Guerra fredda tra USA e CINA (1 Viewer)

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ma guarda gli stessi mezzi di informazione UE fanno leva sulla guerra ambientalista

resta da capire se le sanzioni verranno date alle aziende USA o quelle UE


 

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Guerra commerciale effetto domino: ultimi aggiornamenti da Pechino
L'impatto delle tensioni Usa-Cina inizia ad espandersi: ad aprile cala l'export in Giappone; netto peggioramento della bilancia commerciale nipponica. USD/CNH di nuovo sui massimi a sei mesi. Il dollaro vince su tutto.

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Forex Cina Stati Uniti US Dollar Giappone USD/CNH

Gloria Grigolon | Financial Writer, Milano | Mercoledì 22 Maggio 2019 08:19

Effetto guerra commerciale sui principali dato macro di giornata, con la Cina che arretra sul fronte industriale ed il Giappone che rallenta sul calare del Dragone. E mentre sul mercato si continua a temere un’escalation delle tensioni commerciali tra le due più grandi economie al mondo (nonostante i 90 giorni di tregua concessi a Huawei da Washington), l’indice dell’area Asia-pacifico si muove attorno alla soglia della parità, indeciso sul da farsi.

Produzione industriale Cina in calo
Ad aprile la produzione industriale cinese ha deluso le attese, con una crescita del 5,4%, inferiore alle aspettative (+6,5%) ed in calo rispetto al +8,5% di marzo.
Male anche le vendite al dettaglio, salite del 7,2%, rispetto ad un consenso dell’8,6%.
Con il peggioramento delle relazioni Stati Uniti-Cina e la minaccia alla big della tecnologia (che il prossimo 19 agosto potrebbe non poter più accedere agli aggiornamenti Google Android e ai prodotti di fornitori Usa), le prospettive di un accordo sembrano allontanarsi sempre più. La mossa del Dipartimento del commercio statunitense, comunque, avrebbe come unico fine quella di fornire agli operatori di telecomunicazioni che si affidano a Huawei il tempo per prendere altri accordi con altri competitor.

Non solo: una notizia trapelata ieri dal New York Times ha riportato che gli Stati Uniti potrebbero porre dei limiti alla capacità di acquisto di tecnologia statunitensi anche ad altri player cinesi di settore, tra cui Hikvision.

Guerra commerciale: impatti e dubbi
Al momento, è difficile quantificare quale impatto potranno avere le misure americane sulla redditività delle società del settore. Il timore è quello di un rallentamento complessivo della motrice tecnologica, forza prorompente sui mercati finanziari.
Un primo effetto contagio si è registrato nella notte di oggi, quando il Giappone ha rilasciato un dato sull’export di aprile negativo e pari al -2,4% contro attese a -1,8%. Nettamente ridimensionata, inoltre la bilancia commerciale del Paese, passata dai precedenti 527miliardi agli attuali 60,4 miliardi (contro aspettative a 203,2 miliardi).

Trade War: gli effetti sul mercato
Anche il cambio dollaro/yuan è tornato a muoversi a rialzo, di nuovo al test dei massimi a 6 mesi, dopo la giornata interlocutoria di ieri. Nell’attuale fase di precarietà, il biglietto verde continua ad esser scelto dagli investitori come uno degli assets più sicuri, quasi a significare quanto l’America abbia il coltello dalla parte del manico. L’apprezzamento del Dollaro assieme con le minori prospettive di crescita, ha portato ribassi sia sul petrolio, con Wti tornato a quotare sotto i 62,5 dollari al barile, sia sul gold, il cui principale acquirente è da qualche anno la Cina stessa.
 

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Si stringe il cappio attorno a Huawei: Giappone e Regno Unito si uniscono al bando

Si stringe sempre più il cappio attorno a Huawei, ed a questo punto ci sono dei seri dubbi che possa proseguire nella propria attività produttiva.
Anche se le misure di bando di Google sul sistema Android sono state rinviate per 3 mesi, soprattutto per permettere ai punti vendita di dismettere i modelli in magazzino, altre aziende fornitrici di componenti essenziali si stanno unendo al bando mettendo seriamente in forse che la società possa sopravvivere.

