Obbligazioni bancarie Obbligazioni Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca (6 lettori)

Fabrib

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ROMA (MF-DJ)--"Quella banca ci ha portato solo guai, fin dall'inizio. Ricordo il pranzo in cui mio padre ci disse che sarebbe voluto diventare presidente della Popolare di Vicenza. Eravamo a casa, in campagna, a Montebello Vicentino. Lo ascoltai fino in fondo, poi gli dissi che era una pessima idea, che non ero d'accordo e che non doveva farlo. Avevo 23 anni, era il 1996".
Lo ha detto Domenico Zonin -figlio di Gianni Zonin che ha guidato la banca vicentina per 19 anni, fino al 2015- in una intervista a Repubblica. Domenico Zonin è presidente della casa vinicola di famiglia Zonin 1821, dal 2016.
Parlando del padre ha spiegato che "oggi è un pensionato. In passato è
stato tante cose. Un buon padre anzitutto. Ha cresciuto me e i miei due fratelli in paese, senza televisore, iscritti a scuole pubbliche. È stato un grande imprenditore. A 27 anni è diventato presidente di un'azienda da poco, che produceva frizzantino da supermercato in bottiglie da un litro e mezzo. Quando nel 2003 siamo entrati io e i miei fratelli, fatturava 60 milioni. Ma è sempre stato un accentratore. Non ascoltava nessuno. E voleva che questo fosse evidente a tutti, anche all'esterno. La facci
doveva sempre essere la sua, anche quando non aveva meriti reali".
Quanto al fatto che il padre avesse fama di divoratore di manager in banca, "non ha mai saputo scegliere le persone. Avevo 19 anni quando mi presentò il nuovo direttore marketing dell'azienda vinicola. Mi misi le mani nei capelli. Poi pensai che avrebbe comunque deciso tutto lui. Gianni Zonin funziona quando fa da solo. Quando deve delegare non funziona più. In banca non poteva fare tutto lui, non era il suo campo, non era una sua proprietà", ha continuato.
Alla domanda se l'azienda vinicola sia stata aiutata a crescere da Bpvi, Domenico Zonin ha risposto che "siamo cresciuti nonostante la Popolare. Storicamente, è al quinto posto per importi tra le banche che ci hanno concesso affidamenti. Non è mai stata strategica. E infine ci ha danneggiati. Il crac dell'istituto ha bruciato 22 milioni di euro di azioni che avevamo acquistato. E l'inchiesta penale su mio padre ha sporcato il nostro cognome".
In merito alla possibilità di cambiare nome all'azienda, "ce lo hanno consigliato diverse società di comunicazione, ma non esiste. Anche se riceviamo lettere di insulti. Anche se i giornalisti esperti di vino cancellano le visite nelle nostre cantine", ha proseguito. "Girare in città non è facile, non sono scemo e vedo come mi guarda la gente. Le persone che hanno perso soldi sono ovunque", ha concluso.
 

stefanofabb

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marketinsight.it - BANCHE - SI AVVICINA LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE SU RIFORMA POPOLARI
Si avvicina la sentenza della Corte Costituzionale in merito alla
riforma, varata dal Governo Renzi, che prevede la trasformazione
delle banche popolari in spa. L'udienza è fissata per il
prossimo 20 marzo. È quanto ha ricordato alla stampa Corrado
Sforza Fogliani, presidente di Assopopolari, aggiungendo che
"tra circa venti giorni/un mese potrebbero esserci alcune
novità. [...]
Leggi la notizia sul sito marketinsight.it
 

stefanofabb

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Pag.17 IL Sole 24 Ore Plus di oggi

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stefanofabb

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Alert debito: salvataggio banche venete impatterà per oltre 11 miliardi sul debito 2017
L'impatto del salvataggio delle banche venete (Banca Popolare
di Vicenza e Veneto Banca) sarà non indifferente sui conti
pubblici 2017 dell'Italia. Secondo l'Eurostat nel 2017
l’impatto sul deficit è stimato pari a 4,7 miliardi, mentre
quello diretto e indiretto sul debito pubblico è pari a 11,2
miliardi. Il calcolo è il risultato al netto tra le uscite
totali pari a 14,7 miliardi e le entrate da recuperi di Npl
stimate in 10 miliardi. Sul fronte debito l'Eurostat considera
i 6,4 miliardi verso Intesa Sanpaolo come prestito e il
finanziamento necessario per l’intervento di cassa a favore di
Intesa per 4,8 miliardi. Domani l'Istat diffonderà
l'aggiornamento sui conti pubblici a fine 2017 che questa
volta includerà tali cifre. Il 1 marzo i dati evidenziavano un
rapporto deficit/Pil 2017 pari all’1,9% dal 2,5% del 2016) e
debito al 131,5% del Pil dal 132% del 2016. Milano, Finanza.com Buona sera
 

