Il versamento in contanti va sempre documentato in caso di accertamenti fiscali? E quando l’imprenditore è soggetto a verifiche? Del caso si è occupata di recente la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15538/2020. I giudici hanno chiarito in quali circostanze gli accertamenti sono legittimi e, nel caso in cui vengano messi in atto, come è possibile giustificarsi (quali documenti vanno forniti).

Omessa dichiarazione ricavi: controlli sui versamenti in contanti

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato ad un negoziante l’omessa dichiarazione di ricavi conseguenti alla vendita di prodotti di monopolio e da bar per via di versamenti in contante per 500 mila euro non giustificati emersi dopo l’attivazione di verifiche bancarie.

Dinanzi all’atto impositivo l’imprenditore aveva avanzato richiesta di impugnazione. In primo grado i giudici avevano ritenuto valida la giustificazione avanzata dal contribuente, il quale aveva dimostrato come l’importo dei contanti versati fosse proporzionale ai ricavi dichiarati nel periodo d’imposta come frutto delle vendite dei prodotti di monopolio e dagli incassi del bar. Sulla stessa linea si era posta anche la Commissione Tributaria Regionale, chiamata a decidere in appello.

L’Agenzia delle Entrate aveva infine proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 32 del Dpr n. 600/1973 posto che la Ctr non aveva tenuto conto della regola secondo cui i dati e gli elementi emersi dalle ispezioni bancarie vanno posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non è in grado di dimostrare che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto a imposta o che non rilevano allo stesso scopo. Gli ermellini hanno dato ragione al Fisco riconoscendo che, in effetti, l’imprenditore non era riuscito a fornire la documentazione idonea a giustificare in modo analitico la natura dei versamenti in contanti sul conto contestati dalla Guardia di Finanza.

Versamenti in contanti sul conto: rileva anche l’entità

In altre parole, i giudici di primo e secondo grado, si erano fermati al riscontro di una potenziale corrispondenza tra l’importo dei versamenti e di quanto dichiarato.

Così facendo avevano omesso qualsiasi valutazione del dato oggettivo, costituito dall’entità di versamenti in conto corrente di ammontare superiore rispetto a quello giustificato, in violazione dell’articolo 32 del Dpr n. 600/1973. I giudici di merito avrebbero invece dovuto verificare l’efficacia probatoria delle prove fornite dal contribuente.