L’emergenza sanitaria ha scatenato dei cambiamenti senza precedenti nell’ultimo anno. Tra chiusure, crisi e riadattamenti, la pandemia ha come aperto una finestra sul futuro, rivoluzionando – più per necessità che per voglia di rinnovamento – anche il nostro modo di lavorare. Lavorare da casa, il cd. “smart working“, è diventata una realtà sempre più diffusa, accelerando l’adattamento digitale di aziende e lavoratori.

Tutto ciò che poteva essere “spostato” on line è stato riadattato a nuove forme di attività: la scuola su Google meet, gli allenamenti di pilates su Skype, le riunioni su zoom, con gli esempi si potrebbe continuare ancora per molto.

Tante cose non sono più come prima, e probabilmente non lo saranno neanche dopo che l’emergenza sanitaria sarà rientrata.

Basta pensare al mondo del lavoro, destinato a dire addio ai classici turni da ufficio in molti settori. Diversi colossi come Ford, Spotify e Generali hanno già annunciato che permetteranno ai propri dipendenti – anche dopo la pandemia – di scegliere se tornare in ufficio o continuare a lavorare da casa. Altri invece alterneranno lo smart working con pochi giorni di presenza in sede.

Ma ogni rivoluzione, grande o piccola che sia, genera sempre degli effetti sull’economia di un Paese. Quando poi la trasformazione riguarda l’intero mondo, o comunque i Paesi più ricchi, è da ingenui pensare che questo non abbia anche un impatto su consumi e produzione, sia nel breve e che nel lungo termine.

Gli effetti dello smart working sull’economia: i settori che più hanno risentito delle chiusure

Il punto della situazione, concentrandosi sugli effetti dello smart working sull’economia, ha provato a farlo recentemente il Fondo monetario internazionale. Secondo l’analisi svolta, tra i settori più a rischio crack ci sarebbe quello immobiliare. Con uffici chiusi e aziende pronte a non far ritornare i propri lavoratori in sede, il mercato degli affitti e delle vendite è quello che sta soffrendo di più.

Basta pensare che a New York, nel quartiere di Manhattan c’è stata una riduzione del 25% dei contratti di vendita o di affitto nell’edilizia non residenziale. In Europa il calo è stato addirittura maggiore. Nell’ultimo trimestre del 2020, infatti, le transazioni che riguardano gli uffici sono scesi del 60% rispetto all’anno prima. Male anche per il comparto negozi, che rappresentato un’altra grande fetta del mercato, cui discesa è stata del 40%.

Smart working, gli effetti sulle città e i consumi

È vero che il lavoro da remoto andrà a vantaggio di molti lavoratori riducendo i tempi degli spostamenti, i costi dello stare fuori casa e garantendo una maggiore flessibilità. Analizzando prettamente l’aspetto dei consumi, tuttavia, questo cambiamento di abitudini colpirà inevitabilmente anche le economie urbane che sono state sempre supportate dagli impiegati.

Secondo i ricercatori dell’Università di Chicago, il passaggio (post pandemia) allo smart working di molte aziende ridurrà la spesa nelle principali aree metropolitane dal 5% al ​​10%. E Il deficit potrebbe anche raggiungere il 13% in aree densamente popolate.

“Questi lavoratori riducono il pendolarismo e, rimanendo di più a casa, spenderanno meno in cibo, acquisti, servizi personali e intrattenimento vicino ai luoghi di lavoro raggruppati nei centri urbani”, ha spiegato il team di ricerca americano. Per questo motivo “i distretti centrali degli affari vedranno cali di spesa notevolmente maggiori rispetto ai livelli pre-pandemici”.

Un tale calo della spesa rappresenterebbe un problema non di poco conto per le città che cercano di riprendersi dalle ricadute economiche della pandemia. Basta pensare che la spesa dei consumatori rappresenta circa il 70% dell’attività economica ed è uno stimolo particolarmente importante nelle aree che hanno dovuto fare i conti con i continui e ripetuti lockdown.

Non solo brutte notizie

Non tutte le ricerche, tuttavia, si soffermano sugli effetti negativi dello smart working sull’economia.

Secondo uno studio recente di Bloomberg, infatti, il lavoro da casa cambia abitudini e consumi ma – dati alla mano – rende anche più produttivi.

Gli analisti di Goldman Sachs hanno inoltre spiegato che, se si tiene conto del fatto che circa un quarto della forza lavoro continuerà con lo smart working anche dopo la pandemia (queste le attuali previsioni), la maggiore produttività avrà anche degli effetti positivi sul PIL. Questo comporterebbe un aumento di denaro e dei risparmi. Infine, anche se gli uffici non verrebbero più usati dai dipendenti, non è escluso che gli stessi potrebbero essere reimpiegati in altri modi, più redditizi. La chiamano “ridistribuzione creativa”, ovvero la chiusura di attività infruttuose a favore di investimenti più produttivi.

Non solo brutte notizie quindi: il mondo sta cambiando e – come per ogni cambiamento – i più ottimisti suggeriscono che bisogna semplicemente riadattarsi.