Non è reato di stalking pubblicare post dal tono sfottente, che possono essere letti solo da chi vuole e che hanno un contenuto irridente.

Stalking: deridere su Facebook non è reato

Con la Sentenza n. 34512/2020 la Cassazione esclude che il reato di stalking possa essere integrato dalla pubblicazione di post irridenti su una pagina Facebook e senza indicazione alcuna dei destinatari.

È quanto deciso dalla Corte di Appello che, riformando la sentenza di primo grado, assolve l’imputato dal reato di stalking perché accusato di aver molestato due persone con messaggi ingiuriosi postati su Facebook ed inviati sul telefono.

In dettaglio, il profilo pubblico creato dall’imputato assolto rendeva ridicolo davanti a tutti il comportamento dei proprietari dell’appartamento che lui deteneva in locazione.

I proprietari dell’immobile, pur essendo evasori fiscali, avevano affittato la casa in nero avevano e tenevano comportamenti moralistici come quelli di tutela attiva per la salute degli animali.

Anche se le generalità non venivano esplicitate erano facilmente individuabili.

Il tono sfottente dei post pubblicati su Facebook era ascrivibile al legittimo esercizio della libertà di manifestazione del pensiero.

Cassazione: è legittimo pubblicare post dal tono sfottente su Facebook

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 34512/2020 ha respinto il ricorso del Procuratore perché finalizzato a ottenere una nuova lettura delle prove.

Per quanto concerne le condotte moleste di pirateria informatica attribuite all’imputato, la Cassazione rileva come dei

“messaggi asseritamente inviati dall’imputato non è stata rinvenuta alcuna traccia nella memoria dei telefoni delle parti civili, le visualizzazioni della pagina Facebook della parte civile erano consentite dallo stesso profilo pubblico adottato dalla donna, perciò accessibile a chiunque, la pagina Facebook aperta dall’imputato conteneva messaggi irridenti nei confronti dei proprietari dell’appartamento locato “in nero” e in condizioni malandate, senza tuttavia alcuna indicazione dei nomi o di riferimenti individualizzanti”.

I post su Facebook, dal tono irridente, rispondono più all’esercizio di un diritto di critica, più che ad un atto di natura persecutoria.

Per la Corte di Cassazione manca l’invasività che caratterizza i messaggi privati inviati tramite WhatsApp e telefonate e che caratterizzano gli atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p. (reato di stalking).

Reato di Cyberstalking: cos’è?

Il reato di Cyberstalking si realizza nel momento in cui gli atti persecutori vengono effettuati tramite l’utilizzo dei Social e della messaggistica istantanea dei cellulari.

Si può tradurre in una condotta persecutoria particolarmente dannosa per la vittima inviare reiteratamente sms, e-mail o post sui social network a luci rosse.

La vittima del reato di cyberstalking viene gettata lentamente in uno stato di terrore ed è costretta a cambiamenti radicali nel proprio modus vivendi.