L’azienda può trasferire un lavoratore con legge 104 articolo 3 comma 1? Analizziamo nel dettaglio il quesito di una nostra lettrice:

Ciao Angelina prima di tutto vorrei ringraziare per avermi risposto poi ti vorrei chiedere un ultima cosa se ho capito bene anche io che ho la 104 articolo 3 comma 1 ho diritto a non essere trasferita siccome mi è stato detto che solo chi ha la 104 articolo 3 comma 3 ne ha diritto, scusami se torno sempre sul discorso ma ho premura di sapere. A me non interessa dei periodi o dei giorni riesco a gestire i mie impegni con i riposi o i permessi stando vicino casa ora sono in causa con la mia azienda appunto perché mi hanno fatto il trasferimento e non vogliono sentire ragioni ti prego dammi almeno tu la conferma che ho capito bene dammi un po’ di pace e tranquillità (mamma disperata )

Il precedente quesito: Trasferimento sede lavorativa con legge 104 per assistere familiare disabile, ci si può opporre?

Trasferimento legge 104, illegittimo ecco perché

In linea generale viene considerata la legge 104 art.

3 comma 3, per far valere il diritto in questione, è necessario che il familiare da assistere sia in possesso della certificazione di portatore di handicap in condizioni di gravità, e non sia ricoverato a tempo pieno. Una sentenza della Corte di Cassazione n. 25379/16 del 12.12.2016, ha precisato che il lavoratore con la 104 non può mai essere trasferito in un’altra sede, tranne che non ci siano esigenze indifferibili per l’organizzazione aziendale. Questo vale anche quando l’invalidità del familiare d’assistere, sia affetto da un handicap non particolarmente grave.

Il caso

La vicenda riguarda una lavoratrice che impugna prima il trasferimento e il susseguente licenziamento, disposto nei suoi confronti.

Nel dettaglio, la lavoratrice adduceva di prestare assistenza alla madre con disabilità, poiché la madre aveva bisogna di assistenza continua aveva avviato la procedura per l’ottenimento dei permessi retribuiti di cui all’art.

33, comma 3 della legge n. 104 del 1992.

Il datore di lavoro contestava l’illegittimità del provvedimento impugnato per mancanza di documentazione attestante l’handicap del familiare della lavoratrice.

Il Tribunale e la Corte d’appello constato gli atti, aveva confermato la legittimità del provvedimento datoriale stante l’assenza di valida documentazione medica attestante la gravità dell’handicap.

La lavoratrice all’epoca del trasferimento, non era ancora in possesso dei benefici previsti dalla legge n. 104 del 1992, aveva solo attivato la procedura.

Quindi, la disabilità non era ancora accertata e nemmeno il suo stato di gravità. Per tale ragione i Giudici sia di primo che secondo grado, definirono legittimo il trasferimento della lavoratrice, dando valore a quanto definiva il datore di lavoro.

La sentenza si è ribaltata, quando è stata sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione che ha ritenuto fondate le doglianze della lavoratrice.

La sentenza della Corte di Cassazione

I giudici della Corte di Cassazione hanno richiamato in esame la precedente sentenza della Cassazione n. 9201/12 che precisava la necessità di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 33, comma 5 della legge n. 104 del 1992 che tenga conto del principio solidaristico posto dall’art. 3, comma 2 Cost., così come pure dei principi sanciti dall’art. 26 della Carta di Nizza del 7 dicembre 2000 e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei disabili del 13 dicembre 2006 ratificata dall’Italia con la Legge n. 18 del 2009.

La Suprema Corte, partendo da tale premessa, ha considerato illegittimo il trasferimento della lavoratrice, precisando che per dare una esatta valutazione se il trasferimento è legittimo o illegittimo, non ci si può limitare al dato formale della presenza o meno della documentazione medica proveniente dagli organi previsti dalla legge. Nella sentenza si legge che occorre “procedere ad una valutazione della serietà e della rilevanza (sotto lo specifico profilo della necessità di assistenza) dell’handicap”.

Quindi, occorre considerare le esigenze reali e concrete del familiare disabile e le esigenze produttive aziendali, facendo un raffronto tra esse.

Bisogna valutare l’effettiva esigenza aziendale e che la necessità del trasferimento, siano tali da potersi imporre sulle contrapposte esigenze del lavoratore che assiste un familiare con handicap.

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