luperf

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INTESA SANPAOLO RINUNCIA ALLA GARANZIA STATALE SULL’AMMONTARE DETENUTO DI TITOLI EMESSI DA BANCA POPOLARE DI VICENZA E VENETO BANCA
 

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Fabrib

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La lunga storia del fondo di risarcimento dei soci delle venete
Attivare il Fondo di ristoro per le vittime dei reati bancari. Preoccupati per i tempi e le lungaggini dei processi (aggravati dalla decisione del gip di Roma di rinviare gli atti del procedimento a Treviso, per incompetenza territoriale) gli ex soci di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza guardano adesso al Fondo istituito dall'ultima legge di Bilancio come "l'unico strumento ad oggi utile per ridare giustizia ai risparmiatori", e chiedono che si proceda con urgenza alla pubblicazione dei decreti attuativi. Perché i 100 milioni del Fondo (pochi, certo, si calcola che siano appena il 10% della cifra che servirebbe per ripagare tutti gli azionisti "azzerati"), ad oggi, si legge in un comunicato congiunto delle associazioni dei consumatori coinvolte nella vicenda, rimangono l'unico strumento "utile per ridare giustizia ai risparmiatori".
Il problema è che le norme attuative rischiano di perdersi nelle nebbie del clima politico post-elezioni. Alcuni giorni fa alcuni parlamentari del M5S sono intervenuti per chiedere di "lasciare al futuro esecutivo l'emanazione dei decreti attuativi necessari per stabilire le modalità di accesso e utilizzo del fondo risarcitorio", spiegando che si intendeva modificare la normativa al fine di ampliare i fondi disponibili. Intenzioni ineccepibili, ma i piccoli azionisti veneti sono ormai stremati, e non se la sentono di rinunciare all'uovo oggi per la gallina domani, e dunque da settimane continuano a lanciare appelli perché invece si vada avanti, subito, con le norme attuative, e si distribuisca quello che c'è, anche se è poco.
Anzi, siccome i tempi stringono, le associazioni degli ex soci ricordano che "anche chi ha transato" può comunque chiedere un risarcimento per la differenza, purché faccia l'insinuazione al passivo entro il 23 aprile 2018.Non si sa ancora se l'insinuazione al passivo verrà richiesta al fine di ottenere il risarcimento: nel dubbio, i rappresentanti delle associazioni considerano senz'altro di farla.
Ieri sera il sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta ha incontrato una ventina di associazi0ni dei consumatori a Mestre, per spiegare come saranno i decreti attuativi, e per dare rassicurazioni: "Il governo intende procedere e ha piena facoltà di farlo. Pur essendo dimissionario, dunque attivo soltanto per gli affari correnti, può emanare i decreti attuativi come quello necessario per attivare il fondo", ha detto.
"La settimana scorsa - ha ricordato Baretta - una parte politica ci ha detto di arrestare tale processo. Credo invece che convenga proseguire. La prossima maggioranza, poi, avrà piena facoltà di aggiustare tale misura, a partire dall'aumento della sua dotazione. Ma questo si potrà fare soltanto con la prossima legge di Bilancio". Il sottosegretario ha confermato che non verranno inseriti "troppi vincoli al fondo per consentire a chiunque di presentare domanda e dimostrare di aver subito un danno ingiusto. L'arbitro dell'Anac valuterà poi la possibilità di rimborso sulla base del danno accertato. Se questa impostazione verrà confermata, l'accesso al fondo sarà libero". Parole che sono state accolte con sollievo dagli ex piccoli azionisti. Nei prossimi giorni si vedrà se questa (come amava dire qualcuno) sarà davvero "la volta buona".
La lunga storia del fondo di risarcimento dei soci delle venete
 

