La riforma pensioni rischia di saltare. Inutile girarci troppo intorno, il quadro economico e finanziario è peggiorato e le previsioni di crescita del Pil italiano mettono alle corde il bilancio dello Stato.

Tutta una questione di soldi, come sempre. Benché governo e sindacati mostrino l’intenzione di trattare, entrambe le parti in causa sanno benissimo che gli spazi di manovra si sono ridotti. Del resto, ritoccare le regole Fornero implica tirar fuori altri soldi.

Riforma pensioni e inflazione

Il Mef sta monitorando la situazione e i vari capitoli di spesa che lo Stato dovrà sostenere nei prossimi anni.

Già si sta intervenendo a colpi di miliardi per calmierare la bolletta energetica col taglio di accise e oneri fiscali.

In prospettiva, poi, ci sarà da considerare le rivalutazioni di tutte le prestazioni previdenziali che peseranno per circa 12-13 miliardi di euro solo a partire dal 2023. Col capitolo pensioni rappresenta la fetta più grossa e non certo rinviabile.

Aggiungere altri soldi alle spese di bilancio, quindi, sarebbe come gettare benzina sul fuoco e far esplodere il debito pubblico (già elevato) senza un adeguato sostegno economico di crescita duratura e stabile.

Ritorno alla Fornero

Sullo sfondo ci sono, infine, anche le elezioni politiche 2023. Un appuntamento importante al quale nessun partito di governo intende presentarsi con le mani sporche per una riforma pensioni che rischia di essere impopolare.

L’idea di tagliare le rendite concedendo la pensione anticipata a partire dai 64 anni di età è infatti una mossa che, benché giusta e salutare, rischia di passare per un “tradimento” nei confronti dei lavoratori.

Il premier Draghi lo sa benissimo e quindi la riforma pensioni pare abbia poche chances di essere fatta quest’anno. Piuttosto si andrà a prorogare ancora una volta le deroghe alla Fornero che già ci sono (Ape Sociale, Opzione Donna e Quota 102), ma stravolgere l’assetto pensionistico in questo momento delicato appare troppo rischioso.

Per gli esperti è quindi molto probabile che nulla sarà fatto nemmeno quest’anno. Tutto sarà rinviato al prossimo governo che nascerà dalla nuova legislatura. Tanto a pagare il conto saranno sempre i lavoratori, spettatori del solito show politico all’italiana.