In GIAPPONE ARM, uno dei principali produttori di microprocessori, chip, per smartphone, ha deciso di cessare la propria fornitura a Huawei. La società giapponese utilizza tecnologie americane per produrre i propri processori e non vuole incappare nella possibilità di violare il bando USA in nessun modo. Ma escludendo questi Chip si mette in forte dubbio la capacità di Huawei di produrre Pad e Smartphone. Anche TOSHIBA si è unita al bando, anche se solo in modo temporaneo per escludere qualsiasi prodotto che abbia componenti Made in USA, ed ha annunciato che, dopo un periodo di sospensione ed analisi, riprenderà con i prodotti al 100% giapponesi. PANASONIC aveva già interrotto le forniture, sempre per il timore di condividere tecnologie americane. Se passiamo a considerare la clientela Softbank, DoCoMo e KDDI, principali fornitori di servizi telefonici nel Paese, hanno deciso di non acquistare più prodotti Huawei.

Nel REGNO UNITO VODAFONE e la propria controllata EE hanno anch’esse deciso il bando dei prodotti Huawei dalla rete 5G nazionale. Anche il telefono Mate X che doveva essere offerto come uno dei primi ad utilizzare la nuova tecnologia non verrà più offerto nei punti vendita della società di telecomunicazioni.

le componenti che non vengono più fornite alla società cinese dalle controparti internazionali iniziano ad essere troppo complesse e numerose per poter essere rimpiazzate, sicuramente nel breve periodo, ma anche nel medio lungo. A questo punto si tratta di iniziare a sviluppare in house una serie di prodotti complessi dalle memorie solide ai processori al sistema operativo, con anche il problema, per quest’ultimo, di renderlo o perfettamente compatibile con uno già esistente oppure di garantirgli una diffusione tale da essere attraente per gli sviluppatori di App. Se lo stato cinese può imporre degli standard sul mercato interno, la situazione diventa molto complessa su quello internazionale e vi è la necessità di investimenti enormi per superare le barriere all’entrata del mercato. Chi si può avvantaggiare in questa circostanza? Il principale concorrente di Hauwei, Samsung, che infatti ha visto crescere il valore delle proprie azioni negli scorsi giorni.
 

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Trump, Cina, dazi: provvedimenti contro la svalutazione competitiva
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By Gloria Grigolon
24 mag 2019

Applicazione di extra tariffe Usa sulle merci provenienti da Paesi stranieri in cui vige una politica di svalutazione competitiva della divisa nazionale.
Mossa monetaria?
No, puramente commerciale.
Osservato speciale: Cina.


Applicazione di extra tariffe sulle merci provenienti da Paesi stranieri in cui vige una politica di svalutazione competitiva della divisa nazionale. Una mossa puramente commerciale, che non coinvolge in nessun modo l’operato della banca centrale. E’ questa la nuova proposta dell’Amministrazione Trump che, dopo aver annunciato l’intenzione di etichettare la Cina come manipolatrice valutaria, potrebbe ora passare ai fatti.

Guerra commerciale o valutaria?
La proposta, pubblicata ieri nel Registro Federale, consentirebbe alle società con sede negli Stati Uniti di richiedere l’applicazione di dazi su quei prodotti provenienti da regioni (individuate dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti) ove si applicano svalutazioni competitive della moneta, volte a stimolare l’export e a migliorare i livelli di bilancia commerciale.

Svalutazione competitiva: cos’è
Con svalutazione competitiva si intende una strategia di politica monetaria tramite la quale una banca centrale genera il deprezzamento della propria divisa per stimolare l'economia del Paese. Per conseguire tale obiettivo, l’istituto centrale può tagliare il livello dei tassi di interesse o adottare misure espansive non convenzionali (immettere nuova moneta nel sistema). Principale rischio che si cela dietro tale tipologia di azioni è un’impennata brusca dell'inflazione.

