Il governo è a caccia di soldi e non sa più dove prenderli. Mancano circa 3 miliardi di euro per far quadrare i conti e pareggiare le uscite finanziarie nel 2020 previste per congelare l’aumento dell’Iva e varare la riforma del taglio al cuneo fiscale. Fra i vari interventi si sta pensando di tassare anche i cellulari. O meglio le SIM inserite nei telefonini e a cui è associato un numero di telefono.

La misura, chiesta dal PD, avrebbe il merito di portare in cassa circa 250 milioni di euro all’anno, ma potrebbero essere anche di più se si pensa che molti utenti sono intestatari di più numeri di telefono e quindi più SIM.

Un provvedimento che colpirebbe una vasta platea di utenti e riguarderebbe sostanzialmente solo la clientela business, cioè quella dedita agli affari  o con numeri di telefono intestati a società o imprese. Sarebbero escluse le SIM dei privati.

Una tassa di 13 euro per ogni SIM business

Ma a quanto ammonterà la tassa? Si tratterebbe di 13 euro all’anno, poco più di 1 euro al mese e riguarderebbe solo la clientela business per la quale verrebbe però abolita la tassa di concessione governativa sugli abbonamenti. Un’imposta che andrebbe a colpire soprattutto i professionisti, ma anche i piccoli imprenditori e gli esercenti che usano spesso il telefono per lavoro e che sta dividendo PD e M5S all’interno della maggioranza di governo. Se da una parte il PD punta a mettere nuove tasse per fare cassa, il M5S frena perché di nuove tasse non ne vuole sapere.

1 miliardo di euro dalla tassazione delle SIM

Secondo i sindacati, la tassazione delle SIM Card potrebbe portare in cassa fino a 1 miliardo di euro in tre anni, poiché la clientela business è in rapido aumento in Italia. Il rischio, però, è quello che le imprese o chi utilizza i cellulari per lavoro possano scaricare i costi degli aumenti sulla clientela finale e così a pagare sarà sempre e comunque il lavoratore.

Tutto ciò, in un mercato già stressato dal costo delle licenze 5G, potrebbe avere pesanti ripercussioni sulla tenuta occupazionale. Inoltre, – dicono i sindacati – questo intervento indebolirebbe ulteriormente l’insieme del sistema. “É una tassa sbagliata concettualmente. Le telecomunicazioni – dice Fabrizio Solari, segretario della Slc Cgil – sono alla base della digitalizzazione della Pa e del Paese, immaginare di tassare questo settore significa ritardare lo sviluppo dell’Italia. Si pagherebbe un conto salato dal punto di vista di minor prodotto interno lordo. Capisco la necessità di reperire risorse, ma questa è una scelta errata”.

Asstel contro la tassa sulle SIM business

Contrari anche le associazioni di categoria. Asstel, l’Associazione confindustriale della filiera delle telecomunicazioni, sottolinea che “il settore delle telecomunicazioni in Italia ha subito e continua a subire gravi perdite di valore, a causa di un mercato iper-competitivo, dei costi delle frequenze, e di regolamentazioni e normative penalizzanti”. Dunque, il settore “non sopporterebbe un ulteriore aggravio, che si trasferirebbe inevitabilmente dai consumatori tassati ai bilanci delle imprese, già impegnate in rilevanti operazioni di riduzione dei costi, necessarie per compensare la contrazione di ricavi e margini”. Asstel ritiene anche che “una tassazione delle Sim business, in definitiva, non solo danneggerebbe pesantemente un pezzo cruciale dell’industria italiana, ma metterebbe in questione la trasformazione digitale del Paese, obiettivo che tutti affermano di voler perseguire con forza”.