Fabrib

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Intesa Sanpaolo, la leggenda della generosa rinuncia alle garanzie dello Stato sui bond veneti - Il Fatto Quotidiano
Le banche venete, Intesa Sanpaolo e i bond garantiti dallo Stato: ovvero come fare di una non-notizia una vera e propria fake news. Ad alzare la palla è un comunicato stampa del “gruppo bancario leader in Italia” e a schiacciarla in faccia ai lettori è una buona quota della stampa italiana, Corriere della Sera in testa: “Intesa rinuncia alla garanzia di Stato – titola il quotidiano di Via Solferino – Con la mossa si estingue un rischio da 9,3 miliardi”. Insomma, l’amministratore delegato dell’istituto, Carlo Messina, nei panni del salvatore della Patria e dei conti pubblici.
Peccato che la realtà sia un po’ diversa. Per comprendere cos’è accaduto bisogna tornare all’inizio del 2017, quando Popolare di Vicenza e Veneto Banca (all’epoca controllate dal fondo Atlante) erano a corto di liquidità e impossibilitate a finanziarsi a costi ragionevoli a causa della notoria situazione di sostanziale insolvenza. Grazie al decreto del 23 dicembre 2016 – quello con il quale l’appena insediato governo Gentiloni stanziò fino a 20 miliardi di euro per tappare i buchi della crisi bancaria – i due istituti veneti (come del resto Mps) poterono emettere obbligazioni a tasso fisso garantite dallo Stato, facendo venir meno il rischio emittente e riuscendo così a rastrellare tra gli investitori istituzionali la liquidità necessaria a costi più sostenibili. Tanto per fare un esempio, a fine febbraio 2017 Veneto Banca collocò un bond da 1 miliardo di euro con cedola dello 0,5% ricevendo richieste totali per 3,4 miliardi che consentirono alla banca di portare l’offerta finale a 1,35 miliardi riducendo lo spread dell’operazione a soli 53 punti base rispetto al Btp di pari durata (2020). Operazione resa possibile proprio dalla garanzia di Stato. In totale Vicenza e Montebelluna emisero bond garantiti per circa 10 miliardi.
A fine giugno, quando il governo dovette alzare bandiera bianca sull’impossibile ricapitalizzazione preventiva delle due banche venete e decise di offrire una montagna di soldi pubblici a Intesa Sanpaolo affinché si facesse carico della parte “buona” e dei dipendenti dei due istituti, le obbligazioni garantite dallo Stato passarono a tutti gli effetti a Intesa Sanpaolo con l’obbligo di farsi carico dei pagamenti cedolari e del futuro rimborso dei bond. In una banale ottica di razionalizzazione del debito, lo scorso dicembre il gruppo bancario ha dunque deciso di lanciare un’operazione di riacquisto di queste emissioni con l’obiettivo di annullarle, anche perché onerose: al di là della struttura dei titoli, delle scadenze piuttosto ravvicinate e delle cedole, la garanzia di Stato – che copre sia il capitale sia gli interessi – ha un costo, e anche piuttosto elevato, proprio per evitare che queste operazioni si configurino come un vero e proprio aiuto di Stato, peraltro fornito a istituti sull’orlo della bancarotta. Dunque a dicembre Intesa Sanpaolo ha deciso il riacquisto dei titoli attraverso un’operazione di “liability management”, e il 6 aprile ha comunicato di averla portata a termine con successo, procedendo all’annullamento delle obbligazioni in suo possesso per un controvalore di 9,3 miliardi euro (0,8 miliardi di obbligazioni restano ancora in circolazione) e comunicando al Tesoro la rinuncia alla garanzia per pari importo onde evitare di dover pagare i relativi costi.
Come si capisce, si tratta di una non-notizia. Intesa Sanpaolo ha semplicemente fatto ciò che andava fatto senza regalare niente a nessuno, ma badando al proprio interesse e riducendo i suoi costi. Il comunicato di Intesa Sanpaolo però termina con la seguente frase: “La rinuncia (della garanzia statale, ndr) estingue il rischio di un potenziale onere di circa 9,3 miliardi di euro per lo Stato”. E tanto è bastato per innalzare sperticate lodi all’istituto guidato da Carlo Messina, con sprezzo dei lettori e del ridicolo: quel rischio potenziale, infatti, sarebbe divenuto reale in uno e un solo caso, quello di insolvenza del debitore, ossia della stessa Intesa Sanpaolo.
 

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