Quante volte si sente dire che in Italia ci sono pochi laureati? Che all’estero ce ne sono di più e che gli atenei tricolori non sono paragonabili alle università inglesi o americane?

Ebbene se si volevano eliminare queste differenze bisognava dare la possibilità alle università italiane di sfornare un più alto numero di laureati. Del resto gli atenei (che si pagano) dovrebbero funzionare come le imprese dove chi produce deve essere in grado di soddisfare la domanda.

Test di ingresso e numero chiuso alle università

E invece no.

In Italia siamo stati abili a introdurre il numero chiuso alle università. Dal 1995, l’iscrizione ai corsi di laurea non è più libera per tutti ma vincolata a test d’ingresso. Cioè si limita il diritto allo studio a una ristretta fascia di studenti, in teoria a quelli più meritevoli. Anche se in fondo le ragioni di tali scelte sono ben altre.

Così un diplomato al liceo scientifico per iscriversi alla facoltà di medicina dovrà superare una selezione in base ai posti che le singole università rendono disponibili. Salvo poi scoprire che le procedure di selezione sono affidate a società private esterne che naturalmente si fanno pagare. Da chi? Dagli studenti naturalmente.

Insomma in Italia è stato fatto l’esatto contrario di quello che bisogna fare per rilanciare il buon nome delle università e per incrementare il numero dei laureati. Non solo. Tutto ciò rasenta i limiti della legalità poiché si preclude, o quantomeno si limita, il diritto allo studio dei giovani.

Con pochi laureati il Paese si impoverisce

Ne va anche della crescita del nostro Paese. Come noto, le prospettive di sviluppo delle economie avanzate sono legate all’accumulazione di conoscenze e competenze da parte delle giovani generazioni. Soprattutto di chi sceglie di andare all’università. Non rispettare il principio delle pari opportunità – spiegano proprio alcuni professori universitari – implica un errore alla base di un percorso che ha delle ricadute sulla crescita del nostro Paese.

E si vedono.

Del resto si sa come funzionano i test di selezione. Tutto è alquanto aleatorio. Il rischio è che si escluda dai corsi universitari giovani diplomati che hanno avuto un percorso formativo brillante durante l’adolescenza. Così come, per converso, si ammettano alle facoltà studenti che per semplice fortuna o per altri motivi oscuri riescono a superare i test.

Ma a prevalere è la ragion di Stato. O meglio, quella di cassa. Del resto la decisione di limitare l’accesso alle università scaturisce da questioni di bilancio. L’istruzione in Italia (e non solo) è finanziata in gran parte da risorse pubbliche che negli ultimi 20 anni sono diminuite. O meglio si è deciso di destinare tali risorse ad altri interventi sociali, come il reddito di cittadinanza. Col risultato che in Italia ci sono meno laureati e più mantenuti.