Crollo secolare del sistema occidentale ? (1 Viewer)

Meres

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Peter Turchin & Sergey A. Nefedov (Secular Cycles, Princeton Press) analizzano matematicamente i cicli storici degli ultimi due millenni, nelle principali dinamiche sociali, demografiche e di risorse naturali.
Il modello che più li approssima statisticamente sarebbe questo in figura.

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Meres

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Riporto al riguardo qualche nota esplicativa trovata in rete (nick John Ludd).

"Ogni ciclo ha caratteristiche simili nel suo svolgimento, dura secoli, con fasi a loro volta di più generazioni; prevede al termine della fase di consolidamento una fase di stagflazione intesa come indebolimento progressivo del potere di acquisto del cittadino mediano. Durante questa fase l’oligarchia è invece ancora in fase di accumulo, ma è un accumulo che avviene trasferendo dalla parte più debole a quella più forte. Durante la fase di espansione invece, l’accumulo avviene prevalentemente attingendo al capitale naturale e/o all’esterno. Sebbene il ciclo attuale sia in corso, pare seguire lo schema analizzato dallo storico russo/americano Turchin. L’economista James K, Galbraith nel suo recente “The End of Normal” giunge a conclusioni simili da un angolazione prettamente economica collocando il punto di massimo dell’economia americana attorno al 1970. Da allora si è in una fase di stagflazione parzialmente mascherata dalla finanziarizzazione che ha provocato iper inflazione nel valore degli asseti finanziari ma deflazione del potere di acquisto mediano. I paesi poveri e ora anche UK ed Europa sono la parte molle e più debole dell’impero nord americano (in quanto possono essere rapinate al fine di trasferire quel che resta alle oligarchie del centro dell’impero) dove le avvisaglie del ciclo successivo (la distruzione dello stato) è già palese. Il principale indizio è la perdita della compattezza all’interno della classi dominanti. La frantumazione è diventata palese in UK dove Cameron e Boris Johnson sono esempi di membri del top dell’elite che si sono affrontati a cielo aperto. Sono palesi in Germania dove dietro AFD ci sono elite dal diverso orientamento, sono ovvie in Italia dove le elite locali sono divise tra chi ha avuto benefici dall’unione monetaria e chi invece è sceso verso il basso sino a confondersi con la classe media. Sono diventate evidenti in USA con l’attuale campagna elettorale dove se di Clinton sappiamo tutto si tace del fatto che Trump è espressione di elite con una visione isolazionista più vicina a Andrew Jackson che alla linea emersa vincente durante il XX secolo. Malgrado l’evidente interconnessione di ogni angolo del pianeta, fatto che condiziona ogni analisi storica che cerca di attingere da un passato molto diverso, i cicli storici di occidente e oriente sono sfalsati. In particolare la Russia è all’inizio di un nuoco ciclo espansivo avendo concluso il precedente 30 anni fa ed essendone uscita in maniera impensabile grazie alle immense risorse del territorio e alla solidità di un popolo che non è mai stato sconfitto in guerra in casa propria. La Cina è pure nella prime fasi del proprio ciclo (ma è stata dominante più volte negli ultimi 2000 anni) sebbene alle prese con il primo evidente problema di ristrutturazione e con una potenziale minaccia di fine ciclo precoce a causa del disastro ambientale. 30 anni fa l’economia dei paesi non occidentali contava per circa il 30% mentre ora è al 60% malgrado dollaro/euro siano monete di riserva e quindi sopravvalutate come potere di acquisto. E’ impossibile che un ribaltamento così profondo della forza economica non sia accompagnato da un profondo cambiamento dei rapporti di forza nella finanza. Brexit da solo sarebbe poco rilevante ma collegata alla miriade di fatti avvenuti dal 1970 in poi mi sembra puntare con evidenza alla fine del ciclo “occidentale”, paesi in crisi demografica, privi di capitale naturale sul quale costruire la leva operativa/finanziaria che è la base di un’economia e impossibilitati dal rubarlo al di fuori perché scarso o per la presenza di altri stati più indietro nel ciclo secolare e che non possono essere affrontare militarmente. Brexit è pure una clamorosa sconfitta dell’impero americano che ne esce indebolito mentre a est, dove il dubbio della reale forza dell’occidente è palese dalla crisi del 2009 questo è solo un ulteriore spinta a procedere a una più forte integrazione tra le loro economie e a uscire dal dilemma euro/dollaro che pone rischi esiziali nel medio termine. Non c’è dubbio che vederemo un intensificarsi della propaganda che vorrebbe convincere il cittadino occidentale che continuiamo a essere il perno del mondo; le oligarchie occidentali hanno già perso il controllo sul resto del mondo, la prova di forza militare dei russi in Siria e l’indifferenza con la quale i cinesi continuano a sviluppare la propria forza militare nei mari attorno al proprio paese, non lascia agli oligarchi americani altra alternativa che accettare che il mondo è multi polare o immolarsi in un immane pira nucleare. Ora le oligarchie occidentali stanno perdendo anche il controllo sui propri paesi e saranno forzati a concentrare qui le proprie risorse oppure sfidare il buonsenso in un rilancio di una politica internazionale di confronto che la popolazione, almeno in Europa, non vuole assolutamente. Si apre un periodo lungo diverse generazioni dove l’attenzione non sarà sull’aumento del benessere materiale individuale ma sul tentativo di mantenere in piedi le strutture collettive necessarie al mantenimento di una stato moderno."
 

