Anche Ikea, dopo Amazon, nel centro del mirino per il trattamento dei dipendenti. Questi ultimi sono in sciopero da giorni in tutta Italia per rivendicare i loro diritti. Chi non è partito per le ferie e è passato all’Ikea in questi giorni di agosto, avrà probabilmente trovato all’ingresso picchetti di protesta con striscioni di protesta “Lavoratori italiani, mobili svedesi, stipendi cinesi” o “Offerta speciale, sconto del 20 per cento su tutti i dipendenti Ikea”.

I dipendenti chiedono il rinnovo del contratto integrativo aziendale che offriva maggiori garanzie rispetto al contratto nazionale del commercio.

Ikea smonta i diritti dei lavoratori?

A livello internazionale Ikea è un’azienda che ha puntato molto sulla sua immagine: ma è veramente un posto buono in cui lavorare? Le cose di recente sembrano essere cambiate in peggio. Filippo Faiola, del sindacato di base Flaica, spiega quali rischi comporta il nuovo contratto: “Vogliono abbassarci il domenicale dal 70 per cento al 40 per cento e le altre festività dal 130 per cento al 70 per cento. E poi ridurre l’integrativo di altri 60-70 euro al mese. Per un dipendente che prende 1.300 euro al mese, significa rimetterci almeno duecento euro, circa il 20 per cento”. L’ultimo comunicato dell’azienda svedese confermava la volontà di trovare un compromesso ma è datato 5 agosto e presuppone la disponibilità dei dipendenti ad accettare quello che viene definito come un “innovativo sistema di gestione dei turni, che offre la possibilità ai collaboratori di partecipare alla scelta dei propri orari di lavoro, con l’obiettivo di raggiungere una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro”. Di fronte allo sciopero di questi giorni nessuna presa di posizione ufficiale. In ballo quindi ci sono turni nei festivi e retribuzione legata in parte agli obiettivi in primis ma anche i tagli del personale.

Ma chi lavora presso Ikea Italia punta anche il dito contro le discriminazioni tra Italia e resto d’Europa: “in Germania guadagnano di più, i punti vendita la domenica sono chiusi e fanno orari più ridotti. Qui da noi, così come in Spagna, la proprietà pretende più flessibilità in camb