittura spingersi oltre, e sostenere che lo Stato potrebbe emettere “biglietti di Stato” anche “a corso legale” (cioè ad accettazione obbligatoria) purché solo entro i confini del proprio territorio. Infatti, l’articolo 128, primo comma, del Trattato di Lisbona attribuisce l’esclusiva alla BCE in materia di “banconote”, non di “Stato-note” o di biglietti di Stato, che dir si voglia. Dunque, potremmo avere due monete a corso legale sullo stesso territorio italiano: le banconote in euro (valevoli anche oltreconfine, negli altri Paesi dell’eurozona) e le “Stato-note” valevoli solo in Italia.

A questo punto, resta la questione del nome.
Potrebbe – questa nuova moneta di Stato – essere chiamata “euro”? Probabilmente no, perché l’esclusiva, anche sul nome oltre che sul “mezzo”, ce l’hanno UE e BCE.
Supponiamo allora di volerla chiamare “Nuova lira”. Giuridicamente, essa potrebbe “a buon diritto” circolare sul Territorio italiano senza violare i trattati e senza costringere lo Stato a bussare alle porte altrui per generare liquidità.

Due ultime precisazioni. Prima precisazione: La nuova moneta parallela all’euro sarebbe solo “domestica” (cioè usabile solo nel territorio italiano), ma non sarebbe solo cartacea. Proprio come nel caso della monetazione in euro, essa potrebbe, e dovrebbe, circolare pure sotto forma di moneta elettronica. Prescindiamo, per ragioni di sintesi, dal modo in cui potrebbe materialmente realizzarsi il relativo circuito. Ricordiamo solo che “possono emettere moneta elettronica, nel rispetto delle disposizioni ad essi applicabili, la Banca centrale europea, le banche centrali comunitarie, lo Stato italiano e gli altri Stati comunitari, le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali, nonché Poste Italiane” (art. 114 bis Testo Unico bancario licenziato con Decreto legislativo del primo settembre 1993, numero 385). E tanto basti, in punto di diritto.

Aggiungiamo che – ove si riproducesse la stessa proporzione oggi esistente per l’euro – avremo solo un sette per cento di “Nuove Lire” in biglietti di stato cartacei e un novantatré per cento di “Nuove Lire” in moneta elettronica. Seconda precisazione: ci sarebbero problemi pratici? La nuova lira si svaluterebbe nel rapporto di cambio con l’euro? A entrambe le domande rispondiamo affermativamente. Ci sarebbero diversi problemi pratici, come per qualsiasi soluzione innovativa, e ci sarebbe un rapporto di cambio sicuramente sfavorevole alla Nuova Lira. E tuttavia, non è questo il punto.

A noi, in questa sede, interessava dimostrare che l’introduzione di una nuova moneta collaterale (a corso legale o meno) di matrice statuale in territorio italiano è giuridicamente fattibile. Dopo di che, se questo non dovesse “volersi” fare per le resistenza/renitenza del Sistema, dei Mercati, della Finanza, dei Partner o (soprattutto) della volontà dei nostri rappresentanti in Parlamento, è una faccenda che esula dalla indagine di carattere giuridico di questo scritto.

Quel che conta è sgombrare il campo dall’alibi “legale” così declinato: non si può fare perché ci sono i trattati. Non è vero. Si può fare e sarebbe legale. Che poi “legale” non faccia per forza rima anche con “opportuno” o “conveniente”, siamo i primi a riconoscerlo. E tuttavia – ci sia consentito aggiungere – forse si approssima un’epoca in cui conteranno il coraggio e la volontà ben più rispetto all’opportunità e alla convenienza. In tempi eccezionali, sono le misure eccezionali a salvarti la pelle. Non solo: con l’opportunità e la convenienza – soprattutto quelle degli altri, più che non le nostre – abbiamo già mandato praticamente a ramengo il paese più bello del mondo.

