Un lavoratore è un costo per l’azienda. Richiedere un aumento busta paga al datore di lavoro significa, quindi, anche più costi per quest’ultimo.

Ricordiamo altresì che, da marzo 2022, in virtù del debutto del nuovo assegno unico, la busta paga del lavoratore non sarà più la stessa, in quanto, alcune voci spariranno.

Aumento busta paga e le voci di costo per l’azienda

Tre sono le principali voci di costo che il datore di lavoro deve considerare per un proprio dipendente, ossia:

  • RAL (retribuzione annua lorda)
  • oneri previdenziali ed assistenziali a proprio carico (INPS e INAIL)
  • il TFR (la quota di trattamento di fine rapporto da accantonare annualmente).

Gli oneri fiscali, invece, non sono da considerare.

Ci riferiamo all’IRPEF, alle addizionali, ecc. Tali voci, infatti, sono a carico del lavoratore stesso. L’azienda assume in questo caso le vesti di sostituto d’imposta, effettuando le dovute trattenute per riversarle poi nelle casse dello Stato.

Ad ogni modo, a conti fatti, un dipendente che chiede alla propria azienda uno un aumento busta paga per arrivare a circa 1.7500 euro mensili, costa, tra stipendio stesso, oneri previdenziali ed assistenziali e TFR, tra i 3.100 euro e i 3.300 euro.

Come cambierà la busta paga

Come anticipato, da marzo 2022, il lavoratore dipendente più che aumento busta paga vedrà una diminuzione, in quanto spariranno alcune voci, sostituite dal nuovo assegno unico. In dettaglio, non ci saranno più in busta paga:

  • le detrazioni per figli a carico fino al 21° anni di età
  • gli assegni nucleo familiare.

Tali importi sono sostituiti dall’assegno unico, il quale sarà erogato direttamente dall’INPS sul c/c del lavoratore (quindi, non anticipato dal datore di lavoro in busta paga).

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