Presente e futuro dell'arte. Facciamo il punto. (2 lettori)

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Baleng: sinceri e sentiti complimenti!
Permettetemi di proseguire sulla mia strada altrimenti mi perdo. Credo che nessuno meglio di un collezionista possa capire il valore di pezzo unico. Eppure, paradossalmente, eccoci qui a valutare degli assemblaggi dal sapore di décupage. Altro paradosso: quell'arte che sembra voler continuare la creazione di arte anti commerciale di qualche decennio fa, ecco che oggi assume valore commerciale a volte spropositato. E la stessa arte nata come opposaizione ad un sistema, ecco che entra nei musei (cattedrali di arte morta) e/o viene battuta al'asta a suon di dobloni. Arte come investimento. Guardo alcuni vecchi e nuovi graffiti metroplitani e la sopresa sale quando scopro il loro valore commerciale.

Sul mio tavolo brulicante di reperti l'immagine che raffigura l'uomo appare in tutte le epoche, ma è il corpo femminile a superare di gran lunga quello maschile. Dalle veneri preisoriche in poi il corpo femmibile è il più celebrato e non mi sembra che con esso si sia voluto celebrare la donna. Le "mostruosità" stranamente hanno corpi maschili. Lucian Freud, ai miei occhi, è l'unico che celebra la carne umana con i sensi accesi di un umano. Forse più in una sua opera che in una di Cezanne sento l'assoluta necessità di unicità. La sedia di Van Gogh, pur non portando nessuno, il suo essere vuota parla e descrive l'uomo in modo poetico toccando i sensi, non solo per ciò che evoca, ma per com'è fatta. Colgo la pennellata ed il gesto di chi l'ha tracciata, colgo il calore, i limiti, i pregi, le volontà, i sogni dell'autore e ne riconosco l'odore, la chimica umana. Il mio sentire si interfaccia immediatamente, automaticamente, con i sensi dell'artista e con lui e grazie a lui l'atto di appercepire mi crea altre emozioni, sottili emozioni che accrescono la mia cosapevolezza.
 

giustino

Art is looking for you
[
Semplificazione porta a imitabilita'
Si tratta ormai di arti diversissime poste sotto lo stesso tetto?

Pare evidente che l'accorciarsi delle catene simboliche nei vari linguaggi appaia chiaro in opere estremamente semplificate, dai grandi quadri bicolori di Burri a quasi tutta la minimal art. , dalle semplificazioni cartoonistiche di Banksy alle boiatine di Koons, che per quanto ingigantite restano elementarissime.
Si tratta di opere che, nella loro semplicita' di esecuzione, risultano falsificabilissime.
Peraltro, volendo un Partenone e' sempre possibile ricostruirlo. E una edizione pirata dei Promessi Sposi in cui venga indicato come autore Baleng e' operazione ancora piu' semplice.
Il problema dell'unicita' riguarda dunque le modalita' di espressione maggiormente dedite a sollecitare la ricchezza sensoriale. Dipinti a olio, pastelli ecc., per esempio. E, di fronte allo sviluppo delle tecniche riproduttive, sara' da chiedersi fino a che punto l'insistere sull'opera originale non appaia anacronistico come chi si aggrappasse alla bella scrittura contro la meccanicita' dei caratteri di stampa.
Solo che non si deve dimenticare quanto si perde in tali semplificazioni. Si perde una ricchezza di sensibilita' frutto di una lunga evoluzione culturale. Il Partenone e' un'opera di architettura, ma le metope inseritevi sono sculture. In quanto tali hanno richiesto un diverso tipo di lavorazione, in funzione del ruolo loro assegnato.

La domanda e': non si saranno magari separate le strade di arti che ancora pretendono di convivere sotto lo stesso tetto? Con quale diritto la sedia/arte concettuale pretende di stare nella stessa ''stanza'' della sedia di Van Gogh? La prima pare la semplice illustrazione di un ragionamento [pseudo]filosofico, di una semplice riflessione intorno ad un concetto. La seconda pretende invece di comunicare solo con i suoi aspetti formali, apprezzati sino alla minima sfumatura: solo secondariamente si potra' giungere ad un ''messaggio''.
Per dire: chi andrebbe al cinema a vedere un film in cui una bandiera sbatte per un'ora e mezza sotto la spinta dei venti in cima ad un grattacielo? Eppure, gli stessi sono capaci di esserne spettatori devoti se lo stesso filmato viene proiettato in qualche Biennale d'arte.

