In Italia ci sono più pensioni che stipendi. Il Paese ha invertito per la prima volta nella storia il rapporto fra buste paga e assegni pensionistici.

A tracciare il quadro allarmante è la Cgia di Mestre in un recente studio appena pubblicato a cui fa eco anche il “forum della PA 2020 – resilienza digitale” che preannuncia dal 2021 il sorpasso fra dipendenti statali e pensionati nella pubblica amministrazione. Nel complesso, quindi, una situazione preoccupante.

Italia, paese di pensionati

Se ciò è indicativo della fine di un ciclo di benessere economico iniziato col boom degli anni 50’-60’, è oggi sintomatico di decadenza.

In un Paese dove ci sono più persone da mantenere che persone che lavorano è destinato a collassare, a meno che le persone da mantenere non vengano più mantenute dallo Stato. Il quadro è drammatico se si pensa che l’età media degli occupati nella PA supera i 50 anni e che, a fronte di questa situazione, la disoccupazione giovanile supera il 30%. Non solo. Gran parte delle pensioni liquidate con sistema retributivo sono addirittura più alte degli stipendi odierni: un tecnico della Telecom o un impiegato delle Poste appena assunto, oggi guadagna circa 1.200 euro netti al mese contro un assegno pensionistico di vecchiaia pari a 1.700 euro netti del collega in pensione. Certo, in futuro non sarà più così, ma fintanto che il sistema contributivo non andrà a pieno regime, la differenza e il problema per i conti pubblici restano.

 In Italia, pagate 22,78 milioni di pensioni

Con un notevole grado di certezza – fa sapere l’Ufficio studi della CGIA  – è possibile affermare che il numero delle pensioni erogate in Italia ha superato quello degli occupati. In virtù degli ultimi dati disponibili, se nello scorso mese di maggio coloro che avevano un impiego lavorativo sono scesi a 22,77 milioni di unità, gli assegni pensionistici erogati sono superiori.  Al 1° gennaio 2019 3, infatti, la totalità delle pensioni erogate in Italia ammontava a 22,78 milioni”.

Siamo, insomma, diventati un popolo di rentier, per dirla alla francese, cioè di gente che campa di rendite. Se da un lato la cosa appare soddisfacente, dall’altro è invece preoccupante perché se non ci sarà più nessuno al lavoro che produce, chi manterrà le pensioni dei vecchi? Ecco quindi che si torna a parlare di taglio delle pensioni e di incentivi alle assunzioni. Ma sempre con scarso esito, dal momento che il corpo elettorale in Italia è costituito per la maggior parte da anziani, cioè da chi voterà per difendere la rendita.

L’invecchiamento della popolazione

Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione – osserva la Cgia di Mestre – è rilevante non solo per le conseguenze sociali ma anche per quelle economiche in termini di spesa sanitaria e di sostenibilità del sistema pensionistico. In particolare, i consumi degli over 60 sono mediamente più alti rispetto a quelli degli under 30 nel comparto dell’alimentazione, della casa e della salute. Ma in tutti gli altri settori, il divario è ad appannaggio delle classi demografiche più giovani che, però, anche in Italia si stanno contraendo paurosamente. Qualcuno ha dato la colpa alla riforma pensionistica di quota 100 e alla recente emergenza pandemica, ma questi due fattori non hanno fatto altro che accelerare un trend già in atto da anni e impostato su riforme che hanno solo rinviato il problema nel tempo anziché risolverlo. Così, a livello demografico, ne stiamo già pagando le conseguenze, con dati sulla natalità più preoccupanti al Sud rispetto al Nord.