L’introduzione di Quota 103 da quest’anno ha dato un parvenza di abbassamento dell’età pensionabile. Si esce a 62 anni con 41 di contributi, quindi con un anticipi sull’età anagrafica di ben 5 anni. Ma non è tutto oro ciò che luccica.

Innanzitutto perché bisogna inquadrare bene il contesto con cui si arriva a Quota 103. Si tratta infatti di una continuazione dell’opera avviata dall’ex governo Draghi per ripristinare i requisiti Fornero per tutti senza più deroghe. Quindi uno scalino ulteriore conseguente a Quota 102.

E poi perché, comunque, Quota 103 finisce il 31 dicembre 2023.

Con la Meloni in pensione a 62 anni

I media hanno presentato Quota 103 come una vittoria dei lavoratori per superare la Fornero. Ma non è così. Anche perché la misura è riservata a poche migliaia di lavoratori in grado di centrare i requisiti entro l’anno. E poi perché sono previsti dei vincoli economici. La pensione così liquidata non può superare l’importo di 5 volte il trattamento minimo.

Insomma, per chi consce bene la materia, si tratta di un contentino che la dice tutta sulle intenzioni del governo in tema di pensioni. Basti vedere cosa è successo a Opzione Donna che da quest’anno sarà accessibile solo a lavoratrici che si trovino in particolari condizioni di disagio sociale. E comunque per coloro che possono contare anche su altre entrate economiche, oltre alla pensione.

Sicché, queste due misure che sono intervenute in legge di bilancio, non hanno stravolto l’assetto previdenziale, ma hanno drasticamente limitato l’accesso alle pensioni anticipate. Che è il vero obiettivo del governo. Interventi che si sommano a quelli del taglio delle rivalutazioni degli assegni a partire da quest’anno (perequazione automatica).

Verso una riforma all’insegna dei tagli

Di fatto la spesa pensionistica rischia di andare fuori controllo nei prossimi anni. Il problema della denatalità, unito alle troppe uscite anticipate e alle spese per l’assistenza previdenziale di un Paese che invecchia rapidamente non consento più margini di manovra.

Così a raccomandare al governo prudenza sono un po’ tutte le istituzioni nazionali e internazionali. La più autorevole è quella dell’Inps. In una recente dichiarazione il presidente Pasquale Tridico ha detto che “il quadro da qui al 2029 non è positivo”. Il rapporto fra lavoratori attivi e pensionati si sta deteriorando minacciando la tenuta dei conti dell’Inps. Già quest’anno ci sarà un buco da 10 miliardi nei conti Inps.

E tutto parte dal calo demografico e dall’impoverimento del Paese che invecchia sempre di più. In Italia ci sono oggi 23 milioni di lavoratori che sostengono 16 milioni di pensionati su una popolazione di 60 milioni. Numeri che la dicono tutta sulle difficoltà a pagare le pensioni e sulla tenuta dei conti Inps nel lungo periodo.

Ergo, serviranno altri tagli che non potranno più ricadere sull’età pensionabile, ma sul pagamento delle rendite. Un assaggio di quello che ci attende è già arrivato con il ridimensionamento della perequazione automatica. Speriamo che basti (per ora).