C'è una cosa che mi colpì quando lessi per la prima volta il libro di Betty Edwards: "Disegnare con la parte destra del cervello". Lei dice che quando si disegna il 90% del tempo deve essere dedicato a guardare, osservare e solo il 10% a disegnare.
Era una cosa che nessuno mi aveva detto prima, nemmeno all'Accademia e se ho imparato a disegnare lo devo proprio a quel libro.

L'arte figurativa ha come senso privilegiato la vista. Ma questa è falsata dalle nostre deformazioni professionali. Faccio un esempio: quando entro in casa di qualcuno la prima cosa che guardo sono i quadri alle pareti. Poi magari i mobili, la tappezzeria, le tende, ecc. Ma per quanto sia attento, un'infinità di cose mi sfuggono. Ancor di più andando in giro per la città o per la campagna la mia attenzione viene catturata solo da alcune cose a scapito di tantissime altre.

Da quando appendo le tele all'aperto, agli alberi, alle case... mi piace guardare gli effetti che si creano a seconda del vento e della luce ma c'è di più, ho iniziato a guardare cose alle quali prima non avevo mai fatto caso, le bandiere che sventolano, i panni stesi, il movimento dei rami e delle foglie...

Proiettare quindi il film di bandiere che sventolano in un contesto artistico può aiutarci ad allargare gli interessi del nostro vedere e quindi può acquistare senso ma non solo, l'arte contemporanea quando è tale nel suo evolversi, conquista sempre nuovi territori, mai esplorati prima, apre nuove vie di comunicazione ci propone di allargare il nostro orizzonte, di vedere oltre il nostro piccolo mondo.
 

Heimat

Forumer attivo
Cit. Baleng.
Per dire: chi andrebbe al cinema a vedere un film in cui una bandiera sbatte per un'ora e mezza sotto la spinta dei venti in cima ad un grattacielo? Eppure, gli stessi sono capaci di esserne spettatori devoti se lo stesso filmato viene proiettato in qualche Biennale d'arte.


Eppure qualcuno l'ha fatto: "Empire" di Andy Warhol e dura di più...
Da Wikipedia:
Il film inizia con un'inquadratura completamente bianca dalla quale emerge successivamente la figura dell'Empire State Building. Per 6 ore e mezza, i riflettori esterni della struttura rimangono accesi, mentre le illuminazioni interne si accendono e si spengono. Lungo l'ultima parte della pellicola, le luci esterne si spengono lasciando la struttura quasi completamente oscurata dal buio.
 

vecchio frank

could be worse...
Cit. Baleng.
Per dire: chi andrebbe al cinema a vedere un film in cui una bandiera sbatte per un'ora e mezza sotto la spinta dei venti in cima ad un grattacielo? Eppure, gli stessi sono capaci di esserne spettatori devoti se lo stesso filmato viene proiettato in qualche Biennale d'arte.


Eppure qualcuno l'ha fatto: "Empire" di Andy Warhol e dura di più...
Da Wikipedia:
Il film inizia con un'inquadratura completamente bianca dalla quale emerge successivamente la figura dell'Empire State Building. Per 6 ore e mezza, i riflettori esterni della struttura rimangono accesi, mentre le illuminazioni interne si accendono e si spengono. Lungo l'ultima parte della pellicola, le luci esterne si spengono lasciando la struttura quasi completamente oscurata dal buio.
Ci aveva già provato prima con un altro film: Sleep, del 1963.
Sempre da Wikipedia:
Trama (avvincente)
John Giorno (e chi é?) dorme per 5 ore e 20 minuti.
Produzione
Il film, della lunghezza di 321 minuti, è una delle sue prime sperimentazioni cinematografiche di Andy Warhol.
Warhol estenderà in seguito questa tecnica al suo film della lunghezza di otto ore Empire.
Distribuzione
Sleep è stato presentato in anteprima il 17 gennaio 1964 al Gramercy Arts Theater di New York.
Delle nove persone presenti alla prima, due se ne sono andate durante la prima ora di proiezione (una ero io...).
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
ANCORA SULLA DIFFERENZIAZIONE DEGLI ATTEGGIAMENTI, DEL COME CI SI PONE E COME SI OSSERVA

