Il TFS degli statali non è pagato al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ma a distanza di tempo. Bisogna aspettare dai 12 ai 24 mesi, sempre che la buonuscita non superi i 50.000 euro. In quel caso i tempi di pagamento si allungano ulteriormente.

Ma oltre a questo aspetto negativo e che discrimina il lavoratore pubblico da quello privato, adesso se ne aggiunge un altro. L’inflazione. Il trattamento di fine rapporto o servizio (TFS), se pagato subito non costituisce un problema, ma se si ritarda il capitale si erode.

L’inflazione erode la buonuscita degli statali

Finché il tasso d’inflazione è rimasto basso l’importo del TFS, benché pagato a distanza di tempo, poteva garantire un potere di acquisto stabile. Ma oggi, con l’inflazione che si è impennata al 7-8%, ricevere il TFS a distanza di 24 mesi comporta una penalizzazione.

Fatto 100 l’importo spettante a uno statale che cessa il servizio, attendere 2 anni per ricevere  il TFS comporta una perdita nominale di 14-16 punti. Il che implica ricevere una buonuscita il cui potere d’acquisto sarà diminuito.

A disciplinare le modalità di liquidazione del TFS è la legge di bilancio per il 2014 (numero 147 del 27 dicembre 2013).  Una legge che il Tar del Lazio ha già contestato ritenendola illegittima, soprattutto per quanto concerne il pagamento rateale.

Pagamento rateale del TFS

Infatti, secondo quando disposto dalla legge di bilancio del 2014, il TFS è pagato in unica soluzione solo fino a un certo importo. La soglia limite è 50.000 euro lordi (prima era di 90.000). Qualora il calcolo ecceda tale soglia, l’ente di previdenza deve liquidare il trattamento di fine servizio in due o più rate annuali.

Così, ad esempio, se il TFS maturato è pari a 130.000 euro, la prima rata da 50.000 euro sarà corrisposta secondo i termini di legge (12-24 mesi). Mentre la seconda rata, sempre di pari importo, a distanza di 12 mesi e la terza e ultima rata da 30.000 euro a distanza di altri 12 mesi.

Un vero e proprio scippo se disgraziatamente l’inflazione continuasse a correre. Il rischio sarebbe quello di vedersi vanificare nel tempo il potere di acquisto sui risparmi accantonati col TFS. Così, ad esempio, se il pensionato volesse acquistare una casa da regalare al figlio che si sposa, rischia di rimetterci soldi alla fine. A meno che non ricorra all’anticipo in banca, come stabilito dall’accordo quadro col governo di recente approvato.