son sardo e indipendentista (1 Viewer)

great gatsby

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SARDEGNA: “ANCHE I SINDACI FIRMANO PER L’INDIPENDENZA”

di CARLO MELINA

Più di qualche notte in galera, quindici processi pendenti, decine di udienze alle spalle: “Ai magistrati parlo in sardo, lo sanno. Se vogliono interrogarmi, devono portare un interprete”. Questo e non solo è Salvatore “Doddore” Meloni, simbolo del movimento indipendentista sardo. Ex imprenditore nel settore degli autotrasporti, il cuore su uno scoglio, quello dell’Isola dove anni ha fondato la Repubblica di Malu Entu, nel 1981 fu protagonista del complotto indipendentista sardo, mentre oggi raccoglie le firme per indire il padre di tutti i referenda: quello per l’indipendenza della Sardegna.

“Dobbiamo arrivare ad averne 15.000 entro marzo. Ce la faremo sicuramente – spiega al telefono – i sardi sono sempre stati indipendentisti, seppure inconsciamente. Oggi la loro coscienza è maturata. Sei sindaci di altrettanti paesi, sia del centrodestra che del centrosinistra, – fra cui Francesco Bassu, di Lodine, che si è fatto anch’egli promotore del referendum – hanno sottoscritto la nostra petizione. Sto ricevendo lettere di sardi da New York e Hong Kong. Insomma anche gli emigrati vogliono parteicpare” chiarisce Meloni.

“Alcuni schieramenti indipendentisti, tuttavia, fanno melina – continua – e i loro rappresentanti tendono a non prendere posizione: penso a Sardigna Nazione e all’IRS (indipendèntzia Repùbrica de Sardigna). Ma la loro base è con noi, compresi molti sostenitori del Partito sardo d’azione, che pure avrebbe una vocazione più che altro autonomista”. L’indipendenza è un bene per tutti, secondo Doddore, che segnala un consenso trasversale rispetto all’iniziativa referendaria: “Io sono un liberale, ma non mi sono mai schierato con nessuno. Il primo obiettivo è staccarci dal giogo italiano, anzitutto per ragioni storiche, successivamente perché l’indipendenza conviene, basta pensare a Malta, una realtà simile alla nostra, dove il reddito pro capite è di 36.000 euro l’anno, contro gli 11.000 della Sardegna. Personalmente non ho ambizioni politiche. Anzitutto perché non potrei averne: in seguito al complotto secessionista dell’81, fra le altre cose, ho ricevuto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. E poi non mi interessano le cariche”. Cariche che invece interessano molto ai leader dei movimenti indipendentisti del Nord: “Seguo con attenzione le vicende di Veneto Stato, per esempio. E sì, ho notato che dei personalismi rischiano di minare il movimento. Non mi schiero, ma posso solo dire che questo tipo di difficoltà sono fisiologiche quando ci sono persone che si vogliono identificare con la causa. Per quel che mi riguarda, l’indipendenza non ha il viso di nessuno in particolare, se non quello di tutta la popolazione sarda”.

Meloni, nel 1984, collaborò addirittura con la Lega Nord: “Non ho mai avuto preclusioni nei confronti di nessuno. All’epoca ero in galera, ma sostenni l’alleanza fra gli indipendentisti sardi e la Lega alle elezioni europee.

Certo, ora dentro al partito di Bossi c’è maretta, ma penso e spero che alla fine questa situazione farà prevalere la linea migliore, cioè quella meno moderata”. Dopo quell’iniziativa, però, il giudizio di Doddore sull’opportunità di partecipare a consultazioni italiane ed europee è cambiato: “La battaglia indipendentista non dovrebbe essere portata nel Parlamento italiano: prova ne è quanto accaduto al Partito sardo d’azione, che, una volta sbarcato a Roma, si è lasciato inglobare dalla dinamiche romane. Forse, la cosa migliore sarebbe presentarsi alle elezioni e, qualora qualche indipendentista venisse eletto, chiedergli di non andare mai in Parlamento. Intanto però guardiamo al referendum. Io non so se arriveremo a prendere il 51%, ma sono certo che il fronte indipendentista potrebbe diventare il partito di maggioranza relativa in Sardegna. E questo sarebbe già un grandissimo risultato.