tontolina

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Meno democrazia, più diseguaglianze. Così saltiamo in aria
Scritto il 03/12/16 • nella Categoria: idee Condividi

Se vince il Sì, il governo sarà più forte e i cittadini conteranno ancora di meno.
Come ha scritto don Ciotti, chi ha voluto questa “nuova” Costituzione vede «la democrazia come un ostacolo», e il bene comune come «una faccenda in cui il popolo non deve immischiarsi».
Come siamo arrivati a questo?
La risposta, per Tomaso Montanari, è racchiusa in una parola: diseguaglianza. Secondo l’Istat, l’Italia è il paese in cui – tra 1990 e 2010 – la diseguaglianza sociale è aumentata di più. «Succede in tutto l’Occidente: pochi ricchi sono sempre più ricchi, mentre si allarga la fascia degli impoveriti e la classe media non arriva agevolmente alla fine del mese».
Anche per Joseph Stiglitz, «la stragrande maggioranza sta soffrendo insieme», mentre l’1% accumula fortune.
«Ma quando la diseguaglianza arriva a questi livelli – osserva Montanari – l’establishment ha un problema: la democrazia.
Perché in democrazia il voto di un ricco vale quanto quello di un povero». E i ricchi, osserva lo storico britannico Tony Judt, «non vogliono le stesse cose che vogliono i poveri».
La cosa più semplice, per il potere? Silenziare il 99%, restringendo la democrazia.
«Chi dipende dal posto di lavoro per la propria sussistenza non vuole le stesse cose di chi vive di investimenti e dividendi», scrive Judt in “Guasto è il mondo”.
«Chi non ha bisogno di servizi pubblici (perché può comprare sanità, trasporti, istruzione e protezione sul mercato privato) non cerca le stesse cose di chi dipende esclusivamente dal settore pubblico».
E se i poveri votano tutti insieme, il sistema può essere rovesciato, conclude Montanari, in una riflessione sull’“Huffington Post”. «Fino a un certo punto la soluzione è a portata di mano: incoraggiare l’astensione di massa». Non a caso il messaggio (dalla Thatcher a Blair, a Renzi) è: “non c’è alternativa”. Tradotto: “non votate, tanto è inutile”.
Ma, da un certo punto in poi, l’astensione non basta più: «Per tenere il conflitto sociale fuori dai luoghi in cui si decide bisogna separare questi luoghi (il Parlamento e il governo) dal suffragio popolare, dai cittadini. È per questo che non voteremmo più il Senato e i governi delle Provincie, che le leggi di iniziativa popolare sarebbero in balìa della maggioranza parlamentare, che le Regioni verrebbero espropriate di ogni potere reale».
In breve, continua Montanari, «se la diseguaglianza è tale da rendere “pericolosa” la democrazia ci sono due soluzioni: diminuire la diseguaglianza, o diminuire la democrazia. Il governo Renzi ha scelto quest’ultima strada». Il progetto di Renzi è chiaro: ridurre la partecipazione per consentire il perdurare della diseguaglianza.

