Leggi e burocrazia stanno limitando fortemente la libertà sull’uso del denaro contante. Al punto che oggi, versare soldi in banca è diventato pericoloso, perché si rischiano sia accertamenti fiscali che penali. Lo prevede la normativa vigente e i controlli del fisco attraverso l’anagrafe dei conti correnti bancari.

In nome della lotta all’evasione fiscale, il fisco ha messo a punto un sistema di controlli tale che non conviene più versare soldi contanti sul proprio conto corrente se non si possiede una valida giustificazione della provenienza perché si rischia l’accertamento.

A differenza dei prelevamenti che solo liberi, infatti, i versamenti sono controllati e senza alcun limite di somma depositata. Non saranno le banche ad effettuare segnalazioni per somme modeste, ma direttamente l’Agenzia delle Entrate a controllare le movimentazioni incrociando i dati del contribuente con le dichiarazioni dei redditi.

I controlli dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate ritiene, infatti, che qualsiasi versamento di denaro contante o trasferimento di somme cospicue sul conto corrente che non trova adeguata giustificazione tale da assolvere il contribuente dal pagamento delle imposte è assoggettabile a tassazione ordinaria. In altre parole il semplice deposito ingiustificato di denaro sul conto corrente bancario o postale è passibile di evasione fiscale. Per i casi più gravi è prevista anche la confisca del conto corrente laddove si possa configurare il reato di riciclaggio.

Come difendersi dai controlli

Ma come difendersi dal grande fratello fiscale? Meglio tenere i soldi in casa? Posto che l’onore della prova è sempre a carico del contribuente, prima di effettuare versamenti di denaro contante sul conto corrente è bene premunirsi di adeguata giustificazione. Per un’azienda è importante che vi sia riscontro nella contabilità della ditta o che vi sia una pezza giustificativa scritta e datata riguardo a fatturazioni il cui importo corrisponda al denaro che si vuole versare in conto.

Se ad esempio, un dentista riceve il pagamento in contanti da un proprio paziente e poi si reca in banca per versarli, è necessario che conservi la fattura corrispondente nella quale, peraltro, dovrà essere specificato che il paziente ha pagato in contanti. Stessa cosa per un commerciante che vende un elettrodomestico a un cliente e poi deposita la somma ricevuta in banca.

Il rischio riciclaggio

In assenza di tali prove, l’Agenzia delle Entrate applicherà al contribuente l’imposta ordinaria sul denaro contante in base all’aliquota corrente ritenendolo frutto di reddito non dichiarato e quindi profilandosi l’evasione. Oltre alle sanzioni e agli interessi previsti per legge naturalmente. Se gli episodi sono reiterati e vi sono macroscopiche discordanze fra contabilità aziendale e versamenti di denaro sul conto corrente oppure mancano giustificazioni sulla dichiarazione dei redditi, può scattare anche la misura della confisca del conto corrente in base alla normativa antiriciclaggio.

L’onere della prova

In conformità con lo spirito della Costituzione, il contribuente ha sempre la possibilità di difendersi e fornire la prova contraria. Si ha, quindi, un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica, ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili. E proprio per assicurare l’effettività di tale adempimento, il giudice è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine alle prove fornite dal correntista, rispetto ad ogni singola movimentazione.