Non solo per i sardi, ma per tutti i popoli che sono occupati dallo stato italiano”.
 

great gatsby

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SARDEGNA, SI FIRMA PER IL REFERENDUM INDIPENDENZA

di REDAZIONE

È iniziata a Porto Torres in piazza del Comune la raccolta delle firme per il referendum regionale consultivo per l’indipendenza della Sardegna. Nella mattinata di sabato sono state raccolte oltre 300 firme. Domenica a Lodine, con a capo il sindaco Francesco Bassu, hanno firmato il referendum oltre il 35 per cento dei cittadini.


«Il 4 febbraio saremo a Tresnuraghes per poi continuare in tutti i 377 Comuni della Sardegna» ha dichiarato Doddore Meloni, leader del Partitu indipendentista Sardu-Malu Entu. Per raggiungere l’indipendenza della Sardegna si avvalgono di 2 leggi: la n. 848 del 17 agosto del 1957 di ratifica della Carta delle Nazioni Unite, e la n. 881 del 25 ottobre 1977 di ratifica ed esecuzione del Patto di New York. «Vogliamo illustrare le ragioni del nostro referendum – dice uno dei promotori, Pino Giordo – chiediamo a tutti i sardi se sono d’accordo in base al diritto internazionale delle Nazioni Unite, al raggiungimento della libertà del popolo sardo con l’indipendenza, sulla falsariga della Catalogna e della Scozia.


In un momento drammatico come questo la Sardegna deve staccarsi da un Italia che non esiste più e da un Europa che potrebbe fallire – continua Giordo – è nostra intenzione quella di far nascere l’Europa dei popoli del Mediterraneo, con la nostra isola che deve avere un ruolo centrale nei rapporti con l’Africa e i paesi occidentali. Pino Giordo è stato anche fra i i promotori della svolta indipendentista del Psd’az nel congresso di Porto Torres negli anni 80, e successivamente autore del blitz a Fiume Santo con il momentaneo blocco della centrale, e della protesta conclusa con il sacco di carbone riversato sull’allora sottosegretario all’ambiente Vittorio Calzolaio.

«È intenzione del movimento indipendentista raccogliere oltre centomila firme entro maggio, con gli altri movimenti indipendentisti ma con una sola bandiera, quella dei quattro mori, per chiedere il totale distacco della Sardegna dall’Italia».

Quello che sta accadendo nell’Isola sa tanto di esempio per altri movimenti.
 

great gatsby

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CARO MONTI, LA LIBERALIZZAZIONE VERA E’ L’INDIPENDENZA

di GILBERTO ONETO

La parola “liberalizzazione” è musica per le orecchie di quasi tutti noi, è una sorta di mantra benefico. Anche con questa bandiera era nata la Lega e Berlusconi aveva vinto le elezioni: la bandiera era stata riposta in un cassetto e non se ne era parlato più. Adesso la tira fuori Mariomorti quasi fosse uno “specifico universale”, una pozione magica in grado di risolvere tutti i mali. E lo sarebbe anche, se fosse vera liberalizzazione. In realtà stanno facendo passare per tale una serie di pastrocchi confusi e spesso anche poco liberali. È lo stesso gioco al rovesciamento del significato delle parole, di mascheramento lessicale che lo Stato italiano ha già messo in atto con il federalismo, chiamando federalista una serie di schifezze che non gli somigliavano neanche da lontano. Una sorta di “Ego te baptizo piscem”. Roba del genere: volevate il federalismo, beccatevi questa rumenta che nel frattempo abbiamo battezzato “federalismo”. E adesso: volevate le liberalizzazioni, tenetevi queste cose che puzzano di dirigismo, di centralismo e anche di peggio!

Primo punto: liberalizzare non significa togliere ogni regola e controllo. Può forse andare bene lasciare – ad esempio – grande flessibilità negli orari dei negozi ma questo non deve significare la distruzione del piccolo commercio, l’abbattimento dei livelli di sicurezza e di dignità del lavoro, la totale consegna del mercato alle grandi strutture, alla manovalanza straniera e, in definitiva, alla malavita organizzata.

Secondo punto: liberalizzare le professioni non significa togliere limiti e responsabilità lasciando tutto alla discrezionalità e all’avventurismo, facendo del dumping che porta a un iniziale ribasso dei costi ma a un definitivo affossamento della qualità delle prestazioni.