Avv. Francesco Carraro

www.avvocatocarraro.it
 

tontolina

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A tutti quelli che in Europa si meravigliano dell'atteggiamento che sta avendo in questi giorni la Germania, con i suoi stati vassalli, verso gli altri stati comunitari vorrei ricordare una cosa. I tedeschi sono l'unico popolo al mondo che ha eretto un monumento di 53.46 metri e venera da generazioni come "eroe della patria" Arminio (Hermann), uno che è tecnicamente un traditore.
Questa cosa non deve essere mai dimenticata, quando ci si siede al tavolo con loro a firmare i trattati.
IL CORONAVIRUS HA SANCITO IL FALLIMENTO DELLA UE (di Mimmo Caruso)



Da italiano fiero del suo Paese e, perché no, orgoglioso delle proprie radici ho provato vergogna nel leggere l’appello che Carlo Calenda, dalle pagine del Frankfurter Allgemeine Zeitung ha rivolto al Governo tedesco per invitarlo a rivedere la propria posizione riguardo alla richiesta avanzata nel Consiglio Europeo di adottare gli Eurobond per affrontare la crisi aggravata dalla diffusione del coronavirus.

E ancora più vergogna ho provato nell’ascoltare la patetica intervista rilasciata alla Tv tedesca Ard dal miracolato di Volturara Appula che ha rinnovato la supplica dell’ex ministro dello Sviluppo Economico nei governi Renzi e Gentiloni dal momento che sono fermamente convinto che sia meglio mangiare pane e cipolla e non mendicare aiuti a governi che fanno i propri interessi e che, come accaduto in passato, cercano di sfruttare situazioni di emergenza per metterci in ginocchio.

Nel 1908, all’indomani del tremendo terremoto che colpì Messina e Reggio Calabria, Franz Conrad Von Hotzendorf, Capo di Stato Maggiore dell’esercito austroungarico, propose una guerra preventiva per regolare i conti con l’Italia approfittando della situazione di debolezza del nostro Paese colpito da quella immane sciagura che provocò oltre 100.000 vittime.

Allora pensavano di piegare il nostro Paese con le armi, ora intendono sottometterlo con il MES e le sue clausole di condizionalità che non siamo in grado di soddisfare.

Tempora mutantur et nos mutamur in illis ripeteva Ovidio oltre duemila anni fa e, non a caso, il Cancelliere Kurz ha appoggiato la posizione tedesca sul cosiddetto meccanismo di stabilità che altro non è se non la riproposizione sotto altre vesti dell’Operazione Alarich (da Alarico re dei Visigoti che saccheggiò Roma) messa in atto dalla Germania nella Seconda Guerra Mondiale dal momento che gli aiuti del MES sono subordinati alla preventiva valutazione di solvibilità e all’obbligo di ristrutturazione del debito pubblico circostanza che equivale a un default di fatto.

In pratica, aderendo al MES l’Italia si sottometterebbe ai diktat del suo direttore generale Klaus Regling e della Commissione Europea presieduta dalla tedesca Von der Leyen che a loro volta rispondono alla cancelliera Merkel interessata a chiedere all’Italia il versamento di 115 miliardi di euro utili per mettere in sicurezza le banche tedesche in crisi senza dare nemmeno un euro al nostro Paese se non a costo di ulteriori tagli al welfare e cessioni di asset a rilevanza strategica così come accaduto alla Grecia.

Conte e Calenda non hanno compreso che la Germania non conoscendo il significato della parola solidarietà di cui, peraltro, noi orgogliosi italiani facciamo volentieri a meno, non accetterà mai di pagare interessi sugli eurobond così come non fornirà mai garanzie per i debiti dei Paesi periferici UE e quindi avrebbero fatto meglio a mantenere un dignitoso silenzio.

Non hanno nemmeno capito che, insistendo nel voler affidare la gestione della crisi a un organismo finanziario internazionale estraneo al diritto primario UE, Germania, Austria, Finlandia, Olanda di fatto sono usciti dalla UE che anche in questa occasione ha dimostrato la sua totale inutilità.

Così come la Grande Guerra ha posto fine alla bella époque e il crollo del muro di Berlino ha decretato la fine del comunismo, il coronavirus ha sancito il fallimento dell’Unione Europea entità priva di valori e principi comuni, un vaso di coccio stretto nella morsa di giganti come Usa, Russia, Cina incapace come è di opporsi anche alle pressioni della Turchia di Erdogan.

E’ ora di portare i libri in tribunale!
 

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