Commettere reati tributari può comportare l’applicazione non solo di sanzioni di natura amministrativa. Si può finire anche in carcere. Previste, infatti, anche sanzioni a carattere penale. E proprio su questo aspetto, nel nuovo decreto contro il caro bollette (decreto-legge n. 34 del 2023), approvato dal Consiglio dei Ministri del 28 marzo 2023, arriva una sorta di nuovo scudo.

In estrema sintesi, non si finisce in galera se, prima della pronuncia della sentenza di appello, il contribuente si avvale di uno degli istituti di tregua fiscale previsti dalla Legge di bilancio 2023, pagando ovviamente quanto dovuto a seguito dell’adesione a questi istituti.

I reati tributari: quanti anni di carcere si rischiano

Secondo quanto previsto dalla legge, senza considerare le ultime novità previste dal decreto contro il caro bollette, è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni:

  • chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta (art. 10-bis D. Lgs. n. 74 del 2000);
  • chi non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro 250.000 euro per ciascun periodo d’imposta (art. 10 ter D. Lgs. n. 74 del 2000);
  • chiunque non versa le somme dovute, utilizza in compensazione nel Modello F24 crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a 50.000 euro (comma 1 art. 10 quater D. Lgs. n. 74 del 2000).

È inoltre punito con la reclusione da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni, chiunque utilizza in compensazione nel Modello F24 crediti inesistenti per un importo annuo superiore a 50.000 euro (comma 2 art. 10 quater D. Lgs. n. 74 del 2000).

Lo scudo penale

L’art. 13 del medesimo D. Lgs. n. 74 del 2000, tuttavia, già prevede una sorta di scudo penale, stabilendo che i reati tributari di cui sopra non sono punibili se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti.

E ciò anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalla legge, nonché’ del ravvedimento operoso. In altre parole il contribuente non rischia la galera laddove si metta in regola prima che inizia il processo di primo grado.

Reati tributari, si rafforza lo scudo penale

Il decreto n. 34 del 2023 (art. 23), interviene, stabilendo che i reati tributari sopra menzionati restano impuniti anche laddove il contribuente provveda a rimediare agli omessi versamenti avvalendosi, prima della pronuncia della sentenza di appello, della tregua fiscale disciplinata dalla manovra di bilancio 2023. Ci riferiamo ad esempio alla definizione agevolata avvisi bonari, ravvedimento speciale, rottamazione quater, ecc.

Chi intende godere di questa chance deve pagare quanto dovuto e darne informazione all’Autorità giudiziaria nei confronti in cui pende il giudizio. Allo stesso tempo occorre informare anche l’Agenzia delle Entrate indicando il riferimento del procedimento penale in corso. Successivamente il processo sarà sospeso e l’Agenzia Entrate informerà il giudice della corretta definizione della procedura e dell’integrale versamento delle somme dovute o del mancato perfezionamento della procedura o della decadenza dal beneficio della rateazione.