Il 2021 è passerà alla storia come l’anno della terza grande riforma pensioni. In cantiere vi sono già numerosi progetti messi in piedi dal governo Conte bis, ormai giunto al termine. Le trattative con le parti sociali erano già in parte avanzata.

Questi progetti prevedono sostanzialmente una profonda riforma pensioni che parte da quota 100, destinata a terminare con la fine del 2021, per toccare altre forme di pensionamento anticipato. Senza trascurare la necessità di dare vita a una pensione di garanzia per i giovani lavoratori.

Riforma pensioni, cosa succederà con Draghi

Con la fine del governo Conte e l’arrivo di Draghi a palazzo Chigi, la riforma pensioni sarà però rimessa in discussione. Così come la riforma fiscale. Difficile immaginare che vengano stravolti in piani già architettati finora. Tuttavia, la visione futura della spesa pensionistica e la necessità impellente di far quadrare i conti pubblici assume adesso maggior rilievo.

Cosa succederà? Difficile dirlo in questo momento. Cero è che la storia insegna qualcosa. In passato sono sempre stati i governi cosi detti “tecnici” (definizione inappropriata, visto che gli esecutivi devono sempre godere della fiducia del Parlamento) a mettere mano alle grandi riforme. Ricordiamo Dini nel 1995 e poi Monti nel 2011.

Quota 100 e il modello tedesco

Quello che più preme della riforma pensioni è quota 100. La Germania non ha mai visto di buon occhio questo sistema di pensionamento anticipato (insieme al reddito di cittadinanza) e la Merkel più volte aveva bacchettato Conte. Con Draghi al comando, più europeista e tecnocrate, la riforma delle pensioni anticipate potrebbe assumere un diverso rilievo. Sul modello tedesco, ad esempio.

In Germania si va oggi in pensione a 65 anni e 6 mesi (ma l’età è in aumento) o, in alternativa, con 45 anni di contributi. Ma si può anche uscire in anticipo, con le dovute eccezioni per chi svolge lavori usuranti o nelle forze armate o di polizia.

Dopo la riforma pensioni, i lavoratori tedeschi precoci ed esposti a lavori usuranti, ad esempio, possono lasciare il lavoro a 63 anni, ma solo se hanno 45 anni di contributi (da noi ne bastano 41).

In Germania, però, è anche possibile lasciare il lavoro in anticipo, ma non prima dei 63 anni, e chi lo fa perde lo 0,3% della propria pensione per ogni mese: in un anno la percentuale sale al 3,6%. I nati prima del 1964 accedono alla pensione piena con 35 anni di contributi e 65 anni di età. La misura è penalizzante e tende a scoraggiare il pensionamento anticipato, anche se negli ultimi anni sono molti i lavoratori che lasciano anzitempo il lavoro accontentandosi di un assegno più basso. Viceversa il sistema tedesco riconosce un premio per chi posticipa il pensionamento.

Pensione anticipata con penalizzazione

Del pensionamento anticipato con penalizzazione, sul modello “opzione donna”, ne aveva sussurrato anche il governo Conte. Le carte della riforma pensioni in tal senso non erano mai state scoperte, ma il piano era quello. Con Draghi è probabile che il progetto sarà portato a compimento.

Resta da vedere se con quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi) o altre requisiti. La Lega, semmai dovesse sostener il nascente governo Draghi, pretenderebbe il rinnovo di quota 100 lasciando le cose come stanno. Al limite introducendo un sistema di penalizzazione soft calibrato con agli anni di contribuzione versati nel sistema retributivo.

Inevitabile una penalizzazione che potrebbe arrivare, secondo le più pessime previsioni, anche a una perdita del 20-25% dell’assegno.