Non c’è solo Quota 103 e gli aumenti degli assegni fra le novità della riforma pensioni prevista per il prossimo anno. Sono in arrivo anche tagli agli importi più alti, allo scopo di sostenere le rendite minime.

Queste dovrebbero salire a 600 euro al mese (+120%) dal 1 gennaio 2023 e per farlo il governo ha intenzione di ridimensionare le rivalutazioni delle pensioni più alte. Quindi attivando una redistribuzione delle rendite limitando la perequazione automatica da un certo importo in su.

Chi finanzierà l’uscita anticipata

Ecco quindi spuntare l’ipotesi, come anticipato da InvestireOggi.it lo scorso mese di ottobre, di un ridimensionamento delle rivalutazioni delle pensioni a partire dal 2023.

Un capitolo spinoso, ma che andrebbe a toccare le rendite d’oro e d’argento su cui non esiste più dal 2022 il contributo di solidarietà.

Insomma, a finanziare le pensioni minime potrebbero essere chiamati anche i rentier più facoltosi, quelli che percepiscono più di quattro volte il trattamento minimo di pensione (525,38 euro), cioè dai 2.100 euro in su. Attualmente la legge prevede che le pensioni siano rivalutate al 100% solo fino a 4 volte il minimo. Da 4 a 5 volte la perequazione scende al 90%, mentre sopra le 5 volte scende al 75%.

Ebbene il governo potrebbe abbassare tali percentuali per recuperare i soldi necessari a sostenere le pensioni minime. Sempre nel rispetto della sostenibilità finanziaria delle riforme, come aveva sempre detto l’ex premier Mario Draghi. Non proprio uno stravolgimento delle aliquote, ma un abbassamento che potrebbe anche avere le caratteristiche dell’occasionalità in attesa di una riforma pensioni più ampia e strutturale.

Indicizzazione ridotta per le pensioni sopra 2.000 euro

Ma di quanto saranno “tagliate” le pensioni? Le indicazioni del governo Meloni in tema di perequazione automatica sono quelle di preservare la rivalutazione piena al 7,3% dal 2023 per tutte le pensioni per un importo fino a 4 volte il trattamento minimo. Cioè, tenuto conto dell’innalzamento a 600 euro al mese, circa 2.400 euro.

Oltre questa soglia si agirebbe gradualmente con i tagli all’indicizzazione. Il meccanismo dovrebbe essere quello già previsto dalla legge che agirebbe in base agli scaglioni di reddito pensionistico. Quindi dalle 4 volte l’importo del trattamento minimo in su. Per arrivare a 10 volte la soglia minima, cioè dai 6.000 euro in su.

In questo caso la rivalutazione sarebbe solo del 35% dell’importo anziché del 100%. In pratica la pensione aumenterebbe, non già del 7,3% come previsto dal decreto recentemente firmato dal ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti, ma del 2,55%.

Si tratta per il momento solo di indicazioni di massima che il Parlamento dovrà valutare e applicare con attenzione anche in base alle simulazioni di calcolo che saranno fornite dall’Inps. La strada, in ogni caso, è tracciata. Nel senso di maggiore equità e giustizia.