«È per questo che Confindustria, Marchionne, Jp Morgan, l’establishment tedesco e in generale il mercato votano Sì», mentre «la Fiom e tutta la Cgil, Libera, l’Arci, l’Anpi e infinite associazioni di cittadini votano No».
Le poche riserve del mondo della finanza (per esempio quelle dell’“Economist”) «non vengono certo da un disaccordo politico, ma dal dubbio (fondato) che le riforme siano così mal congegnate che rischiano di dare un potere blindato nelle mani non dell’establishment», ma di un soggetto percepito come non-complice, cioè Grillo. Per Montanari, votare No significa «aver compreso che così non si può andare avanti: se restringiamo ancora la democrazia, invece di ridurre la diseguaglianza, lo schianto sarà ancora più forte».
Secondo Montanari, «una vera classe dirigente» dovrebbe capire che, «se vogliamo evitare lo schianto, gli Stati devono ricominciare a esercitare la sovranità». Ovvero: «La libera circolazione delle merci non può continuare a essere l’unico dogma che regge il mondo: se la Cina continuerà a inondare il mondo di prodotti a costo zero (perché frutto di schiavitù di massa) l’Africa non avrà alcuna possibilità di sviluppo, con conseguenze drammatiche sulle migrazioni».
E dato che le sfide sono di questa portata, «il Sì è come un’aspirina per uno che ha bisogno di un trapianto: il No vuol dire mettersi in lista per l’operazione». Ancora: «Il Sì è come mettere il dito nel buco della diga: il No vuol dire avviarsi a svuotare il bacino che sta per tracimare». Qualcuno pensa davvero che si possa andare avanti così? Qualcuno sì, e cioè «chi ha qualcosa da difendere», soprattutto «i benestanti anziani, che preferiscono non chiedersi come faranno i loro figli e i loro nipoti a tenere insieme diseguaglianza e democrazia». Magari «pensano che non ci saranno più quando tutto questo salterà in aria».
 

Meres

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La memoria lunga dei mercati - Francesco Caruso - 08-09-2016


Dove porta la secolarità sui mercati azionari? [...] Di fatto, adesso abbiamo molti dati in più e sappiamo che il trend secolare degli indici azionari può essere severamente interrotto ed anche che ciò occorre con una impressionante regolarità – circa ogni 30/40 anni: questo ciclo può essere chiamato onda lunga o onda secolare ed era stato studiato anche da Kondratieff, con una teoria di importanza capitale pur con tutti i limiti (ora superati) relativi a scarsità di dati e difficoltà di trattazione degli stessi.
Un punto di importanza cardinale che Kondratieff ha sempre sostenuto è che i cicli lunghi si verificano indipendentemente da eventi straordinari, come guerre, carestie, invenzioni e quant’altro, realizzandosi autonomamente, quasi fossero dotati di una propria forza.
Ovviamente, ci sono ancora molti analisti – specialmente accademici – che credono che l’onda lunga sia un concetto immaginario. La loro tesi è basata sull’assunzione che i mercati non hanno una memoria e la loro base logica è che i prezzi di oggi sono totalmente indipendenti dai prezzi di ieri, della scorsa settimana o dell’anno scorso – e certamente da quelli di 50 e più anni fa. Inoltre, poiché nemmeno Fourier e altre sofisticate tecniche matematiche sono riuscite a identificare con certezza questo tipo di ciclicità, probabilmente non esiste alcun ciclo.
Dall’altro lato, esperimenti portati avanti da oltre vent’anni con la matematica non lineare stanno cominciando a intaccare severamente la tesi della non esistenza di una memoria nei mercati. Citiamo soltanto ad esempio Andrew Lo e Edgar Peters, che nel suo libro “Chaos and order in the capital markets” ipotizza che il mercato azionario abbia almeno una memoria di 4 anni. [...]
In linea di base, i prezzi degli indici azionari sono il risultato dell’interazione tra crescita economica, espansione industriale e profittabilità rispetto ai tassi di interesse e agli investimenti alternativi. [...]
Quando guardiamo all’evidenza degli ultimi secoli, vediamo un’alternanza di periodi di tassi di interessi in salita e in discesa: questi movimenti hanno a che fare con l’espansione e la contrazione del capitale e del debito. Quando i tassi di interesse e il mercato azionario salgono insieme, la componente della crescita industriale è dominante; nel periodo successivo al picco dei tassi di interesse, il mercato azionario sale in quanto investimento alternativo. [...]
Un punto essenziale da comprendere è che tutte le grandi onde ribassiste o deflattive del mercato azionario hanno avuto luogo durante fasi di declino secolare, cioè di lunghissimo termine, dei tassi d’interesse. Anche andando oltre a ciò che conosciamo degli ultimi 100-120 anni, anche guardando nei secoli passati non è possibile trovare una sola ondata di declino strutturale sui mercati azionari che abbia avuto luogo mentre i tassi di interesse stavano salendo. I tassi di interesse in discesa sono una delle maggiori concause delle fasi di speculazione finanziaria, dal momento che il reddito viene ricercato attraverso asset di qualità inferiore: in un’ottica più ampia, quindi, i tassi di interesse in discesa sono ben poco salutari per l’onda lunga dei mercati azionari. Prescindendo dalle valutazioni e da altri fattori e concentrandoci esclusivamente sul binomio mercati azionari (come cartina al tornasole dell’economia) e tassi di interesse, possiamo quindi dividere gli stadi del mercato in termini di cicli secolari in quattro grandi fasi:
la prima fase, che possiamo chiamare reflazione (o Primavera di Kondratieff), è quando i mercati azionari salgono e i tassi di interesse salgono come risposta a una miglior salute del ciclo economico;
  1. la seconda fase, che chiamiamo inflazione (o Estate di Kondratieff), è quando la salita dei tassi diventa talmente forte da rappresentare una alternativa e quindi un freno al mercato azionario, che tende a perdere valore in termini reali (come nel periodo tra gli anni ’70 e ’80);
  2. la terza fase, che chiamiamo disinflazione (o Autunno di Kondratieff), corrisponde a tassi di interesse strutturalmente in discesa e mercati azionari in salita: questa è la fase dove hanno più frequentemente terreno fertile le bolle speculative;
  3. la quarta fase, la deflazione (l’Inverno di Kondratieff), vede tassi in discesa e prezzi degli asset (borse, ma spesso anche commodities) in cicli laterali o discendenti, specie in termini reali.
Ciascuna di queste quattro fasi contiene dentro di sé un certo numero di cicli tradizionali di espansione e contrazione economica, che da picco a picco durano in media 5 anni con punte fino a 9-10 anni.

