Parliamo di transessualità, una realtà ormai consolidata nella nostra società, e della questione se per cambiare nome all’anagrafe serva o meno l’intervento chirurgico. Il tema è ormai molto discusso ed è diventato importante anche a livello giuridico, dove molto spesso si è trovato al centro dei dibattiti più vari. Chi soffre di disforia di genere non si riconosce nel proprio sesso di nascita ma è possibile cambiare il proprio nome all’anagrafe, tralasciando l’operazione chirurgica per il cambio sesso?

Le sentenze sulla rettificazione di sesso anagrafico

La legge si è esposta diverse volte in merito al tema del «diritto ad una diversa identità di genere» slegata dalla componente biologica.

In particolare la legge n. 164 del 14.04.1982 ha dato il via libera al cambiamento del sesso anagrafico, o rettificazione, ossia è possibile cambiare nome e sesso sui documenti (patente, carta d’identità, tessera elettorale). Il D.Lgs. n. 150/2011, articolo 31, comma 4, invece, ha stabilito che la rettificazione di sesso anagrafico si può realizzare attraverso l’intervento chirurgico. In sostanza per poter cambiare identità e sesso sui documenti è necessario anche sottoporsi ad un ‘adeguamento ai caratteri sessuali’. Questa legge, quindi, impone come condizione quella di doversi sottoporre ad un’operazione molto delicata, demolitiva in alcuni casi, determinando la procedura per il cambio di sesso anagrafico molto lunga, la quale prevede prima una diagnosi psicologica di disforia di genere accompagnata da psicoterapia, una richiesta al Tribunale per avere l’accesso all’operazione chirurgica e un’istanza per avere il cambiamento dei documenti.

La sentenza numero n. 15138 del 20.07.2015. della Corte di Cassazione ha invece stabilito che non è più necessario l’intervento per ottenere il cambio di sesso anagrafico, riferendosi al particolare caso di un soggetto transessuale che aveva avuto concessione all’intervento ma poi aveva cambiato idea, volendo comunque effettuare la trasformazione all’anagrafe. La protagonista, infatti, non voleva più sottoporsi all’intervento, sentendosi comunque donna di fatto, ma avrebbe voluto il cambio anagrafico sui documenti.

Un’altra sentenza della Corte Costituzionale ha seguito la precedente sostenendo che l’operazione per cambiare sesso non era necessaria al fine di ottenere la correzione degli atti anagrafici, sottolineando l’importanza del principio del rispetto altrui e del rispetto reciproco e il benessere psicofisico della persona.