Certamente. Mi ricordavo di queste performance di A. Warhol, solo che da dove sono non potevo darne un conto preciso e ho optato per l'esempio.
E se qualcuno dei partecipanti si e' sorbito ore di filmati come quelli mi levo tanto di bendiazepina. Ma credo sia piu' facile citare fatti altrui che quelli davvero vissuti. Perche', Giustino, d'accordissimo sull'osservare cose che prima sfuggivano, ottimo. Ma tu sei stato a vedere non i 5 minuti del vessillo al vento in municipio, ma le ore ed ore prodotte dal buon Andy Bucodiguerra? e magari hai portato la fidanzatina una domenica a vederlo al SuperLux? :prr:

Comunque, guardiamo alla luna: l'esempio indicava semplicemente che ha grande importanza l'attitudine con cui ci si accinge a vedere qualcosa. E che le stesse stelle filanti + coriandoli che ci fanno allegria (forse) in una sfilata di Carnevale, possono darci un certo fastidio se presenti ad un'expo di Rodin, o essere visti come opera d'arte in una expo di Koons.

Senza contare, poi, che Andy Bucoeccetera non intende affatto vivacizzare la nostra attenzione ...

Infine, intendo rinforzare l'esempio con una immagine gia' proposta in post precedenti. Se tu andassi in trattoria e ti proponessero pillole di sali+vitamine da deglutire in un lampo sarebbe lo stesso che se ti dessero un piattone di lasagne succulente? Certo che no. Pero' potrei accettare le pillole in funzione di un certo regime alimentare, solo che non vado in trattoria a prenderle. Assumere pillole o assumere lasagne puo' anche dare risuletati comparabili: quello che e' diverso sta nel modo, nell'atteggiamento, nel piacere presente, nella sensorialita'. Lasagne in trattoria, pillole in farmacia. Lasagne te le godi, pillole, magari, ne avrai vantaggio ...

In un vecchio film un bambino mostrava all'amante della madre econutrizionista fanatica il proprio pane super integrale. ''E' buono?'' chiedeva il bellimbusto. ''E' sano'' rispondeva tristemente il ragazzo.
E ho detto tutto :jolly:

Comunque, la rieducazione attenzionale comincia proprio come esemplifica @giustino , ampliando gli oggetti dell'attenzione oltre i confini del solito, dell'utilitaristico, del gia' programmato. Ma faccio notare che osservare, per esempio, la crescita di un fungo non avviene nello stesso modo ove si intenda valutarne gli aspetti artistici (e Giustino e' tutto li' o quasi), oppure quelli scientifici (tipo rapporto gambo/cappello e soprattutto cause delle modifiche di questo rapporto), o infine quelli piu' profondi, in cui si puo' giungere allo stesso senso che ha l'esistenza del fungo - non solo scientificamente, dunque, tipo funzione del fungo nel ciclo della natura, ma addirittura saper cogliere che il fungo e' una via di mezzo tra animale e vegetale, e persino avvicinarsi alla comprensione del suo essere un residuo ritardatario di altre epoche, come osservano le scienze spirituali.
Poi, degli atteggiamenti scelti occorre pure essere consapevoli. Invece, chi propone, per esempio, l'arte concettuale in un museo di arte moderna non vuole affatto favorire la nostra consapevolezza, ma confonderci + o - artatamente: essa andrebbe esposta, se proprio lo si vuolo fare, in un contesto ben diverso essendo, come sopra osservato, non creazione o generazione, ma creazione di commenti.

Certo, pero', che dal punto di vista economico conviene mostrarla come arte figurativa, visto che anche uno scrittore di successo non ottiene dal suo lavoro un centesimo di quanto ricavi un pittore mediamente noto dai suoi. Il filosofo vive come un Diogene, ma il suo banalizzatore, spacciandosi per artista, si fa le ville
 
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sans souci

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Per tornare, dopo gli interessanti interventi fin qui succedutisi, al quesito iniziale del thread, vorrei chiedervi se siete ben coscienti del particolare periodo storico che stiamo vivendo.