L’azione sulla moneta
"Questa misura mette in guardia gli esportatori stranieri dal fatto che il Dipartimento del Commercio può controbilanciare gli interventi valutari che danneggiano le industrie statunitensi", ha riferito in una nota il ministro al commercio, Wilbur Ross. L’amministrazione Trump ha inoltre precisato che la mossa non coinvolge in alcun modo le strategie monetarie statunitensi (e dunque l’operato della banca centrale) e che non si tradurrà in oscillazioni valutarie.

L’apertura americana a nuove tariffe complica il rapporto tra le due maggiori economie al mondo, prime rivali nel campo tecnologico, settore fin dal principio alla base del contendere.

Come la Cina manipola la sua moneta
A monte del tasso di cambio cinese con le principali valute mondiali, dollaro in primis, vi è l’azione della People Bank of China. Quando un’azienda cinese esporta merci all’estero, ricevendo in pagamento valuta straniera, essa deposita tale cifra presso la sua banca, che a sua volta chiede alla PBoC la conversione in yuan. La PBoC viene quindi in possesso di valuta estera che non viene immediatamente venduta sul mercato del Forex, ma investita per una parte in riserve, per l’altra parte acquistando attività estere, quali Treasury Usa (in dollari USD) e Bond europei (in euro). Agendo sulle riserve, nonché sugli asset in portafoglio, la Cina riesce ad equilibrare i propri livelli di cambio liberando ed acquistando attività estere senza fare ricorso alla stampa di nuova moneta o alla convertibilità della stessa.

Guerra commerciale o tecnologica?
Dopo la decisione del dipartimento del commercio che ha inserito Huawei nella blacklist delle società a rischio per la sicurezza nazionale (fattore che impedirebbe alle aziende statunitensi di fare affari col più grande produttore mondiale di apparecchiature per tlc), il colosso del Dragone ha più volte ribadito di non rispondere né al governo cinese, né ai servizi militari, né all’intelligence nazionale.

“Negli ultimi tempi alcuni politici statunitensi hanno fatto circolare voci d’accusa su Huawei, senza mai produrre però prove chiare" ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lu Kang. Secondo Lu, gli Stati Uniti starebbero volutamente suscitando sospetti tra gli operatori confondendo e pilotando l’opinione pubblica.

I politici statunitensi, ha quindi concluso Lu, continuano a "fabbricare bugie per cercare di ingannare il popolo americano, puntando ad incitare l'opposizione ideologica".

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha intanto profilato una risoluzione delle questioni con Huawei nel quadro di un accordo commerciale tra Washington e Pechino, additando però il gigante tech come "molto pericoloso".

Dal canto suo, la Cina ha ribadito che gli Stati Uniti dovrebbero smettere di usare la porpria leadership per sopprimere e ostacolare società che non siano le loro o che, come nel caso della tecnologia 5G, sono più avanti dei progressi statunitensi.
 

