Per l’avvocato che vuole essere forfettario e contemporaneamente giudice di pace non c’è ostacolo al regime di favore poiché il compenso ricevuto per l’attività di giudice non è qualificabile come reddito da lavoro dipendente. Si tratta di un aspetto favorevole a fronte della nuova causa ostativa al regime forfettario reintrodotta con la manovra di bilancio 2020. Con quest’ultima come ormai ben noto, infatti, il legislatore intervenendo nuovamente sul regime, ha modificato ancora una volta i requisiti di accesso (comma 54 Legge n. 190 del 2014 e successive modificazioni) e le cause ostative al regime (comma 57 Legge n. 190 del 2014 e successive modificazioni).

La giurisprudenza lo conferma

Stiamo parlando, in particolare, della causa di esclusione di cui alla reintrodotta lett- d-ter) al menzionato comma 57), ai sensi del quale, tra l’altro, non può applicare il regime forfettario chi nell’anno precedente ha percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente eccedenti l’importo di 30.000 euro (la verifica dì tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato).  A tal proposito l’Agenzia delle Entrate ha anche chiarito sin dal principio che la novità ha trovato immediata applicazione, nel senso che chi vuole aprire partita IVA o è già attivo nel 2020 non può essere forfait se nel 2019 ha percepito redditi da lavoro dipendente e redditi assimilati (di cui all’art. 50 TUIR) superiori alla predetta soglia.

La domanda che, dunque, ci si potrebbe porre oggi è se può essere forfettario un avvocato che (nel rispetto di tutti i requisiti previsti e nella mancanza di tutte le altre cause di esclusioni esistenti), abbia conseguito l’anno precedente compensi dalla sua attività di giudice di pace per un ammontare superiore a 30.000 euro. Il dubbio non sussiste poiché come anticipato tali compensi non si configurano come reddito da lavoro dipendente o assimilato e di tale parere è stata in passato la Corte di Cassazione con la sentenza n.

99 del 4 gennaio 2018, dalla quale si evince la massima secondo la quale il giudice di pace non può avere dal ministero della giustizia i danni per la malattia contratta nell’ambiente di lavoro perché la categoria dei magistrati onorari ai quali appartiene non è legata allo Stato da un rapporto di impiego pubblico ma da un rapporto di servizio volontario.