Il Governo ha dato l’ok per procedere con la vaccinazione nei luoghi di lavoro. Le aziende che vorranno farsi carico degli oneri e dei costi relativi all’iniziativa, avranno quindi la possibilità di mettere in sicurezza i propri lavoratori. La somministrazione del trattamento anti-Covid, tuttavia, comporta tutta una serie di obblighi e responsabilità. Vediamo quali.

Vaccino Covid in azienda: quali le responsabilità del datore di lavoro

Con l’obiettivo di fornire delle linee guida in grado di tutelare dipendenti e datori di lavoro, l’Inail ha stilato una vademecum valido a livello nazionale per tutte le imprese e le società operanti in Italia.

Nel documento, fin da subito, viene però specificato che:

“Trattandosi di un’iniziativa a tutela della salute pubblica, l’intero processo è sotto la supervisione dell’Azienda Sanitaria di riferimento, che per il tramite del Dipartimento di Prevenzione, può effettuare controlli sullo stato dei luoghi, sui requisiti essenziali e sulla correttezza delle procedure adottate per l’effettuazione dell’attività”.

L’organizzazione stessa della campagna vaccinale, per esempio, deve essere affidata al personale sanitario scelto dall’azienda o dall’Associazione di categoria di riferimento. Medici e infermieri, quindi, saranno responsabili della gestione. Questo vuol dire che, in pratica, spetterà a questi indicare il materiale e l’attrezzatura idonea per svolgere il tutto in sicurezza. Il datore di lavoro/azienda, dal canto suo, può e deve assicurarsi di fornire tutto il necessario.

Tutti gli oneri sono a carico del datore di lavoro o delle Associazioni di categoria di riferimento, ad eccezione dei vaccini, dei dispositivi per la somministrazione (siringhe/ aghi), della messa a disposizione degli strumenti formativi previsti e degli strumenti per la registrazione dell’attività vaccinale.

Vaccino Covid, dalla somministrazione alla supervisione: come deve procedere l’azienda

La somministrazione del vaccino, ha spiegato l’Inail, rappresenta comunque un’iniziativa di sanità pubblica, finalizzata alla tutela della salute della collettività e non attiene strettamente alla prevenzione nei luoghi di lavoro.

Lo scopo è quello di accelerare i tempi della campagna vaccinale nazionale, che può essere comunque preferita dal lavoratore. Un dipendente può quindi decidere di non farsi vaccinare in azienda ma di rivolgersi agli hub sanitari presenti sul proprio territorio.

Va detto, come già accennato sopra, che la responsabilità generale e la supervisione dell’intero processo rimane in capo al Servizio Sanitario Regionale, per il tramite dell’Azienda Sanitaria di riferimento.

L’azienda ha l’obbligo di programmare e prepararsi alla gestione di eventuali eventi avversi, anche in coerenza con i piani di gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro. Dopo l’esecuzione delle vaccinazioni, invece, sarà compito del personale sanitario monitorare il vaccinato. A tal proposito, l’Inail suggerisce che l’osservazione duri “almeno 15 minuti, negli spazi della sede vaccinale, allo scopo di intervenire immediatamente nel caso di reazioni avverse a rapida insorgenza”. Da qui la necessità di predisporre risorse adeguate alla gestione delle emergenze.

Vaccinazione aziendale e seconda dose: a chi deve rivolgersi il lavoratore in caso di effetti collaterali?

I vaccini, è stato specificato, non sono intercambiabili. L’azienda assicurerà la programmazione della somministrazione della seconda dose del vaccino ove prevista. E anche l’intervallo tra prima e seconda dose deve rispettare quanto previsto per lo specifico vaccino.

L’Inail ha fornito indicazioni anche in merito ad eventuali complicazioni post vaccino.

Le persone che hanno manifestato una reazione grave alla prima dose, non devono sottoporsi alla seconda dose in ambito lavorativo. In questo caso, i lavoratori dovranno essere rimandati alle competente dell’Azienda sanitaria di riferimento per le necessarie valutazioni.

Le persone che hanno invece manifestato disturbi lievi possono ricevere la seconda dose in ambito lavorativo. Tra questi, per esempio, quelli che hanno riscontrato “una reazione locale a insorgenza ritardata intorno all’area del sito di iniezione dopo la prima dose”, come eritema, indurimento o prurito.

Sempre in merito alla somministrazione delle dosi, inoltre, resta competenza del datore di lavoro la possibilità di decidere come procedere con le vaccinazioni. A differenza di quanto avviene in ambito pubblico/nazionale, difatti, le aziende non sono tenute a rispettare il requisito dell’età.

Infine, l’azienda può procedere con la somministrazione di un’unica dose del vaccino nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (sia sintomatica che asintomatica). Coerentemente a quanto detto dal Ministero dalla Salute, però, la vaccinazione deve avvenire almeno a 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e, preferibilmente, entro i 6 mesi dalla stessa.