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Le possibili ripercussioni del danno d’immagine subito da Huawei a causa del ban USA (aggiornato)
Nella speranza che il grande polverone alzatosi su Huawei – a causa del blocco negli USA imposto dal governo a stelle e strisce – possa risolversi nel migliore dei modi per tutte le parti coinvolte, difficilmente il produttore cinese riuscirà ad evitare ripercussioni nel breve e nel lungo termine. L’onta di essere stata inclusa nella lista di aziende potenzialmente lesive della sicurezza nazionale non si laverà via così facilmente, soprattutto agli occhi dei consumatori. E gli analisti iniziano già ad ipotizzare e quantificare l’incidenza del danno d’immagine subito da Huawei. Secondo fonti...
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se cala l’export verso gli USA si incrementa quello verso Taiwan, il Messico e il VietNam, paesi avanzati o in sviluppo che possono aumentare gli acquisti,
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L’aumento dell’export cinese nei tre stati è stato seguito da un aumento consistente di quello di questi paesi verso gli USA, con un picco di più del 58% per il VietNam e del 3% per Taiwan.
ppare chiaro che molte ditte cinesi stanno approfittando di intermediari compiacenti in questi stati per far transitare le proprie merci esenti da dazi.
Questo effetto sicuramente viene in parte e mettere i dazi fuori gioco, ma, nello stesso tempo è stato probabilmente tenuto in considerazione dal governo USA che in questo modo vede distribuiti a paesi alleati parte dei margini che prima erano di competenza solo cinese.
Bisogna poi dire che paesi più competitivi dal punto di vista tecnologico ne stanno approfittando, con la Cina Nazionalista che ha iniziato ad esportare 2700 nuove categorie di prodotti negli USA che prima non esportava. Nello stesso tempo la Cina sta sovvenzionando pesantemente le società più colpite dai dazi per permettere loro di superare questi momenti difficili.
 

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made in USA?
ho preso un surface pro 4 anni fa, come prodotto e' imbarazzante!
niente a che vedere con i vecchi prodotti in stile IBM
una volta potevi prendere una tastiera IBM e lanciarla dal 3' piano e continuava a funzionare!
perfino i gloriosi mede in Italy olivetti M24 erano degli ossi indistruttibili
ora ci sono solo piccoli telefonini impossibili da riparare e con una vita di pochi anni causa guasti e obsolescenza

made in USA non ci sara' mai piu' con questo tipo di economia
 

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Rischio recessione: possibili effetti dalla guerra commerciale
Economia mondiale a rischio: dubbi sull'incontro Donald Trump-Xi Jinping al G20 di Osaka (28-29 giugno). Morgan Stanley: l'assenza di sviluppi sul fronte guerra commerciale apre la possibilità di una recessione entro 3 trimestri.
Fonte: Bloomberg
Gloria Grigolon | Financial Writer, Milano | Lunedi 03 Giugno 2019 10:52


Economia mondiale a rischio recessione, qualora nel corso del G20 di Osaka di fine giugno (28-29) i due presidenti Donald Trump e Xi Jinping non riuscissero ad incontrarsi per discutere di commercio internazionale. A riportare la previsione di alcuni economisti è Reuters, che ha evidenziato come il faccia a faccia atteso dai mercati non sia affatto scontato. A proposito, gli analisti di Morgan Stanley hanno espresso la propria opinione: qualora il botta e risposta tra Washington e Pechino proseguisse, non è escluso l'avvento di una nuova recessione entro tre trimestri. Cosa sta accadendo?

Rischio recessione: focus Cina, India, Filippine
A maggio, la produzione industriale nella maggior parte dei Paesi asiatici ha registrato una contrazione, dettata da un calo generalizzato della crescita e dall’inasprirsi della guerra commerciale tra Washington e Pechino.
Nonostante nella mattinata di oggi l'indice Caixin / Markit Manufacturing Purchasing Managers (PMI) cinese abbia mostrato una modesta espansione a 50,2, offrendo agli investitori parziale sollievo, la guerra a suon di dazi posta in essere dalle due più grosse economie al mondo potrebbe generare un innalzamento generale dei costi di rifornimento e produzione, ponendo un ulteriore freno all’espansione economica.

Per la Cina le prospettive rimangono incerte e le stime di produzione delle imprese locali sono le meno ottimistiche dall'aprile 2012.
A peggiorare il quadro d’insieme, il calo dei PMI al di sotto della soglia di espansione a 50 punti di Giappone, Corea del Sud, Malesia e Taiwan.
Dati migliori ma al di sotto delle aspettative in Vietnam, mentre nelle Filippine sono leggermente migliorati; l'espansione nelle Filippine riflette una forte domanda interna ed una minore dipendenza dal commercio.

