È stato uno dei simboli assoluti del periodo di pandemia. E, per inciso, uno dei più controversi. Chi lo ha apprezzato, augurandosi di poter continuare così anche dopo la fine dell’emergenza, e chi invece lo ha visto come un’ulteriore distorsione del concetto di normalità. Soprattutto nelle relazioni umane. Lo smart working, o lavoro agile che dir si voglia, ha inevitabilmente detto la sua per quel che riguarda il mondo del lavoro e, soprattutto, le sue modalità di svolgimento e organizzazione.

Per molte professioni non è stato possibile utilizzarlo, per altre si è cercato di adattarlo. Altre ancora, invece, ne hanno quasi beneficiato se si legge il tutto nell’ottica della comodità e della miglior gestione del tempo. Certo è che, come tutte le misure emergenziali, nel momento in cui si è trovato l’assetto l’emergenza era praticamente conclusa. E buona parte dei lavoratori era ben contenta di tornarsene al proprio ufficio e beneficiare, magari, di quella pausa caffè concordata come momento di stacco e convivialità fra colleghi. E forse è stata significativa la decisione di non prorogare lo smart working con il decreto Aiuti bis.

Smart working, come funziona per i Ministeri

Una conferma, a ben vedere, della polarizzazione tra favorevoli e contrari. Con una bilancia che pende dalla parte di questi ultimi (visti anche i costi). Non sarebbe esatto, però, dire che dal dl arrivato in estate sia stato del tutto estromesso il discorso del lavoro agile. Anzi, in realtà si è cercato di dare nuove regole, senza tuttavia riuscire a inquadrare il tutto in una normativa adeguata e, soprattutto, generalizzata. Il risultato, al netto della mancata proroga, è stata una pianificazione a macchia, con variazioni da Ministero a Ministero, almeno per quel che riguarda la Pubblica amministrazione. Tutto fa riferimento ai cosiddetti Piani integrati di attività e organizzazione (Piao) che, però, sono per definizione differenti a seconda dell’ufficio.

O, come in questo caso, dell’ente. Chiaramente, all’interno dei Piao vengono incluse le regole riguardanti non solo lo smart working ma anche altre voci dell’organizzazione lavorativa, dalla formazione alle performance alla parità di genere. Per quel che riguarda il lavoro agile, la regolarizzazione arrivava dai Piani per l’organizzazione Pola, a loro volta confluiti nei Piao.

Viminale e buoni pasto

Il nodo è semplice e riguarda perlopiù gli enti che utilizzano lo smart working in modo strutturale. Ad esempio il Ministero del Lavoro che, a tal proposito, ha istituito un limite alle giornate di lavoro da remoto: massimo tre a settimana, anche per i lavoratori con malattie gravi. E lo stesso vale per chi abita a distanza considerevole dal luogo di lavoro e per i genitori con figli fino a 14 anni di età. Regole che, a ogni modo, non hanno scoraggiato i dipendenti a fruire della possibilità di sganciarsi dall’ufficio: al 31 dicembre 2021, infatti, su 1.878 dipendenti addirittura il 73,48% aveva svolto attività da remoto. Per altri Ministeri, il tutto funziona in modo diverso. Ad esempio, per quello dell’Interno è rimasto il nodo gordiano dei buoni pasto. Il Viminale, infatti, non ne prevede la maturazione nel momento in cui il lavoratore svolge la propria attività da casa. E lo stesso vale per le indennità di trasferta e le prestazioni straordinarie. In pratica, chi lavora a casa resta a secco alla mensa dell’ufficio (e non solo). Dettaglio da non trascurare se ci si dovesse cucinare qualcosa da soli…