La globalizzazione ha ormai quasi dappertutto uniformato le possibilità di accesso alle forme, anche le più avanzate, di tecnologia, quindi di benessere;
la progressione geometrica nei risultati correnti della tecnologia stessa crea - e talvolta distrugge – nell'arco di pochi mesi mutamenti di gusti e necessità, quindi di offerta e quindi di domanda;
forse ancora più importante nella nostra filosofia postmoderna, la narrazione, da cui l'appiattimento in un politically correct attinge fortemente attraverso tutti gli organi di informazione e comunicazione, crea la realtà, crea i fatti.
La storia predominante diventa la cultura e la verità della società. In altre parole, la narrazione definisce e forma oggi la realtà, non viceversa come sempre accaduto.

Vale a dire che stiamo vivendo un cambio epocale di paradigma. Magari senza accorgercene passando le ore, i giorni, i mesi nelle nostre personali faccende, ma personalmente sento sotto i piedi lo scorrere di un fiume di novità, non sempre opportune o gradevoli, che volenti o meno influisce e sempre più influirà, non so bene come, nelle nostre vite.

George Orwell, solo avesse avuto sentore dei nostri tempi, ci avrebbe scritto sopra un avvincente romanzo di cui non riesco a immaginare – almeno più di tanto – il finale. Non diversamente dalla Fattoria degli animali e da 1984, il filo conduttore sarebbe tuttavia sicuramente rimasto il medesimo, ossia il controllo del cervello. Il nostro.

Se gli artisti, oggi, non riescono a sentire questa velocità, con cambio di direzione ancora confuso ma reale, diversa ma ugualmente sensibile come nel breve periodo del Futurismo, allora non riescono ancora a precorrere i loro/nostri tempi. Non sono quindi veri artisti.
Ne vedete voi in giro?
 

Cris70

... a prescindere
Forse oggi il vero quesito è quello di chiedersi chi è l'Artista? Prima ancora di cercarlo forse, dico forse, occorrerebbe trovare una giusta definizione valida nel 2020.


Fonte Treccani:

artista s. m. e f. [dal lat. mediev. artista «maestro d’arte»] (pl. m. -i). – 1. Chi esercita una delle belle arti (spec. le arti figurative, o anche la musica e la poesia): gli a. del Rinascimento; gli a. della scuola romana. Come termine di classificazione professionale e dell’uso com., anche chi svolge attività nel campo dello spettacolo (teatro, cinema, ecc.): a. lirico; a. di varietà; gli a. della radio, della televisione; i camerini degli a.; ingresso riservato agli artisti. Il termine implica spesso un giudizio di valore ed è allora attribuito a chi nell’arte professata ha raggiunto l’eccellenza: è un vero a., un grande a., un a. di genio. Con riferimento alla poesia, è talora contrapposto a poeta, considerando come qualità proprie di questo la forza dell’ispirazione e del sentimento, l’altezza della fantasia, e attribuendo all’artista soprattutto virtuosismo e abilità tecnica. Per la facoltà degli a., o facoltà delle arti, nelle università medievali, v. arte, n. 1 a. 2. estens. Chi ha fine senso dell’arte ed è aperto al sentimento del bello: ha un’anima d’a.; parla, scrive, suona da a.; o chi eccelle nella propria professione, attività o mestiere: quel chirurgo è un a.; ho trovato un falegname che è un vero a.; questo giovane calciatore è un a. del pallone. 3. ant. Artigiano: la cittadinanza, ch’è or mista Di Campi, di Certaldo e di Fegghine, Pura vediesi ne l’ultimo artista (Dante). ◆ Spreg. artistùcolo; rari l’accr. artistóne e il pegg. artistàccio (tutti con il rispettivo femm. -a).
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Siamo ancora sicuri che questa definizione possa considerarsi del tutto valida anche nei giorni nostri? :mmmm:
 

RexRacer

Forumer attivo
Per tornare, dopo gli interessanti interventi fin qui succedutisi, al quesito iniziale del thread, vorrei chiedervi se siete ben coscienti del particolare periodo storico che stiamo vivendo.