In India, dove la crescita dipende in larga misura dalla domanda interna, il settore manifatturiero è cresciuto al ritmo più veloce degli ultimi tre mesi, con il sentiment favorito dalla vittoria elettorale del primo ministro Narendra Modi. Ulteriori riforme economiche saranno però cruciali, alla luce dei numeri resi noti venerdì, che tra gennaio-marzo hanno mostrano una economia che cresce al ritmo più lento degli ultimi quattro anni.

Politica monetaria: India e Australia pronte al taglio
Lo shock derivante dall'escalation delle tensioni commerciali non sarà positivo per il commercio globale. In termini di risposta, le diverse banche centrali potrebbero decidere di modulare la propria politica monetaria, che quasi ovunque tenderà al ribasso.

Già a partire da questa settimana, le banche centrali di Australia e India dovrebbero tagliare il costo del denaro, cui potrebbero far seguito anche altre economie. Da Pechino si attendono invece nuovi stimoli monetari, col Governo centrale che dovrebbe raddoppiare le linee di credito alle società private.

Con il blocco europeo che arranca di fronte ad una netta revisione delle stime di crescita e alle tensioni politiche che si stanno avvicendando in più di una regione (Italia in primis), gli Stati Uniti potrebbero approfittare del momento delicato per attestarsi ancor più come prima potenza al mondo, tendenza che ha portato ad un consistente incremento del dollaro a stelle e strisce a partire dal secondo trimestre dello scorso anno (+4% contro il paniere delle sette valute principali sul mercato valutario).

Federal Reserve: quanti interventi sui tassi nel 2019?
Secondo gli economisti sentiti da Reuters, l'attività della zona euro dovrebbe continuare a ridursi, mentre la produzione statunitense tenderà a crescere in modo costante. Il malessere economico globale potrebbe tuttavia spingere la Federal Reserve a tagliare il proprio costo del denaro: il mercato sconta ormai al 100% la possibilità di un taglio dei tassi federali entro settembre, con una probabilità del 50% di una mossa entro il 30-31 luglio.
JP Morgan si aspetta un doppio intervento della Fed, segnerebbe in tal mondo un netto cambio di marcia rispetto al recente passato. I tassi dovrebbero dunque restare in sospeso fino alla fine del 2020.

Guerra commerciale: chi ne trae beneficio
Société Générale ha deciso di porre la luce su coloro che, dalle tensioni commerciali, hanno ottenuto vantaggi. L’aggravio delle tariffe sul settore industriale (specie beni strumentali ed elettronica) ha visto crescere i business di Germania, Messico, Corea del Sud e Taiwan. Il Vietnam è stato il maggior beneficiario, approfittando della guerra aperta sul fronte tecnologico, che ha beneficiato delle crescenti minacce sul mercato degli smartphone. Tra i paesi del sud-est asiatico col maggior potenziale di crescita, hanno evidenziato SocGen, al Vietnam si affianca la Thailandia.
Porte chiuse, infine, alla Corea del Sud, le cui esportazioni, viste come pietra miliare della crescita mondiale, sono scese a maggio del 9,4%, peggio delle stime che vedevano un rallentamento attorno al 5,6%.

Stati Uniti-Cina: rischio recessione in tre trimestri
Qualora gli Stati Uniti proseguissero sulla linea dura e la Cina continuasse a reagire alle mosse americane, "potremmo finire in una recessione (globale) entro tre trimestri” hanno fatto sapere da Morgan Stanley. Intanto, il presidente a stelle e strisce ha rivolto la propria invettiva su altre mire, Messico in primis (per motivi di sicurezza nazionale) e Australia poi (decisione annunciata questo week end). Trump ha infine tolto all’India lo “special trade” status, che le permetteva di beneficiare di tariffe meno vessatorie su settori quali il tessile, la gioielleria e l’agricultura.
 

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