Una delle tasse che subito i maggiori rincari nella storia economica italiana è la Tari. La tassa sui rifiuti applicata dai Comuni su imprese e utenze private in alcune zone d’Italia è raddoppiata nel giro di 10 anni.

Una corsa sfrenata che non si arresta nemmeno di fronte all’emergenza sanitaria. Nel 2020, nonostante il blocco delle attività economiche e la conseguente riduzione della quantità di rifiuti prodotta, il costo della Tari è continuato a salire.

Tari: + 80% in dieci anni

Complessivamente la Tari vale 9,73 miliardi di euro con un incremento medio del 80 per cento dal 2010 al 2020.

Salasso che colpisce maggiormente le imprese rispetto alle utenze private e che permette ai Comuni di fare cassa. La Tari costituisce infatti, insieme all’Imu, il maggior gettito di entrate tributarie per gli enti locali.

Un vero e proprio paradosso che penalizza ulteriormente le imprese del terziario, già duramente colpite dagli effetti della pandemia, con costi che restano ancora troppo alti e sproporzionati a fronte dei quali, peraltro, non corrisponde un’efficiente gestione dei servizi resi dagli enti locali.

Un quadro preoccupante

E’ questa la fotografia scattata dall’Osservatorio Tasse Locali di Confcommercio. Nel 2020 ha censito le delibere e i regolamenti di tutti i Comuni capoluoghi di provincia oltre a più di 2.000 altri Comuni di piccole e medie dimensioni.

Quello che emerge dall’analisi è un quadro particolarmente preoccupante considerando che proprio il 2020 avrebbe dovuto rappresentare un anno di svolta.

L’Arera, l’autorità di regolazione e controllo in materia di rifiuti urbani, aveva, infatti, stabilito che nel corso del 2020 sarebbe dovuta diventare operativa l’adozione del nuovo Metodo Tariffario Rifiuti (MTR). Con l’obiettivo di evitare voci di costo improprie, inefficienze e una maggiore aderenza tra le tariffe pagate dalle utenze e la reale produzione dei rifiuti nel rispetto del principio europeo “chi inquina paga”.

Ma secondo l’analisi dell’Osservatorio, su 110 capoluoghi di provincia e Città Metropolitane, quasi l’80% dei Comuni non ha ancora definito questo nuovo metodo. Nel 21% dei Comuni che, invece, lo hanno recepito, in più della metà dei casi (il 58%) il costo della Tari risulta, paradossalmente, in aumento mediamente del +3,8%.

Due esempi. Nel Comune di Ancona, per un bar di 100 mq la Tari nel 2020 è aumentata di 112 euro. Per un supermercato di 100mq nel Comune di Torino l’aumento arriva a 312 euro. Questo significa che l’adozione del nuovo metodo tariffario ARERA per oltre la metà dei Comuni è stata colta come l’occasione per ritoccare ulteriormente al rialzo il valore complessivo della spesa per i rifiuti.

Il nuovo metodo tariffario Tari

E a poco o nulla è servita, sempre nell’ottica di ridurre i costi per le imprese, la delibera dell’Arera del maggio 2020. Misura attuata per ridurre la parte variabile della tassa in considerazione della minore produzione dei rifiuti legata alla sospensione delle attività produttive per il Covid-19. I dati analizzati dall’Osservatorio evidenziano come il 60% dei Comuni abbia mantenuto le tariffe invariate, mentre il 17% le ha diminuite (mediamente del 5%) e il 23% le ha addirittura aumentate (mediamente del 3,8%).

Chi inquina non paga

Confcommercio auspica che il Governo possa intraprendere un dialogo costruttivo con gli operatori e le associazioni imprenditoriali. Servono, infatti, interventi strutturali per rendere effettivo il principio europeo “chi inquina paga” e commisurare la Tari ai rifiuti realmente prodotti. Occorre, inoltre, risolvere il problema della mancanza cronica di una dotazione impiantistica che fa lievitare i costi dei piani finanziari dei Comuni e, quindi, delle tariffe per le utenze.

La carenza di impianti costringe infatti ad inviare una parte considerevole di rifiuti nelle discariche o ad esportarli all’estero per il trattamento e l’incenerimento. Con buona pace dell’ambiente e delle imprese che devono sostenerne i costi.

Servono anche misure emergenziali, visto il perdurare della diffusione epidemiologica da Covid-19. Esentando dal pagamento della tassa tutte quelle imprese che, anche nel 2021, saranno costrette a chiusure dell’attività o a riduzioni di orario. E quelle che, pur rimanendo in esercizio, registreranno comunque un calo del fatturato e, quindi, dei rifiuti prodotti.

Infine, per i quantitativi di rifiuti che autonomamente le imprese avviano a smaltimento e recupero, senza servirsi del servizio pubblico, bisogna che venga detassata la quota corrispettiva della Tari.