Effetti a catena...
Nei giorni scorsi, Donald Trump ha messo le mani avanti, affermando che se non si arriverà ad un accordo, gli Stati Uniti ci guadagneranno comunque 100 miliardi di euro, incassati con l’applicazione dei dazi su tutti i 500 miliardi di merci cinesi importate.
La Cina non è in grado di replicare su questo terreno, visto che l’import di merci statunitensi è solo di 150 miliardi. Ma ci sono altri modi per far male all’avversario. Per esempio indebolendo la valuta, o riducendo gli acquisti di debito americano. Ci sono segnali che Pechino, senza farsi notare, sia già in azione. Lo yuan negli ultimi giorni si è svalutato parecchio. L’asta da 27 miliardi di dollari di ieri del Treasury Note a dieci anni di due giorni fa è andata male, registrando il più basso tasso di copertura dell’offerta degli ultimi dieci anni. La domanda dall’estero, un indicatore della partecipazione dei soggetti cinesi, è stata modesta. La Cina non può disertare del tutto le aste del Tesoro americano, ma potrebbe sostituire una parte delle sue riserve in valuta pregiata, con l’oro, che infatti negli ultimi giorni, sta salendo.
Gli Stati Uniti hanno già capito che la Cina potrebbe essere meno avida di Treasury Note, infatti stanno manovrando affinché qualcuno colmi il vuoto lasciato da Pechino. A comprare la carta del debito statunitense potrebbe essere la solita Federal Reserve. Non è un caso che anche questa settimana, alcuni membri del board della banca centrale abbiano parlato della possibilità di condurre la politica monetaria in un modo non convenzionale, operando solo su un determinato tratto della curva dei tassi di interesse. Si tratterebbe di una specie di QE di nuova generazione, una via non tanto diversa da quella intrapresa dal Giappone circa tre anni fa.