La globalizzazione ha ormai quasi dappertutto uniformato le possibilità di accesso alle forme, anche le più avanzate, di tecnologia, quindi di benessere;
la progressione geometrica nei risultati correnti della tecnologia stessa crea - e talvolta distrugge – nell'arco di pochi mesi mutamenti di gusti e necessità, quindi di offerta e quindi di domanda;
forse ancora più importante nella nostra filosofia postmoderna, la narrazione, da cui l'appiattimento in un politically correct attinge fortemente attraverso tutti gli organi di informazione e comunicazione, crea la realtà, crea i fatti.
La storia predominante diventa la cultura e la verità della società. In altre parole, la narrazione definisce e forma oggi la realtà, non viceversa come sempre accaduto.

Vale a dire che stiamo vivendo un cambio epocale di paradigma. Magari senza accorgercene passando le ore, i giorni, i mesi nelle nostre personali faccende, ma personalmente sento sotto i piedi lo scorrere di un fiume di novità, non sempre opportune o gradevoli, che volenti o meno influisce e sempre più influirà, non so bene come, nelle nostre vite.

George Orwell, solo avesse avuto sentore dei nostri tempi, ci avrebbe scritto sopra un avvincente romanzo di cui non riesco a immaginare – almeno più di tanto – il finale. Non diversamente dalla Fattoria degli animali e da 1984, il filo conduttore sarebbe tuttavia sicuramente rimasto il medesimo, ossia il controllo del cervello. Il nostro.

Se gli artisti, oggi, non riescono a sentire questa velocità, con cambio di direzione ancora confuso ma reale, diversa ma ugualmente sensibile come nel breve periodo del Futurismo, allora non riescono ancora a precorrere i loro/nostri tempi. Non sono quindi veri artisti.
Ne vedete voi in giro?

questo è il tema che in assoluto mi interessa di più, a prescindere dall'arte ma anche nel suo impatto sull'arte.
siamo nel pieno di una rivoluzione epocale per l'uomo, ciò che era ieri non lo è già più oggi.
i media elettrici hanno azzerato le distanze (con la conseguente globalizzazione) ed il tempo (con il conseguente eterno presente e la fine della storia); questo e il nuovo dominio dell'immagine sul testo scritto, hanno radicalmente cambiato il nostro modo di comunicare e quindi ogni forma di comunicazione ed espressione, arte compresa.

inoltre, in questo contesto, il sistema capitalista è diventato sempre più invasivo, nel tentativo di controllare il più possibile le nostre comunicazioni e, in questo modo, controllare i nostri desideri, le nostre necessità (moltissime applicazioni delle moderne tecnologie vanno in quella direzione spinte principalmente da interessi commerciali).

forse la crisi dell'arte deriva anche da questo... il dominio assunto dalla tecnologia sulla società tutta, necessiterebbe di artisti-tecnici (*) ma al tempo stesso la tecnologia è diventata così complessa e specialistica che è difficile dominarla anche dedicandovi tutte le proprie risorse....

(*) A tale proposito sto leggendo un libro molto interessante "L'alba del nuovo tutto" di Jaron Lanier, uno dei pionieri della realtà virtuale, che, nell'idea dei suoi primi creatori, voleva essere anche una forma d'arte per il XXI secolo; in fin dei conti l'arte è anche una stimolazione dei sensi ed il suo effetto sul nostro essere più intimo e la realtà virtuale può anche essere vista come "un'immagine speculare degli organi sensoriali e motori di un individuo o il rovesciamento del corpo umano" e permette la creazione di opere visuali, la creazione di nuovi mondi
 
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RexRacer

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Per tornare, dopo gli interessanti interventi fin qui succedutisi, al quesito iniziale del thread, vorrei chiedervi se siete ben coscienti del particolare periodo storico che stiamo vivendo.
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Se gli artisti, oggi, non riescono a sentire questa velocità, con cambio di direzione ancora confuso ma reale, diversa ma ugualmente sensibile come nel breve periodo del Futurismo, allora non riescono ancora a precorrere i loro/nostri tempi. Non sono quindi veri artisti.
Ne vedete voi in giro?