Le fasi di transito tra queste quattro fasi, specialmente i binomi 2-3 e 4-1, sono periodi piuttosto lunghi di transizione, in genere alcuni anni, che servono per ristabilire la sincronia tra le varie componenti. La percezione vera della transizione da una fase all’altra arriva storicamente sempre in grave ritardo, non solo tra gli investitori ma anche nell’establishment economico e finanziario: si pensi a quanto a lungo negli ultimi due decenni – certamente fino a dopo la crisi del 2008 – è stata temuta l’inflazione, nonostante si fosse da molti anni e quasi ovunque in piena fase di calo dei tassi di interesse. Ora, tutti temono tardivamente la deflazione, che è ormai in fase terminale.
Di queste quattro fasi, i mercati azionari delle economie avanzate hanno attraversato dagli anni ’80 al 2000 la fase 3 e dal 2000 in poi la fase 4, l’Inverno: i primi che stanno provando a venirne fuori sono gli USA, i cui principali indici (con l’eccezione del Dow Transportations fino ad ora in ritardo) sono a nuovi massimi storici, con tassi che dalla fine del QE sono di fatto in rialzo e che anzi sono, sul breve, non lontani da quelli a lungo (= appiattimento della curva).

Questo, attenzione, non deve far credere che gli USA siano in un “nuovo ciclo”: sono invece, senza il minimo dubbio, nella tipica fase finale di un ciclo di espansione tra i più lunghi e stiracchiati dalle politiche monetarie della storia, quello iniziato nel 2009.

Questo fa capire quanto poco lineare sarà la strada nel prossimo futuro. [...]

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PS. Ho sfoltito un po' di roba troppo OT per la nostra ipotesi. Concentriamoci per ora sui CICLI socio-economici di lungo periodo.
 
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Meres

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Nessuno ha la sfera magica, ma anche l'analisi ciclica di Martin Armstrong ipotizza un possibile crack intorno alla fine del decennio:

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Meres

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E con il ciclo IMMOBILIARE che dovrebbe riprendere la caduta libera per un quarto di secolo di contrazione globale:

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