Terzo punto: che razza di liberalizzazioni sono quelle gestite da un potere centrale, che tratta tutte le diverse realtà allo stesso modo? Non c’è niente di meno liberale di uno Stato, come quello italiano, che ha una lunga ininterrotta tradizione di centralismo, dirigismo disastrato e fallimenti. Come può lo Stato meno liberale del mondo occidentale, con le sue pesanti incrostazioni di socialismo reale, fare il liberalizzatore? Si sente puzza di bruciato.

Quarto punto: con quale diritto lo Stato ladro può permettersi di dismettere il patrimonio pubblico, le ricchezze accumulate da generazioni di risparmi ma anche di imposizioni fiscali ai cittadini? Non è roba sua. Si comporta oggi come ha fatto 150 anni fa con i beni ecclesiastici, sottratti alla Chiesa ma anche alle comunità locali, e svenduti agli amici degli amici a prezzo di saldo.

Il punto fondamentale è che non si possono fare liberalizzazioni economiche se prima non si sono fatte quelle istituzionali. Se prima non si sono restituiti poteri e attribuzioni agli enti, alle comunità locali e ai cittadini. Non ci può essere liberalismo senza la giusta dose di autonomia, di federalismo vero. La gestione dei rapporti comunitari, e quindi anche delle liberalizzazioni e delle regolamentazioni, sono parte fondante dell’autonomia locale: ogni comunità deve liberamente gestirsi i fatti suoi in funzione delle sue esigenze, della sua ricchezza, delle sue aspirazioni, delle sue tradizioni e della sua identità. Non si possono imporre regole identiche ai taxisti di Milano e di Napoli, o all’unico taxista di Belgirate. Gli ordini professionali hanno una loro reale utilità sociale solo se sono davvero rapportati alle comunità in cui operano: la loro prima essenziale liberalizzazione è la regionalizzazione o macroregionalizzazione. Negozi, farmacie e tutto il resto devono trovare regole che vadano bene alle comunità locali. Invece qui chi pretende di decidere è sempre più lontano, più in alto: oggi è Roma, domani sarà Bruxelles, e dopo anche peggio.

Il potere deve scendere verso il basso, avvicinarsi ai cittadini e invece se ne va sempre più lontano, è sempre meno controllabile e più costoso. Altro che liberismo e federalismo: qui si è sempre più statalisti e centralisti!

La prima liberalizzazione vera è istituzionale. Liberalizziamo lo Stato italiano, cioè facciamolo sparire. La prima vera liberalizzazione è l’indipendenza.
 

f4f

翠鸟科
1291: IL PATTO FEDERALE. COME NASCE UNA NAZIONE



Il Grütli, dove fu siglato il Patto Federale del 1291.Rodolfo d’Asburgo muore nel mese di luglio del 1291. L’avvenire dei Waldstätten è incerto; all’inizio di agosto si compie un’alleanza per salvaguardare le franchigie ottenute in precedenza.

Il Patto del 1291 è il rinnovo di un’alleanza più antica alla quale sono aggiunte nuove clausole. È redatto in latino; ai margini inferiori della pergamena sono appesi i sigilli delle tre comunità.

Solo dal XIX secolo il documento, per lungo tempo ignorato dagli storici, è considerato l’atto di nascita della Confederazione. Con questa alleanza le tre comunità si promettono assistenza reciproca e incondizionata contro qualsiasi avversario.

Esse rifiutano che la giustizia venga amministrata da funzionari stranieri; i liberi contadini delle vallate accetteranno soltanto le sentenze pronunciate da un giudice scelto tra loro, al quale il signore avrà delegato i poteri. In caso di conflitto tra le comunità, esse dovranno ricorrere a un arbitro e ne rispetteranno le decisioni. Il Patto prevede anche pene severe contro assassini, incendiari e ladri.

Il patto federale del 1291

«Nel nome del Signore, così sia. È opera onorevole ed utile confermare, nelle debite forme, i patti della sicurezza e dalla pace.


Sia noto dunque a tutti, che gli uomini della valle di Uri, la comunità della valle di Svitto e quella degli uomini di Nidvaldo, considerando la malizia dei tempi ed allo scopo di meglio difendere e integralmente conservare sé ed i loro beni, hanno fatto leale promessa di prestarsi reciproco aiuto, consiglio e appoggio, a salvaguardia così delle persone come delle cose, dentro le loro valli e fuori, con tutti i mezzi in loro potere, con tutte le loro forze, contro tutti coloro e contro ciascuno di coloro che ad essi o ad uno d’essi facesse violenza, molestia od ingiuria con il proposito di nuocere alle persone od alle cose.

