Sulla riforma pensioni ogni giorno si inseguono proposte e discussioni. Intanto, però, il governo ha stoppato il confronto coi sindacati e di fatto non c’è ancora alcuna proposta sul tavolo da valutare.

Sindacati e Lega premono per Quota 41 o uscita anticipata a partire da 62 anni con penalizzazione per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 prevista dalla vecchiaia. Buoni propositi di riforma pensioni che però fanno a pugni con la necessità di far quadrare il bilancio dello Stato.

La proposta Tridico (Inps) per pensioni in due rate

Torna così in auge la proposta del presidente Inps Pasquale Tridico per pensioni flessibili, in due tempi.

Una soluzione che piace poco tecnicamente ma che sarebbe finanziariamente sostenibile. Come funzionerebbe?

Una prima parte delle pensioni sarebbe liquidata subito, al raggiungimento dei 64 anni, ma a valere solo sui versamenti effettuati nel sistema contributivo. Cioè quelli maturati dal 1996 in poi. E una seconda parte della pensione al raggiungimento dei 67 anni, a valere sulla restante parte dei contributi versati prima del 1996, cioè nel sistema di calcolo retributivo.

La soluzione avrebbe il merito di mantenere in equilibrio i conti dell’Inps. E, grazie ai risparmi sulle pensioni realizzati da quota 100 (9,5 miliardi di euro), di aprire le porte al pensionamento anticipato a molti lavoratori.

I vantaggi economici

I vantaggi della proposta di riforma pensioni di Tridico sono sostanzialmente due: il primo di natura economica perché lo Stato risparmierebbe più del 70% rispetto a quanto si è visto con quota 100 (circa 10 miliardi di euro). In questo senso le previsioni di spesa sarebbero uguali a quelle previste dal governo per quota 102.

Il secondo vantaggio sarebbe di natura sociale. La proposta pensioni dell’Inps si baserebbe su un requisito contributivo minimo di almeno 20 anni. Il che permetterebbe a una vasta platea di lavoratori di lasciare il lavoro liberando spazio ai giovani. Soprattutto nella pubblica amministrazione.

Quota 102, infatti, richiede almeno 38 anni di contributi e – secondo le previsioni – nel 2022 lasceranno il lavoro poco meno di 10 mila lavoratori. Una strozzatura che non porta vantaggi concreti all’occupazione in Italia.