Secondo quanto previsto dal decreto del 22 ottobre 2019 firmato dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Nunzia Catalfo, pubblicato solamente l’8 gennaio 2020, i percettori del cosiddetto “Reddito di Cittadinanza” sono tenuti a prestare servizi di “Pubblica Utilità” presso i comuni di residenza.

Il lavoro prestato sarà poco più di 8 ore a settimana (estendibili fino a 16 ore in caso di accordo tra le parti) e non sarà retribuito, ma, ovviamente, i soggetti continueranno a percepire il sussidio di cittadinanza.

 

Quanto bisognerà lavorare?

In questi giorni, i beneficiari del Reddito di Cittadinanza saranno convocati presso i centri dell’impiego, dove saranno tenuti alla firma del cosiddetto “Patto per il Lavoro”.

Come già detto, essi dovranno prestare attività di pubblica utilità per 8 ore settimanali, estendibili a 16 ore in base agli accordi tra le parti, ma con un orario flessibile.

In altri termini, le 8 ore potranno essere prestate durante un solo giorno, in più giorni o, anche, interamente in un solo periodo del mese.

 

Cause di esclusione

Il decreto stabilisce, inoltre, le possibili cause di esclusione dall’attività di pubblica utilità, cioè le condizioni in base alle quali è possibile mantenere il sussidio pur non prestando la propria attività.

In particolare, non dovranno prestare alcuna attività presso il comune di residenza i seguenti soggetti:

  • Alcuni percettori di reddito da lavoro dipendente o autonomo;
  • Persone che stanno frequentando un corso di studi;
  • I soggetti che versano in una condizione di disabilità o comunque non autosufficienti;
  • Persone che si prendono cura di un disabile non autosufficiente;
  • Soggetti che si prendono cura di un minore di tre anni di età;
  • Chi è in gravidanza.

Tutti coloro che non hanno i requisiti di cui sopra, come detto, sono tenuti alle 8 ore lavorative non retribuite.

In caso contrario, i soggetti interessati perderanno il diritto al sussidio.

 

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