Quota 41 rischia di diventare un rebus per la prossima riforma pensioni. C’è chi la vuole, chi non la vuole, chi crede sia meglio mettere una soglia minima di età e chi preferisce soprassedere estendendo Opzione Donna anche agli uomini.

L’unica cosa certa e che fa perdere la bussola in questo frangente sono le scarse disponibilità finanziarie per affrontare una vera e propria riforma pensioni. Quindi è sempre più difficile evitare il ritorno integrale della Fornero dal 2023.

Quota 41 con vincolo età anagrafica 

Per far passare la riforma facendo quadrare i conti si sta quindi pensando di introdurre uno sbarramento anagrafico.

Ecco quindi spuntare all’orizzonte l’ennesimo pasticcio previdenziale. Quota 41 con soglia di età minima, per spendere meno. Età non ancora ben definita ma che pare sia almeno 61-62 anni. I preventivi di spesa scenderebbero così a 800 milioni all’anno, ma (ovviamente) in pensione anticipata ci andranno pochissimi lavoratori.

E il motivo è semplice. Quota 41 col vincolo dell’età a 61 o 62 anni rappresenta un imbuto troppo stretto nel quale ci passerebbero poche migliaia di lavoratori. Forse meno di quelli che finora hanno potuto beneficiare di Quota 102. Tanto varrebbe, a questo punto, lasciare le cose come stanno.

Ma si sa, la politica è anche l’arte dell’inganno. E pur di raccontare ai lavoratori che è stato fatto di tutto per evitare il ritorno integrale della Fornero nel 2023, ci si inventa anche Quota 41 con soglia di età. Come è stato fatto con Quota 102, nel silenzio generale e, anzi, con il sostegno dei mass media.

Quante assunzioni per ogni pensionamento

Quota 41 non sarebbe quindi un buon viatico per assumere giovani lavoratori. Ancor meno se fosse affiancata da restrizioni legate alla soglia anagrafica. Pochi sarebbero i posti che verrebbero resi disponibili alla base con questo meccanismo di pensioni anticipate.

L’esperienza, poi, ci insegna che in passato le cose non sono andate per niente bene.

Quota 100, che ha liberato molte più posizioni lavorative sia nel pubblico che nel privato ha prodotto scarsi risultati.

A fronte di un milione di posti di lavoro promessi dalla Lega con Quota 100, alla luce dei fatti ne sono arrivati meno di un terzo. Forse si arriverà a 430 mila considerando anche i lavoratori che andranno in pensione con Quota 100 in futuro dopo aver cristallizzato il diritto.

Quota 102 ha dato ancora meno frutti rispetto a Quota 100. Quindi impossibile che Quota 41 con o senza vincolo anagrafico possa fare meglio. I giovani resteranno sempre in attesa di trovare occupazione. Anche perché – come dicono gli economisti – è soprattutto la crescita economica che produce posti di lavoro.

Posti di lavoro e prepensionamenti

Escludendo il pubblico impiego, è stato soprattutto il settore privato a creare nuovi posti di lavoro negli ultimi 5 anni. Nonostante la crisi dovuta alla pandemia. E questo perché in sostanza le aziende hanno potuto beneficiare dei contratti di espansione.

Il governo Draghi ha esteso questa opportunità anche alle aziende medie, con almeno 50 dipendenti. Uno scivolo verso la pensione che potrà realizzarsi anche nel 2023 e che prevede, in sostanza, un accordo sindacale con piano di assunzione di giovani lavoratori (turn over).

Per il settore credito lo scivolo può arrivare fino a 7 anni, come abbiamo visto per il caso Monte dei Paschi di Siena. Il che permette un ringiovanimento della forza lavoro anche in ambito bancario e creditizio. Ma torniamo a Quota 41.

Perché Quota 41 non produrrà posti di lavoro

L’uscita anticipata con 41 anni di contributi con soglia di età sarebbe in pratica una pensione per lavoratori precoci allargata. Più precisamente oggi i lavoratori precoci possono andare in pensione con 41 anni di contributi a patto di aver lavorato almeno 12 mesi prima del compimento dei 19 anni di età.

Con la riforma, in sostanza, sarebbe concessa la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi senza detto vincolo dei 12 mesi, ma con quello dell’età anagrafica a 61-62 anni.

Il che significa che un lavoratore per uscire a 61 anni deve aver iniziato a lavorare da giovane, almeno a 20 anni senza interruzioni di carriera.

A 62 anni, l’ago della bilancia sale a 21 anni, a 63 si alza a 22 anni e così via. Fino a 66 anni quando basta aver intrapreso l’attività lavorativa a 25 anni, sempre senza discontinuità di versamenti contributivi. Poi a 67 anni basteranno 20 anni di contributi per uscire con la pensione di vecchiaia.

E’ del tutto evidente che, in base alle proiezioni appena descritte, pochissimi lavoratori potranno beneficiare di Quota 41. Così come è stato per Quota 102 con il governo Draghi. Quindi si libererebbero pochi posti di lavoro.