Ci sono dei casi in cui l’inclusione di una malattia nella lista delle patologie che conferiscono esenzione alla visita fiscale è lampante ed evidente per i sintomi e altri in cui invece il confine è più labile e discrezionale. A chi spetta la scelta in questi casi? Chi si assume la responsabilità?

Medico curante e lavoratore: prevale la diagnosi o i sintomi?

Immaginiamo che il paziente lamenti dei sintomi dei quali però non c’è riscontro evidente nelle analisi: il medico curante è tenuto a fidarsi? La questione ad esempio si ritrova spesso nei lavoratori in malattia per depressione: condizione che non sempre fisicamente è tangibile.

Ricordiamo però che il medico curante è un pubblico ufficiale come da definizione del codice penale e risponde di finte diagnosi. In caso di dubbio quindi il medico curante può rifiutare di riconoscere codici di esenzione per la visita fiscale. Il lavoratore quindi non può pretendere che nel certificato medico risulti il codice E di esonero dalla visita fiscale.

Una volta che il medico curante ha scritto la diagnosi, come abbiamo avuto modo di chiarire in altri articoli, il funzionario Inps che eventualmente esegue la visita fiscale, può modificare la prognosi ma non si esprime invece sulla diagnosi.

Speriamo quindi che in questo modo sia più chiara ai lettori che ci scrivono su questo argomento la differenza tra sintomi, diagnosi e prognosi in caso di richiesta di malattia a lavoro. Per ulteriori dubbi sul funzionamento delle visite fiscali e i casi di esenzione, è possibile scrivere alla redazione contattando l’indirizzo [email protected].

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