Avrebbe dovuto essere la misura regina delle agevolazioni e non solo di quelle edilizie. Fin qui, però, l’andamento del Superbonus ha subito più cambi di rotta di una barca in tempesta. La questione più spinosa ha riguardato le cessioni del credito, pratica che avrebbe dovuto favorire l’utilizzo del 110% ma che, a causa di qualche falla nell’impostazione generale della misura, ha finito per diventare quasi un elemento di disturbo. O quantomeno di rallentamento, visto che la suddetta pratica, da possibilità, si è trasformata in uno spunto per pratiche illecite o presunte tali.

È chiaro che lo stop alla procedura abbia finito per penalizzare anche le imprese virtuose, almeno fino al nuovo via libera. Ma visto che il Superbonus aveva già imboccato la strada a ostacoli, peraltro senza incassare la simpatia del Governo Draghi (che anzi, aveva parlato di misura imperfetta), ecco che all’orizzonte si è inevitabilmente stagliato il peggiore di tutti. La mancanza di fondi naturalmente.

La crisi del Superbonus

Troppi lavori presi a fronte di risorse non sufficienti a coprirli tutti. Situazione delicatissima, considerando che la possibilità di un rifinanziamento è quanto mai remota e quella di riconversione di risorse parallele appariva difficile quando il Governo era in sella. Figurarsi ora. Probabilmente il capitolo finale della travagliata esistenza del famigerato 110%, con otto giravolte normative che hanno finito per confondere le idee alle imprese edilizie. Persino i principali cessionari del 2020-2021 hanno modificato le condizioni di acquisto dei crediti edilizi, specialmente per i crediti indiretti derivanti dallo sconto in fattura (pur salvando le domande già inoltrate). In crisi anche le seconde cessioni, in alcuni casi bloccate totalmente. Una schiera di cessionari guidata da Poste Italiane, portabandiera della categoria che, almeno inizialmente, aveva uniformato le proprie procedure a quelle standard del periodo più florido del mercato, valutando circa 130 euro ogni 110 di credito maturato.

Le novità di Poste

Tutto questo però appartiene al passato. E già da qualche mese. La pubblicazione del decreto legge n. 4/2022 aveva già impresso una sterzata verso direzioni nuove. Alcuni operatori avevano optato per lo stop all’acquisto dei crediti edilizi, visto l’esaurimento dei plafond o, nella maggior parte dei casi, per i sinistri scricchiolii di un meccanismo che, in quel momento, appariva decisamente fragile. Fra i primi a riaprire la piattaforma di cessione del credito, però, figurava proprio Poste. Anzi, l’azienda era stata la prima a riattivarla, il 7 marzo scorso. Circa un mese dopo lo stop (4 febbraio). A quel punto, però, le novità erano diverse: veto (per la verità già presente in precedenza) sui crediti indiretti ma concessione del corrispettivo a seguito dell’accettazione della proposta di cessione, con proposta contrattuale al cliente. L’importo liquidato per la cessione dei crediti d’imposta con recupero (4, 5 e 10 anni) è stata ripartita in:

  • 99 euro per ogni 110 di credito di imposta per interventi relativi al Superbonus, recupero in 4 anni;
  • 87 per ogni 100 euro su interventi diversi da quelli qualificanti per il 110%, recupero in 5 anni;
  • 70 euro per ogni 100 di credito d’imposta per interventi diversi da quelli qualificanti per il Superbonus, ma con recupero in 10 anni.

Chiaramente, le procedure seguiranno una fase di controlli scrupolosi, al fine di non ricadere nelle vecchie problematiche. In primis, in fase di identificazione del cliente, Poste effettuerà una serie di verifiche incrociate, ad esempio per verificare lo stato del conto corrente. Una sola negatività farebbe da macchia d’olio a tutta l’operazione. Che, a quel punto, diventerebbe un castello di carte.