Tornando però alla domanda, io sono convinto che il movimento artistico che ha accompagnato ed in parte "sentito" in anticipo l'inizio di questo cambio radicale di paradigma sia la street art, principalmente nei modi e nelle dinamiche, non nel discorso estetico
Uscendo dalle centenarie dinamiche del mondo dell'arte e da quelle ormai consolidate della comunicazione, hanno percepito lo sgretolarsi -oggi ancora in atto- dell'autorità delle istituzioni (tutte, nello specifico dei musei e delle gallerie d'arte) e l'osbolescenza dell'intermediazione a favore di un nuovo modo di esprimersi e di mostrare la propria arte, e quindi sé, al mondo(si badi bene, sembrano essere nella nostra vita da sempre ma instagram è del 2012, youtube del 2005, e facebook del 2004!!!), in gran parte dovuto allo svanire della separazione tra spazio privato e spazio pubblico come effetto dei nuovi media (sempre per questo motivo, tra l'altro, Salvini e Renzi sono politici completamente diversi anche solo da Prodi e Berlusconi -anni 90-...per non parlare dei politici del passato).

I questo senso anche DeviantArt (dal 2000) è stato un precursore ma più specialistico e senza l'effetto prorompente avuto dalla street art sul mondo dell'arte tutto.

Domani? boh! :)
 
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"Ars longa, vita brevis".

siamo nel pieno di una rivoluzione epocale per l'uomo, ciò che era ieri non lo è già più oggi.


Siamo ancora sicuri che questa definizione possa considerarsi del tutto valida anche nei giorni nostri?

forse la crisi dell'arte deriva anche da questo...

Flaminio Gualdoni coraggiosamente ha diviso l'arte in "Arte che narra" e "Arte che si racconta". Personalmente non credo che l'arte sia in crisi. Forse è in crisi l'arte che si racconta, cioè l'arte che manipola il linguaggio visivo creando metalinguaggi o semplicemente continuando l'analisi del rapporto "significato" e "significante". È in crisi quell'arte in cui è lo strumento a predoninare sull'artefice. Ma è in crisi solo perché ripetitiva, spesso vuota e quasi sempre banale, non certo perché fuori da un mercato che ancora paga.
Continuo a mettere in relazione i nostri sentimenti e le conseguenti emozioni nella valutazione di un'opera d'arte da punti di vista culturali che ne permettono la lettura.
Oggi la libertà creativa offerta dai nuovi strumenti è elevatissima. Ma...scusatimi l'esempio...che tipo di emozione mi offre una ballerina la cui élévation è esasperata da un drone? Il lavoro di una ballerina per arrivare ad offrire la sensazione di essere senza peso è immenso e carico di sacrifici e di sofferenze! Poi che fa la differenza è un qualcosa di indefinibile ma percepito da molti che si chiama emozione.
Quale futuro?
Negli anni '60 la media nazionale era ancoa in procinto di assimilare l'impressionismo, ora vedo in molti salotti, salottini, studi notarili, sale d'aspetto di medici e dentisti, opere informali. E mi chiedo qual è stata la scintilla che ha acceso un così particolare interesse tanto da far sborsare soldi per comprare opere la cui fruizione non è semplice.
Chiedo ai collezionisti qui presenti cosa porta a preferire un sottoprodotto del populismo estetico e culturale ad un'opera la cui cultura è presente nella narrazione e nella tecnica?
È che la questione ai giorni nostri è estremamente complessa. E le maggiori complicazioni derivano dall'impossibilità oggettiva di sviluppare una cultura a parità di livelli nelle varie discipline. Un ingnegnere edile pochi giorni fa mi ha confessato che molti dei suoi colleghi nel settore artistico esprimono una cultura molto carente.
Io stesso suppongo di avere una sufficiente cultura visiva e di avere ben chiara l'evoluzione artistica nella storia, ma poi crollo di fronte ad un Banksy.
Cosa può opporsi e vincere ogni soggettività nel mondo dell'arte?
La rivoluzione epocale è data dai mezzi di comunicazione che hanno dato la parola a tutti. Ma è una pseudorivoluzione.
In realtà spopola un populismo ben cavalcato ad esempio da Cattelan.



 

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