Gli importi pagati da una società per rimborsare i propri dipendenti in smart working sono esclusi da tassazione, in quanto non costituiscono reddito di lavoro dipendente. Si è espressa in tal senso l’Agenzia delle entrate con la risposta n° 314 del 30 aprile.

La risposta n° 314 del 30 aprile: la tassazione dei rimborsi per lo smart working

Il diffondersi della pandemia da Covid-19 ha favorito il ricorso al c.d smart working; al fine di limitare al massimo gli spostamenti ed evitare assembramenti, i datori di lavoro hanno riconosciuto ai propri dipendenti la possibilità di lavorare da casa.

Lo smart working comporta comunque dei costi in capo al dipendente. Si pensi al costo connessione internet, al riscaldamento,  al consumo di energia elettrica ecc. Costi per i quali il dipendente può ricevere dei rimborsi da parte del datore di lavoro. Proprio su tale passaggio si è soffermata l’Agenzia delle entrate con la risposta n°314 del 30 aprile.

Rimborsi per il lavoro da casa

Nello specifico, una società intende sottoscrivere un accordo sindacale di secondo livello ovvero adottare un regolamento aziendale avente ad oggetto il trattamento economico e normativo dei propri lavoratori e dei dipendenti di società appartenenti al medesimo Gruppo che svolgono la loro attività in smart working, ex art.18 e ss. della legge n. 81/2017.

Nei fatti, la società intende riconoscere dei rimborsi ai propri dipendenti per ristorarli dai costi sostenuti per svolgere il lavoro da casa.

In particolare, viene preso in considerazione il consumo di energia elettrica per l’utilizzo di un computer e di una lampada. Sono considerati altresì e i costi per l’utilizzo dei servizi igienici (acqua e materiale di consumo). Viene inoltre considerato l’utilizzo di un sistema di riscaldamento per un’ora al giorno.

Il rimborso per il lavoro da casa è riconosciuto sulla base delle seguenti condizioni:

  • il luogo di svolgimento della prestazione in smart working è l’abitazione del dipendente o altro luogo, i cui costi diretti sono a suo carico;
  • non si considerano le spese di vitto, climatizzazione estiva e abbonamento internet;
  • non si considerano altri costi fissi quali le spese di allaccio alla rete elettrica ed idrica in quanto ritenuti indipendenti dall’utilizzo dell’abitazione (o luogo ad esso assimilabile) per scopi lavorativi anziché ad uso esclusivamente privato.

Da qui, è stato chiesto all’Agenzia delle entrate quale sia il corretto trattamento fiscale delle somme riconosciute a titolo di rimborso smart working.

Il parere dell’Agenzia delle entrate: il principi di onnicomprensività e i rimborsi al lavoratore

Il parere dell’Agenzia delle entrate non può che partire dal c.d, principio di onnicomprensività. Principio in base al quale, tutte le somme in denaro nonché i beni e servizi  corrisposte dal datore di lavoro al dipendente, costituiscono reddito da lavoro dipendente e come tale da tassare.

Tale principio è fissato all’art.51 comma 1 del DPR 917/86, TUIR.

Costituiscono reddito di lavoro dipendente:

tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono.

In linea generale, tutte le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore, anche a titolo di rimborso spese, costituiscono per quest’ultimo reddito di lavoro dipendente.

Esentasse i rimborsi in favore del dipendente

Individuato il principio di onnicomprensività, l’Agenzia delle entrate richiama alcuni documenti di prassi, in base ai quali, per determinati rimborsi, era stata riconosciuta la piena detassazione.

Ad esempio:

  • con la circolare n. 326/1997 è stata sancita la detassazione dei rimborsi relative a spese per l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore, quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, eccetera (di competenza del datore di lavoro);
  • la risoluzione n. 178/2003 ha chiarito che non rientrano nella base imponibile le somme che non costituiscono un arricchimento per il lavoratore, ad esempio gli indennizzi ricevuti a mero titolo di reintegrazione patrimoniale e che non sono fiscalmente rilevanti, in capo al dipendente, le erogazioni effettuate per un esclusivo interesse del datore di lavoro.

Infine, con la risoluzione n. 357/2007 l’Agenzia delle entrate ha precisato che: le somme erogate per rimborsare i costi dei collegamenti telefonici non sono soggette a tassazione. In quanto sostenute dal telelavoratore per raggiungere le risorse informatiche dell’azienda messe per poter espletare l’attività lavorativa (Telelavoro).

Conclusioni: esentasse i rimborsi smart working

In assenza di un criterio definito dal legislatore per la determinazione della quota esclusa da tassazione, i costi a carico del dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi. Tali elementi oggettivi devono essere documentalmente accertabili. Per evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

Nel caso in esame, i rimborsi smart working sono individuati sulla base di parametri volti ad quantificare il risparmio conseguito dalla società su costi sostenuti dal dipendente. Dunque, si tratta di costi sostenuti nell’interesse esclusivo del datore di lavoro. In conclusione, nel caso specifico, le somme erogate dalla società a titolo di rimborso smart working  non sono imponibili ai fini Irpef.