Ciascuna delle comunità promette di accorrere in aiuto dell’altra, ogni volta che sia necessario, e di respingere, a proprie spese, secondo le circostanze, le aggressioni ostili e di vendicare le ingiurie sofferte. A conferma che tali promesse saranno lealmente osservate, prestano giuramento, rinnovando con il presente accordo l’antico patto pure conchiuso sotto giuramento; con l’avvertenza tuttavia che ognuno di loro sarà tenuto, secondo la sua personale condizione, a prestare al proprio signore l’obbedienza ed i servizi dovutigli.

Abbiamo pure, per comune consenso e deliberazione unanime, promesso, statuito ed ordinato di non accogliere ne riconoscere in qualsiasi modo, nelle suddette valli, alcun giudice il quale abbia acquistato il proprio ufficio mediante denaro od altre prestazioni, ovvero non sia abitante delle nostre valli o membro delle nostre comunità.

Se sorgesse dissenso fra i confederati, i più prudenti di loro hanno l’obbligo d’intervenire a sedar la discordia, nel modo che loro sembrerà migliore; e se una parte respinge il giudizio proferito, gli altri confederati le si mettano contro.

Resta inoltre convenuto fra di loro quanto segue: chi avrà ucciso alcuno con premeditazione e senza colpa imputabile alla vittima, sia, se preso, mandato a morte, come esige il suo nefando delitto, salvo che riesca a provare la sua innocenza; se fosse fuggito, gli si vieti il ritorno.

Chi ricetta o protegge un tal malfattore, deve essere bandito dalle valli, ne potrà ritornarvi finché non sia esplicitamente richiamato dai confederati.

Se alcuno, di giorno o nel silenzio della notte, da dolosamente fuoco ai beni dei confederati, non sia più considerato come membro della comunità.

E se alcuno, dentro le valli, favorisce o difende il suddetto malfattore, sia costretto a risarcire egli stesso il danneggiato. Inoltre, se un confederato spoglierà alcuno delle sue cose o gli recherà danno in qualsiasi modo, tutto quanto il colpevole possiede nelle valli dovrà essere sequestrato per dare giusta soddisfazione alla persona lesa. Inoltre nessuno potrà appropriarsi il pegno d’un altro, salvo che questo sia manifestamente suo debitore o fideiussore; ed anche in tal caso occorre che il giudice esplicitamente acconsenta.

Ognuno deve pure obbedire al suo giudice e, se necessario, indicare quale sia nella valle il giudice sotto la cui giurisdizione egli si trova. E se alcuno si rifiutasse al giudizio e da questa ribellione venisse danno ad alcuno dei confederati, tutti sono in obbligo di costringere il suddetto contumace a dar soddisfazione.

Se poi insorgesse guerra o discordia fra alcuni dei confederati, e una parte non volesse rimettersi al giudice o accettare soddisfazione, i confederati difenderanno l’altra parte. Tutte le decisioni qui sopra esposte sono state prese nell’interesse ed a vantaggio comune, e dureranno se il Signore lo consente, in perpetuo. In fede di che questo strumento è stato redatto dietro richiesta dei predetti e munito dei sigilli delle tre prefate comunità e valli. Fatto l’anno del Signore 1291, al principio del mese d’agosto».

*Tratto da Storia della Svizzera, di Jean-Pierre Dorand, Daniel Stevan, Jean-Claude Vial, François Walter. Editore Armando Dadò, Locarno


sarebbe da ricordare che l'interesse asburgico per la vallata dell'Uri
dipendeva direttamente dalla nuova importanza del passo del Gottardo

dico nuova... perchè fino al 1200 il passo era impraticabile ( e difatti i romani non lo conoscevano, i toponimi sono nettamente divisi ecc ecc)

e chi pagò l'ingente opera?
l'arcivescùf de Milàn ... i milanès, insoma

mò organizzo una class-action e ci facciamo ridare i soldini... con 800 anni di interessi :cool::cool:


:lol::lol::lol::lol:
 

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